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Crisi Covid Italia – Non è vero che la priorità è l’aggiustamento strutturale che ci chiede la UE

Il non-aggiustamento strutturale

Tra le tante idiozie che si leggono sui giornaloni paludati – in particolare il quartetto Corsera / Repubblica / Stampa / Sole – una delle più irritanti è che il maggior debito pubblico contratto dall’Italia per fronteggiare l’impatto economico del Covid renderà inevitabile, successivamente, un “aggiustamento strutturale”.

Di aggiustamento si potrebbe parlare se il risultato fosse di ridurre il maggior livello del rapporto debito / PIL, riportandolo ai livelli pre-Covid – o qualcosa di simile.

Se l’Italia nel prossimo futuro riprenderà il percorso “tasse & tagli” che abbiamo sperimentato nel 2011-2013, l’aggiustamento, al contrario, non aggiusterà proprio nulla. Come allora, decine di migliaia di altre aziende falliranno, milioni di altre persone saranno gettate in povertà, il PIL avrà un’ulteriore caduta e il rapporto debito pubblico / PIL salirà ulteriormente.

Per quale motivo una parte così significativa dell’establishment politico-economico-mediatico italiano sia caratterizzato da questa cupio dissolvi non lo so con certezza. Ignoranza, servilismo, opportunismo, incompetenza ? un micidiale cocktail di tutto questo ?

La favola dell’”aggiustamento strutturale” va tra l’altro di pari passo con un’altra fandonia: il Covid avrebbe dimostrato l’assoluta necessità di ridurre il rapporto debito pubblico / PIL perché chi l’aveva più basso, vedi la solita Germania, ha potuto (al contrario di noi) effettuare interventi tempestivi e massicci.

Un commento di questo genere ignora le enormi risorse immesse nell’economia da paesi quali USA, UK e Giappone: caratterizzati da rapporti debito pubblico / PIL più alti rispetto alla media dell’Eurozona (addirittura del 260% nel caso giapponese) ma espressi nella propria moneta.

Per fronteggiare un’emergenza, non c’è bisogno di avere un debito pubblico basso: c’è bisogno della capacità di emettere la propria moneta nazionale.

A meno, aggiungo per completezza, che non si utilizzi, com’è il caso di paesi nord-eurozonici, una moneta sottovalutata rispetto ai propri fondamentali.

La rottura dell’eurozona non è un rischio per l’acquirente di titoli di Stato tedeschi perché al massimo si ritroverebbe con titoli in marchi, destinati a salire di valore rispetto al livello attuale dell’euro.

L’Italia è ovviamente nella situazione opposta: da qui nasce lo spread, nascono i vincoli all’indebitamento e nasce la tragica situazione in cui si trovava già prima del Covid (e oggi ovviamente è peggio) la nostra economia.

Ridurre il debito pubblico da rimborsare in euro senza passare tramite la rottura dell’Eurozona è possibile, ma per una strada completamente diversa: emettere Moneta Fiscale e rilanciare PIL, produzione e occupazione.

Ma questo, naturalmente, sui giornaloni paludati non lo leggete.

dal blog Basta con L’eurocrisi

Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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