ORA PRO SIRIA: “Damasco, l’inverno peggiore”

I paesi occidentali che tanto dicono di tenere alla libertà dell’Ucraina, in tutto il mondo diffondono ingiustizie e miseria. Paesi che hanno l’unica colpa di non essersi allineati alle regole globali stabilite dagli Stati Uniti, sono distrutti. a Siria, che ha avuto il coraggio e la dignità di resistere contro i jihadisti prezzolati dai paesi occidentali e dagli alleati arabi, è occupata e spogliata delle proprie terre, dei propri averi. In definitiva, è condannata alla miseria ed a rimanere per un tempo troppo lungo sotto un ingiusto giogo.

Ecco il “Reportage da una capitale fantasma”di  Paul Hhalifeh, DI RITORNO DA DAMASCO (Ora Pro Siria) – traduzione di Marinella Correggia

ORA PRO SIRIA: “Damasco, l’inverno peggiore”

«Ali, domani andrai con tuo zio ad Harasta a raccogliere legna da ardere!». Rannicchiata sotto due spesse coperte in un angolo del soggiorno, Soumaya rimprovera il figlio con uno sguardo severo. «Non avresti dovuto aspettare che gli ultimi rami fossero consumati prima di andare», lo rimprovera. Al centro della stanza coperta di tappeti, le ultime manciate di ghiande di quercia e gusci di pistacchio bruciano in una stufa a legna color ruggine. Il poco calore che emette non è sufficiente a migliorare davvero la temperatura. Dall’altra parte della stanza, un uomo anziano si strofina energicamente le mani. Al centro della stanza, quasi incollati alla stufa, due bambini condividono una pelle di montone.

A Damasco, dove la temperatura è vicina allo zero, la lotta contro il freddo è la sfida principale per gli abitanti. «La mia unica preoccupazione è riscaldare la mia famiglia durante questo rigido inverno, dice Soumaya, vedova, che a 50 anni ne dimostra dieci di più. Tutto ciò che può essere bruciato va sul fuoco». «Il freddo è il peggior nemico», afferma il vecchio con voce roca.

Combustibili introvabili

Per la maggior parte dei siriani, il sistema di riscaldamento centrale a gasolio è un vecchio ricordo, un grande lusso che solo pochi fortunati possono ancora permettersi, vista la cronica carenza di carburante. La maggior parte delle famiglie è passata alle stufe a legna, che per essere installate richiedono di perforare le pareti o i soffitti per far passare i tubi.

Ma anche questo metodo di riscaldamento all’antica non è una passeggiata. Una tonnellata di legno viene venduta a oltre 2 milioni di lire siriane, l’equivalente di 320 dollari al tasso del mercato nero. Un prezzo inaccessibile in un paese in cui lo stipendio di un dipendente pubblico arriva al massimo a 100.000 lire siriane, ovvero meno di 17 dollari al mese.

Foreste spazzate via

«Il legno scarseggia, dice Khaled, un ex meccanico che si è dedicato al commercio della legna. Prima della guerra, la Ghouta orientale di Damasco era ricoperta di frutteti e boschi. I combattimenti e i tagli incontrollati incoraggiati dalla mancanza di sorveglianza non hanno lasciato nulla. In alcuni luoghi, come a Maliha, un tempo verdi e boscosi, non è rimasto in piedi nemmeno un albero».

Ali andrà quindi ad Harasta, una località situata a circa dieci chilometri a nord-est di Damasco, distrutta per il 60% dai combattimenti tra l’esercito siriano e i ribelli. «Lì i raccoglitori di macerie hanno smontato persiane, porte e tetti in legno per venderli. Dicono che sia molto più economico che abbattere alberi», spiega con calma.

Ma i problemi del giovane non sono finiti. La carenza di carburante ha colpito duramente il settore dei trasporti. Il gasolio e la benzina sono fortemente razionati e spesso non disponibili.

La maggior parte dei giacimenti petroliferi siriani si trova a Hassakeh, nel nord-est, e nella provincia orientale di Deir Ezzor, entrambe controllate dalle forze curde, sostenute dagli Stati uniti. L’esercito statunitense ha trasformato i campi petroliferi in basi militari. Il governo siriano non è quindi in grado di sfruttare le risorse energetiche del paese, che ora vengono utilizzate per finanziare l’amministrazione autonoma curda.

Le quantità di carburante disponibili sul mercato provengono dall’Iran e, più raramente, dalla Russia, i due alleati della Siria. La priorità nella distribuzione va alle forze armate. Ciò che rimane, cioè poco, è riservato alla popolazione.

Nelle ultime settimane, la penuria si è aggravata. «Con la mia tessera annonaria (rilasciata due anni fa dal governo a milioni di persone), normalmente ho diritto a 50 litri di gasolio due volte nell’inverno. Ho fatto la mia richiesta a metà settembre sulla piattaforma, ma non ho ancora ricevuto risposta», si lamenta Mustafa, insegnante cinquantenne di una scuola pubblica.

Il combustibile contrabbandato dalle aree controllate dai curdi viene venduto a 250.000 lire siriane per un bidone da da 20 litri, ovvero quasi 40 dollari. La benzina, che arriva di contrabbando dal vicino Libano, viene venduta quasi allo stesso prezzo. Solo una piccola minoranza può permettersi di acquistarla.

