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Stato educatore e pluralismo

dagli USA spunti e riflessioni per una scuola davvero efficiente e rispettosa dei diritti della famiglia

Anche in Italia il sistema si basa su tre presupposti che si sono rivelati sbagliati:
– il primo è quello di ritenere che solo le scuole statali possano formare buoni cittadini;
– il secondo è che solo le scuole statali possano offrire pari opportunità per tutti i bambini;
– il terzo è che ogni altro assetto ordinamentale sia di per sé da guardare con sospetto.

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Dall’introduzione del volume. Gli esperti dei sistemi educativi concordano sul fatto che il sistema d’istruzione americano non sia in grado di stimolare a sufficienza gli studenti, dal punto di vista intellettuale, civico e morale, ma sono in disaccordo sul perché questo accada.

La tesi di questo libro è che gran parte di questo fallimento è da attribuire a due scelte sbagliate, compiute in passato e che ora meritano un ripensamento:
– in primo luogo, la decisione politica del XIX secolo di favorire una struttura del sistema educativo uniforme rispetto ad una pluralistica;
– in secondo luogo, l’abbandono del tradizionale curriculum scolastico avvenuto all’inizio del XX secolo.

 

In questo volume sono prese in considerazione ed esaminate le conseguenze negative, tutt’oggi visibili, di quelle scelte, al fine di suggerire alcune possibili modalità per correggerle e superarle. Negli ultimi 20 anni molti passi sono stati fatti in questa direzione.
Nonostante ciò, per molte famiglie la struttura del sistema educativo è rimasta in gran parte immutata: la maggioranza dei bambini americani frequenta scuole gestite dallo Stato, la cui scelta è determinata dalla vicinanza geografica.

L’uniformità dell’offerta educativa statale è problematica, non solo per i risultati poco brillanti che dà in termini di apprendimento degli studenti, ma anche per la sua distanza dal principio americano della libertà. Gli studenti statunitensi continueranno a non trarre alcun vantaggio dal sistema d’istruzione finché non verranno affrontati i problemi fondamentali che limitano il loro stesso futuro: un assetto politico-istituzionale che privilegia lo Stato sulla società civile e un pensiero pedagogico tenacemente trincerato su posizioni che – ancorché involontariamente – rafforzano le divisioni di classe e svantaggiano i bambini più bisognosi.

Il sistema americano si basa su tre presupposti che, sebbene risalenti nel tempo, sono da considerarsi sbagliati:
– il primo è quello di ritenere che solo le scuole statali possano formare buoni cittadini;
– il secondo è che solo le scuole statali possano offrire pari opportunità per tutti i bambini;
– il terzo è che ogni altro assetto ordinamentale sia di per sé da guardare con sospetto.
L’esperienza contraddice ciascuna di queste tre affermazioni.

Per quanto riguarda la formazione di buoni cittadini, da tempo diverse ricerche segnalano che nelle scuole private, in particolare quelle cattoliche, si fornisce spesso una miglior educazione civica rispetto a quella fornita nelle public schools.

Per quanto riguarda l’equità e l’uguaglianza, le scuole non statali, quelle di carattere religioso in particolare, riescono frequentemente con successo a ridurre i divari del livello degli apprendimenti.

Infine, per quanto riguarda i dubbi di legittimità costituzionale circa il finanziamento delle scuole religiose, nella sentenza Zelman v Simmons-Harris (2002), la Corte Suprema ha affermato che se il sostegno economico è il risultato di una libera scelta dei genitori e non dell’azione dello Stato, non vi è alcuna violazione della Costituzione degli Stati Uniti d’America.

Le leggi e le costituzioni dei diversi Stati americani variano notevolmente tra loro, ma molte di queste hanno promosso un sistema di credito fiscale (tax credit) o di voucher che sono poi stati considerati legittimi, rendendo così possibile un’ampia gamma di opzioni educative diversificate. Il carattere restrittivo del sistema educativo americano si pone in forte contrasto con il pluralismo educativo che altre nazioni democratiche danno ormai per scontato. Diverse democrazie hanno, infatti, da tempo adottato quello che Charles Glenn chiama un approccio all’istruzione basato sulla “società civile” (civil-society approach), a discapito di un modello incentrato sul controllo statale [1].

Questi paesi sostengono che siano le famiglie a dover scegliere l’ambiente nel quale far crescere i propri figli, anche laddove sono i governi centrali a finanziare e a regolamentare ogni istituzione scolastica.
Per esempio, i Paesi Bassi sostengono 35 differenti tipologie di scuole in condizioni di parità; l’Inghilterra, il Belgio, la Svezia e molte province del Canada prevedono meccanismi per garantire la libera scelta dei genitori. Gli Stati Uniti d’America, nel loro sostegno finanziario alle sole scuole statali, sono un’anomalia tra gli Stati democratici.

