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Niente da fare. A Cremona il latino resta vietato. Per tre volte due vescovi della diocesi hanno illegalmente negato ai fedeli la Santa Messa tridentina.
È il dicembre 2009 quando il blog Cremona Fidelissima lancia una petizione chiedendo la possibilità di celebrare usus antiquior. Centoventi le adesioni raccolte in poco tempo, ma il vescovo dell’epoca, Dante Lafranconi, dice di no: la Messa in latino non s’ha da fare.
Nel gennaio 2016 arriva a Cremona il nuovo vescovo, Antonio Napolioni, e anche a lui viene inviata una richiesta per la Messa in latino. Una ventina i fedeli che gli scrivono, spiegando che si sono costituiti in “un gruppo di fatto, spontaneo e stabile”, con lo scopo di “promuovere la regolare celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962”, come previsto dal motu proprio Summorum Pontificum. “Ciò che ci muove – specificano i promotori della richiesta – non è né una sterile nostalgia del passato, né alcuna forma di diffidenza verso la celebrazione nella forma ordinaria, cui pure partecipiamo, né la ricerca di eccentricità o di stravaganze fuori luogo, né tanto meno tentazioni divisive all’interno della Diocesi. Ciò che ci muove è anzi il desiderio di poter coltivare questa nostra sensibilità liturgica condivisa e di poterlo fare all’interno della diocesi”.
Come possibile luogo per la celebrazione secondo la liturgia tridentina si indica una chiesa di Bozzolo, il cui parroco si rende disponibile, così come il vicario. Entrambi però vengono improvvisamente trasferiti e nel marzo 2017 ai firmatari della richiesta arriva la risposta del vescovo: un niet risoluto, giustificato in modo singolare. “Tali richieste – scrive infatti il vescovo – erano già state avanzate, almeno in parte, al mio predecessore, il quale, non ravvisando che vi fossero in Diocesi le condizioni per accogliere favorevolmente le suindicate richieste, vi oppose un diniego, soprattutto alla luce del fatto che, in oltre quarant’anni, l’applicazione della riforma liturgica conciliare, promossa dal beato Paolo VI, è stata serenamente accolta in tutta la Diocesi di Cremona e da parte di tutte le sue componenti ‘senza resistenze e senza eccezioni, né singolari né collettive’. Condividendo le ragioni allora proposte e non ritenendo che nel frattempo siano emerse nuove motivazioni a sostegno di una diversa valutazione delle attuali circostanze riguardanti la vita liturgica della Diocesi, dopo attenta riflessione sono giunto alla convinzione che, per quanto di mia competenza, non vi siano ragioni per accogliere favorevolmente le vostre richieste”.
Facile l’obiezione: visto che l’applicazione della riforma liturgica postconciliare è stata accolta “serenamente”, perché mai il vetus ordo dovrebbe costituire un problema?
Di fronte alla sconcertante risposta di monsignor Napolioni, i sottoscrittori della richiesta si rivolgono alla Pontificia commissione Ecclesia Dei, oggi confluita nella Congregazione per la dottrina della fede, e il segretario della commissione, monsignor Guido Pozzo, risponde prontamente: abbiamo preso contatti con il vescovo.
Segue un periodo di silenzio, fino a quando Napolioni comunica che la Ecclesia Dei non ha accolto favorevolmente la richiesta per la celebrazione in latino. Tuttavia, sostengono i sottoscrittori della richiesta, il responso della commissione non viene mai mostrato.
Alcuni mesi dopo, nella chiesa dei padri barnabiti di Cremona un giovane sacerdote inizia a celebrare la Santa Messa tridentina sine populo. Lo fa nel rispetto della norma codificata all’articolo 2 del motu proprio Summorum Pontificum: “Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962 oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario”.
Sine populo tuttavia non significa senza la presenza di fedeli. L’articolo 4 del motu proprio precisa infatti che “possono essere ammessi” tutti coloro che lo chiedono di loro spontanea volontà. Ed è proprio ciò che avviene a Cremona: la voce corre, i fedeli aumentano e da poche unità si arriva a una sessantina, in maggioranza, si noti bene, di giovane età.
Di fronte a questi sviluppi (ed è cronaca di queste ultime settimane), il vescovo convoca il sacerdote celebrante ed il suo superiore, ordinando loro di sospendere la Santa Messa tridentina.
Da parte del vescovo si tratta di un abuso, perché per una Messa sine populo non è richiesta alcuna autorizzazione da parte dell’ordinario. L’iniziativa di Napolioni è infatti in contrasto sia con il Summorum Pontificum di Benedetto XVI sia con l’istruzione sull’applicazione della Lettera apostolica motu proprio data Summorum Pontificum, che all’articolo 14 precisa: “È compito del Vescovo diocesano adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria del Rito Romano”, mentre all’articolo 8 specifica che l’obiettivo del Summorum Pontificum è proprio quello di “offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata un tesoro prezioso da conservare”, e di “garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli, che ne sono i principali destinatari”.
Sul caso della Messa tridentina negata a Cremona c’è da registrare la presa di posizione del cardinale Giovanni Battista Re, prefetto emerito della Congregazione dei vescovi e attuale vice-decano del collegio cardinalizio, il quale al quotidiano La Provincia si è detto “stupito” dall’atteggiamento del vescovo di Cremona: “Non capisco le ragioni, ma approfondirò. Nel mondo la Messa tridentina si celebra ovunque. Io non so come mai lì a Cremona no, ma in molte diocesi si fa. Se lei va a New York, trova che nella tal chiesa, alla tal ora, si dice la Messa in latino. In generale, nel mondo basta che vi sia un prete disponibile a celebrare la Messa ad una determinata ora in latino”. Fosse per me, precisa il cardinale Re, “troverei almeno una chiesa, nella città di Cremona, in cui si celebri la messa ad una certa ora”.
Al momento però a Cremona la Messa in latino resta al bando. Ed è quanto meno curioso che questa prepotenza arrivi da un vescovo il quale si dice in linea con Francesco, il papa che tuona spesso contro il clericalismo inteso come abuso di potere.
Aldo Maria Valli
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