La teoria del caos controllato è una strategia di politica estera che mira a creare e mantenere uno stato di instabilità in una determinata area geografica, al fine di manipolare gli eventi e ottenere vantaggi strategici. Questo approccio, che ha trovato numerose applicazioni nella politica estera statunitense, può essere descritto come una forma di ingegneria sociale su larga scala, in cui il disordine non è un fallimento accidentale, ma un risultato intenzionale.
Le premesse della teoria del caos controllato
La teoria si basa su alcune premesse fondamentali:
- La frammentazione del potere locale: Un paese destabilizzato, diviso in fazioni in conflitto, non è in grado di rappresentare una minaccia coesa o organizzata a livello regionale o globale.
- La facilità di manipolazione: Un contesto frammentato consente a potenze esterne di influenzare più facilmente le dinamiche interne, appoggiando di volta in volta uno o più attori secondo la convenienza.
- Il controllo delle risorse: L’instabilità consente spesso di assicurarsi il controllo indiretto o diretto delle risorse strategiche (energia, minerali, infrastrutture).
- La giustificazione per interventi esterni: Il caos è spesso utilizzato come pretesto per interventi militari o economici, presentati come necessari per ristabilire l’ordine o per motivi umanitari.
Un esempio emblematico: la Siria
La Siria è uno dei casi più evidenti di applicazione della teoria del caos controllato. Il paese, prima del 2011, era relativamente stabile sotto il governo di Bashar al-Assad, pur essendo un regime autoritario (ma laico, in un divenire positivo, rispettoso delle minoranze per cui nel paese si godeva una libertà molto rara tra gli stati arabi per gli standard mediorientali, del resto connessi con specificità culturali e religiose). Tuttavia, la sua posizione geopolitica strategica, il ruolo di alleato della Russia e dell’Iran, e la sua vicinanza a Israele, lo rendevano un obiettivo di grande interesse per gli Stati Uniti e i loro alleati.
Con l’avvento delle Primavere Arabe, il malcontento popolare è stato rapidamente strumentalizzato. Gli Stati Uniti, insieme ad altre potenze occidentali e regionali, hanno fornito sostegno a gruppi ribelli, che andavano dai moderati fino ai gruppi estremisti. Questa scelta ha creato un mosaico di fazioni armate in conflitto tra loro e contro il governo centrale. In breve tempo, la Siria si è trasformata in un campo di battaglia per procura, in cui potenze esterne come Turchia, Russia, Iran e Stati Uniti perseguivano i propri interessi, lasciando la popolazione civile intrappolata in una crisi umanitaria devastante.
La distruzione pianificata
Gli Stati Uniti non hanno mai cercato una vittoria chiara o una pace duratura in Siria. Il loro obiettivo è stato quello di mantenere uno stato di “non risoluzione”: un Assad indebolito, ma ancora al potere, incapace di controllare l’intero territorio, e una moltitudine di attori locali incapaci di stabilire un nuovo ordine.
Questa strategia ha permesso agli USA di:
- Limitare l’influenza iraniana e russa nella regione.
- Mantenere una presenza militare nella Siria orientale, giustificata dalla necessità di combattere il terrorismo (ad esempio, contro l’ISIS).
- Controllare indirettamente le risorse petrolifere e impedire che il governo siriano potesse utilizzarle per la ricostruzione.
Il caos controllato oggi
La Siria così, per anni è rimasta frammentata, con zone controllate dal governo, altre dai curdi sostenuti dagli Stati Uniti, altre ancora da milizie ribelli e terroristiche. Gli Stati Uniti continuano a sostenere alcune di queste fazioni che oggi hanno preso il potere a Damasco e a mantenere basi militari in violazione del diritto internazionale. Questa situazione è un perfetto esempio di come il caos controllato non sia progettato per portare stabilità, ma per preservare una condizione di instabilità utile a livello strategico.
Altri esempi di caos controllato
La Siria non è un caso isolato. Possiamo osservare dinamiche simili in:
- Iraq: Dopo l’invasione del 2003, il paese è stato deliberatamente lasciato in uno stato di instabilità, con la dissoluzione delle istituzioni statali e l’emergere di fazioni settarie.
- Libia: La caduta di Gheddafi nel 2011 ha portato alla frammentazione del paese, lasciandolo in mano a milizie rivali.
- Afghanistan: Anche qui, decenni di interventi esterni hanno prodotto una situazione di caos che continua a minare la pace e lo sviluppo.
Una critica necessaria
La teoria del caos controllato è una strategia cinica, che sacrifica il benessere delle popolazioni locali sull’altare degli interessi geopolitici delle grandi potenze. Essa non solo perpetua sofferenze umane enormi, ma crea anche le condizioni per l’emergere di nuovi conflitti e instabilità. Inoltre, questa strategia alimenta un circolo vizioso: il caos generato oggi è la scusa per nuovi interventi domani.
Per chi osserva con spirito critico la geopolitica globale, diventa evidente che la stabilità e la pace non sono sempre l’obiettivo primario delle grandi potenze. Al contrario, il caos è spesso un elemento calcolato e perseguito con precisione. La Siria è un monito vivente di quanto devastante possa essere questa strategia e un richiamo alla necessità di promuovere politiche che mettano al centro i diritti e la dignità delle popolazioni, piuttosto che il profitto e l’egemonia.