Queste problematiche sono ben note a chi fa ricerca nell’ambito della storia dell’educazione, dell’educazione comparata e del diritto costituzionale. Tuttavia, molti cittadini americani sono inconsapevoli del fatto che altre democrazie finanziano scuole di carattere religioso e hanno il sospetto che il principio della separazione tra Chiesa e Stato renderebbe qui impossibile una simile soluzione.

Spesso, inoltre, si associa alle tradizionali public schools il concetto di “cittadinanza democratica”, mentre alle scuole private il concetto di “privilegio”. Pochi americani conoscono la storia del nostro precedente sistema scolastico pluralistico e il fatto che a smantellarlo sia stato il pregiudizio nei confronti di tutto ciò che ha un fondamento religioso.

Ho scritto questo libro per raccontare questa storia. Un libro che spero possa generare nuove discussioni nei consigli di classe, a cena in famiglia e nei programmi radiofonici.
I problemi del nostro sistema educativo non sono meramente teorici ma, al contrario, sono molto concreti e urgenti. Infatti, è ormai imminente una profonda riforma del primo e del secondo ciclo di istruzione (K-12) [2] resa necessaria dalle massicce passività di bilancio del sistema pensionistico municipale e statale.

Così com’è strutturata, l’istruzione pubblica non è più sostenibile. Ora è giunto il momento di sviluppare un nuovo modello che sia fedele ai nostri valori democratici, che migliori i risultati di apprendimento, che promuova l’educazione civica e utilizzi in modo responsabile le risorse economiche disponibili.

In ultima analisi, comunque, l’argomento più forte per cambiare la nostra concezione di istruzione pubblica non è né di tipo finanziario, né riguardante i contenuti disciplinari d’insegnamento, ma piuttosto di carattere filosofico: sostenere diverse tipologie di scuole è coerente con i principi e i valori americani, con l’esperienza americana in ogni campo della vita pubblica e, infine, con il nostro desiderio di equità ed eccellenza educativa. Ma su questo sarò più esplicita nei capitoli che seguono.

[…]

Il pluralismo educativo

Che cosa intendiamo quando parliamo di pluralismo educativo? Significa voler cambiare la struttura dell’istruzione pubblica in modo tale che il governo statale centrale sia ritenuto responsabile e finanzi un’ampia varietà di scuole, incluse quelle di carattere religioso, ma senza doverle necessariamente gestire direttamente.

Tale pluralismo educativo offre un modo migliore per formare una generazione di giovani sempre più variegata predisponendola all’eccellenza accademica, ad una chiarezza morale e ai principi della cittadinanza democratica.

Il pluralismo educativo offre un modo diverso di fare istruzione pubblica, soddisfacendo allo stesso tempo le convinzioni personali e il bene comune; allo stesso tempo, inoltre, traccia una via di uscita dalla mentalità del “chi vince prende tutto” che caratterizza oggi molti dibattiti sul tema dell’istruzione.

All’interno di questa nuova prospettiva, dovremmo anche continuare ad innalzare il livello dell’istruzione secondaria, abbracciando un curriculum di studi fondato sulle materie umanistiche e scientifiche (liberal arts), ricco di contenuti.

Iniziative come il Common Core State Standards (CCSS) sono un passo necessario ma non sufficiente in questa direzione.

Questo libro si concentra più sulla struttura del sistema educativo piuttosto che sui suoi contenuti, soprattutto perché questi ultimi sono già stati adeguatamente affrontati da altri autori. Tra questi Diane Ravitch [2] ed E.D. Hirsch [3], così come molti altri studiosi, hanno dimostrato i benefici di un curriculum di studi tradizionale per recuperare il divario nei risultati di apprendimento.

I capitoli 2 e 6 hanno un’impronta maggiormente pedagogica, per quanto si dirà sulla filosofia dell’educazione e sui limiti di una struttura pluralistica.

___

[1] C.L. Glenn, Contrasting Models of State and School: A Comparative Historical Study of Parental Choice and State Control, Continuum, New York 2011. [2] K-12 (“ from Kindergarten to 12th grade”) è l’acronimo utilizzato negli Stati Uniti (ma anche in India, Canada, Corea del Sud, Turchia, Egitto, Australia) per indicare i 13 anni complessivi di istruzione obbligatoria: all’anno di scuola dell’infanzia ( Kindergarten) all’età di 5 anni, seguono 8 anni del primo ciclo d’istruzione (tra l’età di 6 e 12/13 anni, con diverse composizioni a seconda degli Stati tra Primary School e Middle/Junior High School) e 4 anni di High School (tra 14 e 18 anni circa) (ndt).

[2] Diane Silvers Ravitch (1938) è una storica dell’educazione ed esperta di politiche dell’istruzione. Attualmente è Research Professor alla New York University. Fondatrice e presidente del Network for Public Education (NPE) (ndt).

[3] Eric Donald Hirsch, Jr. (1928) è stato professore emerito di Inglese all’Università della Virginia (ndt).

 

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Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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