La sovranità britannica su Gibilterra deriva dallo stesso trattato che ha dato alla Gran Bretagna il monopolio sul commercio degli schiavi e concesso il Brasile al Portogallo. E, come tutti questi abomini, appartiene alla pattumiera della storia.
La scorsa settimana la classe dirigente britannica stava schiumando di indignazione dopo i commenti su Gibilterra del Presidente dell’Unione Europea Donald Tusk nella sua lettera a Theresa May.
In risposta alla lettera [in Inglese] del Primo Ministro britannico che chiede formalmente di lasciare l’Unione Europea, Tusk ha osservato che qualsiasi accordo tra il Regno Unito e l’UE non si applicherebbe a Gibilterra senza il consenso spagnolo.
La dichiarazione in sé non era controversa, visto che tutti gli Stati membri hanno già un diritto di veto su qualsiasi accordo, questa è la natura del processo decisionale nell’UE. Come Stephen Bush ha commentato sul New Statesman, dando alla Spagna il diritto di veto sui termini di un futuro accordo commerciale, Tusk stava dando “un diritto che ha già in qualità di membro dell’Unione Europea”. Infatti, a fronte delle velate minacce [in Inglese] della signora May di scatenare il terrorismo contro l’UE se la Gran Bretagna non otterrà l’accordo che vuole, il gentile promemoria di Tusk dello stato di cose esistente è stato piuttosto educato.
Ciononostante, è stato sufficiente per provocare la furia del suprematismo britannico. Il quotidiano The Sun ha utilizzato [in Inglese] la sua intera prima pagina per dichiarare “Giù le mani dalla NOSTRA rocca” (utilmente tradotto in Spagnolo per i lettori iberici del giornale), mentre l’ex leader Conservatore Michael Howard ha sbandierato la minaccia di scatenare [in Inglese] nuovamente la Guerra delle Falkland. L’attuale Segretario alla Difesa Conservatore Michael Fallon è sembrato ben accogliere questo approccio con la promessa che la Gran Bretagna “andrà fino in fondo” per mantenere Gibilterra sotto il dominio britannico, un classico eufemismo che indica l’uso della violenza armata.
Tutto questo ha indotto ad una risposta spagnola un po’ perplessa [in Inglese, registrazione necessaria], con il Ministro degli Esteri Alfonso Dastis che ha commentato che il suo governo è rimasto “sorpreso dal tono dei commenti provenienti da un paese tradizionalmente noto per la sua compostezza… sembra che qualcuno stia perdendo la calma”, ha aggiunto.
In realtà, a governare Gibilterra per più tempo non sono stati né gli Spagnoli né gli Inglesi, ma i Musulmani del Nord Africa. La stessa parola “Gibilterra” deriva dal nome arabo della Rocca, Jabal Tariq, che significa “montagna di Tariq”. Tariq ibn Zyiad condusse gli Omayyadi alla conquista di Gibilterra nel 711, ed essa rimase, insieme al resto della Spagna, sotto il controllo dei Mori fino al 1462. Poi, dopo due secoli e mezzo di dominazione spagnola, la Gran Bretagna la conquistò nel 1704; le sue truppe condussero furti e stupri di massa, facendo fuggire oltre il 90 per cento degli abitanti. Nel 1713 la Gran Bretagna costrinse la Spagna a cedere il territorio alla Gran Bretagna “in perpetuo” col Trattato di Utrecht, trasformandola in un altro pezzo del sempre più grande puzzle coloniale della Gran Bretagna.
Uno sguardo alla mappa rivela immediatamente il valore strategico di questo territorio molto piccolo, in particolare per un impero come quello della Gran Bretagna, basato sul controllo dei mari. Punta più meridionale dell’Europa occidentale, Gibilterra si trova a sole otto miglia dalla costa nordafricana, rendendo lo Stretto di Gibilterra la “strozzatura” più stretta del Mediterraneo. Come base navale britannica ha svolto un ruolo chiave nella Battaglia di Trafalgar, nella Guerra di Crimea, e nella campagna della Seconda Guerra Mondiale contro gli U-Boot tedeschi.