Damasco, una città fantasma

Gli effetti della carenza di carburante sono impressionanti. Damasco, solitamente molto trafficata e congestionata, sembra una città fantasma. Di giorno il traffico è scorrevole, di notte le strade sono quasi deserte ed i taxi sono rari. Al calar della notte, gli abitanti si rintanano nelle loro case fredde e buie, a causa del draconiano razionamento dell’elettricità. Ventuno ore di interruzione di corrente al giorno a Damasco, ventitré nelle zone rurali. «Da due mesi non vado all’università a causa dell’alto costo dei trasporti, si lamenta Salim, studente di medicina al secondo anno. Ho pensato di andare in bicicletta da Douma (10 km a est della capitale) a Damasco. Ma il viaggio di ritorno di notte attraverso queste strade buie e deserte mi ha dissuaso». Il giovane sostiene che un terzo degli studenti dell’Università di Damasco, la più grande del paese, non frequenta più regolarmente le lezioni.

Nessun settore è risparmiato dalla crisi. Alla fine della scorsa settimana, un gran numero di panifici statali non era più in grado di rifornire il mercato di pane a causa della mancanza di olio combustibile.

Le amministrazioni pubbliche, le scuole e le banche vanno al rallentatore. A differenza del Libano, dove i generatori privati di quartiere forniscono a caro prezzo l’elettricità alle abitazioni e alle imprese commerciali, in Siria non funziona nulla quando manca la corrente. «Per diversi giorni ho aspettato ore davanti al bancomat per prelevare il mio stipendio, ma la macchina non ha mai funzionato a causa della mancanza di elettricità, lamenta Ayman, un pensionato del Damascus Water Board. Ho chiesto che il mio reddito non venga più trasferito alla banca. Voglio essere pagato in contanti».

Anche il razionamento è in crisi

La tessera di razionamento, che per un certo periodo ha contribuito a organizzare la fornitura di generi alimentari di base e di carburante alla popolazione, non è più efficace. «In teoria, il riso, lo zucchero e l’olio sovvenzionati dallo Stato sono da tre a quattro volte più economici dei prezzi di mercato, dice Mustafa. Ma la distribuzione è irregolare da tre mesi. Facciamo le richieste ma non riceviamo più il messaggio che fissa la data di consegna».

Coloro che possono permetterselo sono costretti ad acquistare cibo a prezzi di mercato e, nei periodi di carenza, al mercato nero. «Il mio stipendio di 100.000 lire siriane mi permette di comprare 5 kg di zucchero e 3 litri di olio vegetale. Per tutto il resto devo arrangiarmi», dice l’insegnante.

Il peso delle sanzioni statunitensi

La situazione è più gestibile nel settore privato, dove gli stipendi sono da quattro a cinque volte superiori a quelli del settore pubblico. «Con il mio stipendio di 400.000 lire, sono una privilegiata, dice Ghada, segretaria in uno studio legale. Ma in realtà, per vivere decentemente servirebbe dieci volte tanto».

L’assistenza sanitaria è ancora teoricamente gratuita per tutti. Ma i tempi di attesa sono molto lunghi. «Un’operazione a cuore aperto costa 1,3 milioni di lire in un ospedale pubblico, con un tempo di attesa tipico di tre o quattro mesi. In un ospedale privato, l’operazione è immediata ma costa 55 milioni di lire. Quanti siriani possono permettersi di pagare questa cifra?», si chiede Atef, cardiologo dell’ospedale al-Bassel.

Le persone interpellate sono unanimi. Questo è il peggior inverno che la popolazione siriana abbia affrontato dall’inizio della guerra nel 2011. La distruzione di gran parte delle infrastrutture e l’impossibilità dello Stato di sfruttare le risorse energetiche e agricole del paese, situate in regioni fuori dal suo controllo, sono responsabili di questa situazione. Ma le sanzioni occidentali, in particolare il Caesar Act approvato dal Congresso degli Stati uniti nel 2020, hanno esacerbato la crisi. «Le sanzioni hanno reso molto difficili le importazioni, afferma un alto funzionario che ha chiesto l’anonimato. Nessuno osa effettuare transazioni finanziarie con i siriani per paura di essere bersagliato dalle sanzioni. Questa situazione ha spezzato le catene di approvvigionamento e ha sviluppato un enorme mercato nero nel quale i prezzi stanno esplodendo».

Riportati al Medioevo

Di fronte alla crisi, si sono sviluppate iniziative private di solidarietà. «Commercianti molto ricchi e uomini d’affari hanno contribuito a dotare una scuola di un generatore, un ospedale di letti o una strada di un sistema di illuminazione a energia solare. Ma tutto questo è limitato e insufficiente per far funzionare un paese», dice l’alto funzionario.

«Non sono riusciti a rovesciare il governo, ma ce l’hanno fatta a riportare la Siria al Medioevo», osserva Soumaya, guardando un tavolino con i ritratti di due uomini. Suo marito e il loro figlio maggiore, uccisi durante la guerra.

fonte: Ora Pro Siria

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