A seguito della cosiddetta “decolonizzazione” degli anni ‘50 e ‘60, la Gran Bretagna si curò di aggrapparsi ad una serie di territori in posizione strategica per assicurarsi di poter continuare a proiettare potenza militare contro le sue ex colonie che osavano sfidare il suo nuovo programma neocolonialista. Questo impero segreto include posti come Diego Garcia, prestata, dopo la pulizia etnica della sua popolazione nativa, agli Stati Uniti come importante tappa di rifornimento per i suoi bombardieri a lungo raggio; parti di Cipro, utilizzate regolarmente per inviare i caccia britannici in Medio Oriente; le Falkland, base aerea e navale da cui partire per intimidire l’America Latina; e Gibilterra.
L’importanza strategica di Gibilterra è aumentata in maniera massiccia dopo l’apertura del Canale di Suez nel 1869, diventando un punto cruciale sulla rotta marittima tra la Gran Bretagna e il suo impero in Oriente; oggi, la metà di tutto il commercio mondiale passa attraverso lo Stretto, incluso un terzo dei carichi di petrolio e gas.
Ma le isole e penisole inglesi in posizione strategica non sono solo basi militari; costituiscono anche quella che l’esperto di paradisi discali Nicholas Shaxson chiama “tela di ragno” [link ad un sito in Inglese] globale dell’evasione fiscale e del riciclaggio di denaro.
Dopo la fine (della maggior parte) dell’impero formale della Gran Bretagna, avvocati, banchieri, e criminali dalla City di Londra, di New York e di altrove, hanno contribuito a trasformare i territori d’oltremare della Gran Bretagna in giurisdizioni che offrono assoluta segretezza a coloro che cercano di nascondere la loro ricchezza sia dalle autorità fiscali che dal sistema della giustizia penale.
In effetti, posti come Gibilterra, assieme ad altri territori gestiti dagli Inglesi, come le Isole Cayman, le Bermuda, Jersey, Guernsey, le isole Turks e Caicos, e le Isole Vergini Britanniche, sono stati trasformati in un gigantesco servizio [in Inglese] di riciclaggio di denaro globale. Filiali locali delle principali banche di Londra sono state istituite in ogni territorio, accogliendo grandi quantità di ricchezza criminale, che poi vengono trasferite in modo sicuro alla filiale madre di ciascuna banca di Londra.
Oggi si stima [in Inglese] che i paesi in via di sviluppo perdano in questo modo ogni anno 1,25 trilioni di dollari in trasferimenti di denaro illeciti verso i paradisi fiscali, circa il decuplo degli aiuti umanitari del mondo ricco. Come afferma [in Inglese] Shaxson, “Per ogni dollaro che noi distribuiamo generosamente sul tavolo, noi Occidentali ce ne riprendiamo 10 di denaro illecito sotto il tavolo”. Eva Joly, un magistrato coinvolto nelle indagini sull’uso criminale dei paradisi fiscali, ha commentato (citazione tratta dal libro del link precedente) che “mi ci è voluto molto tempo per capire che l’aumento dell’utilizzo di questo tipo di giurisdizione è collegato alla decolonizzazione. Si tratta di una forma moderna di colonialismo”.
Gibilterra è una parte importante di questa rete criminale. John Christenson, ex consulente economico di Jersey, a sua volta un importante paradiso fiscale gestito dagli Inglesi, ha osservato [in Inglese] che “le istruzioni dei partner di alto livello a Londra erano quelle di dirigere le attività davvero, davvero poco raccomandabili lontano da Jersey verso Gibilterra… [noi] consideravamo Gibilterra totalmente subprime. Lì è dove accadono le cose peggiori”.
Questo a quanto pare è stato confermato nel 2014, quando l’OLAF, l’ufficio europeo per la lotta alle frodi, ha rivelato [in Inglese] di aver avuto “una serie di preoccupazioni” riguardo al “contrabbando di sigarette attraverso il confine” tra Gibilterra e la Spagna, che includevano “indizi del coinvolgimento della criminalità organizzata”.
L’anno successivo, il quotidiano spagnolo ABC ha riferito che Gibilterra era la casa di non meno di 15 bande criminali organizzate legate al traffico di droga e al riciclaggio di denaro, e della mafia russa. Nel 2008, Expatica.com ha riferito [in Inglese] che, secondo la Spagna , “Gibilterra si rifiuta di collaborare alle indagini sul riciclaggio di denaro, l’evasione fiscale e la criminalità organizzata”, citando un funzionario della polizia spagnola coinvolto in operazioni anti-riciclaggio, che avrebbe detto “abbiamo raggiunto un punto in cui quando in un’indagine ci imbattiamo in qualcosa legato a Gibilterra preferiamo lasciar perdere, perché ci troviamo di fronte ad un muro di mattoni. È inutile cercare di ottenere informazioni”.
In effetti, questo è il punto centrale di un paradiso fiscale: garantisce il segreto ai suoi depositanti, proteggendoli dal fisco e dagli inquirenti. Questo è precisamente ciò che permette loro di assorbire così tanta ricchezza rubata al mondo e incanalarla verso Londra.
La segretezza offerta da Gibilterra è sorprendente. I proprietari effettivi di qualsiasi società costituita sul territorio – cioè quelli che guadagnano davvero – non solo vengono mantenuti segreti, ma non vengono nemmeno iscritti nel registro delle imprese. Possono essere utilizzati azionisti e amministratori “nominati” – cioè persone non realmente collegate alla società in modo significativo – e basta renderne pubblica solo una. Gibilterra non ha firmato trattati sullo scambio di informazioni con nessun paese e questo significa che, secondo taxhavens.biz, “le informazioni riguardanti i clienti off-shore sono sicure e non vengono cedute alle autorità fiscali di altri paesi”.
Eh, già, l’evasione fiscale: Gibilterra non ha alcuna imposta sulle vendite, nessuna imposta sulle plusvalenze, nessuna tassa di successione, sul patrimonio o imposte immobiliari. Dal 2010 possiede un tasso di imposta sulle società del 10 per cento, anche se è attualmente sotto inchiesta da parte della Commissione Europea per averne esentato, probabilmente in modo illegale, almeno 165 multinazionali. Come ha osservato [in Inglese] Richard Murphy, Gibilterra si sta “deliberatamente comportando come un paradiso fiscale con l’intenzione di minare le entrate fiscali [della Spagna]”.
Inoltre, è probabile che le cose peggioreranno di molto se non si interverrà. Allo stato attuale, Gibilterra è – almeno in teoria – vincolata alle normative comunitarie in materia di trasparenza finanziaria. Una volta lasciata l’Unione Europea, tuttavia, nessuna di esse verrà più applicata. Questo è il motivo per cui la Spagna, in particolare, è così preoccupata che Gibilterra venga usata per distruggere ancora di più le sue entrate fiscali. Come ha sottolineato Richard Murphy di Tax Research UK, Gibilterra “si è finanziata con le attività di paradiso fiscale e centro per il gioco d’azzardo offshore. La prima attività è intesa a minare l’economia globale e le entrate fiscali legittime dei governi democraticamente eletti. L’altra mira a distruggere le vite individuali. Enfaticamente, si può dire che è un luogo che si è dedicato alla distruzione del benessere”. È ora che venga chiuso.
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Articolo pubblicato da Dan Glazebrook su Russia Today l’11 aprile 2017.
Traduzione in Italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.
[Le note in questo formato sono del traduttore]