Avendo dedicato anni, sin dall’inizio della cosiddetta insurrezione siriana, a contrastare la manipolazione mediatica riguardo a quanto realmente accadeva in Siria, sento la necessità di condividere alcune riflessioni sull’articolo “Nuova Siria: un calcio all’avidità di Assad, ma anche prove di jihadismo” pubblicato dalla Bussola. In particolare, intendo evidenziare qui di seguito alcune eccessive semplificazioni e significative omissioni sul contesto siriano.
L’articolo della Bussola dedicato alla Siria propone una narrazione che, pur sollevando temi cruciali, risente di un’eccessiva semplificazione, attribuendo in modo unilaterale al regime di Bashar al-Assad la responsabilità del collasso economico e sociale del Paese. Questa impostazione, oltre a trascurare le molteplici cause strutturali ma soprattutto geopolitiche che hanno devastato la Siria negli ultimi dodici anni, sembra incline a sottovalutare i rischi e le contraddizioni del governo provvisorio guidato da Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Analizziamo più a fondo i punti critici di questa narrazione.
La responsabilità economica attribuita ad Assad: un’eccessiva semplificazione
L’articolo presenta Bashar al-Assad come il principale colpevole del collasso economico della Siria, citando episodi di corruzione, arricchimento illecito della famiglia Assad e politiche fiscali oppressive. Tuttavia, attribuire l’intero tracollo economico di un Paese a un singolo individuo ignora il complesso intreccio di fattori che hanno contribuito alla crisi.
A tal proposito, è importante ricordare che prima del 2011, ovvero prima del tentativo di regime change culminato nella guerra, nell’occupazione di parte del Paese, nell’ascesa dell’ISIS e di numerose altre sigle di miliziani estremisti, la Siria registrava una crescita del PIL del 4-5% annuo. I settori principali dell’economia comprendevano l’agricoltura, il petrolio, il turismo e l’industria, che costituivano i pilastri dello sviluppo economico del Paese.
Dal 2011, la Siria è stata devastata da una guerra civile alimentata dall’esterno che ha frammentato il territorio, distrutto infrastrutture essenziali e provocato la fuga di milioni di cittadini. Il tessuto economico del Paese, già fragile, è stato ulteriormente compromesso dall’isolamento internazionale e da sanzioni economiche draconiane imposte da Stati Uniti, Unione Europea e altri attori internazionali. Queste misure, pur mirate a colpire il regime, hanno avuto un impatto devastante sulla popolazione civile, limitando l’accesso ai beni di prima necessità e strangolando il commercio. Inoltre, l’occupazione di campi petroliferi strategici nel nord-est della Siria da parte delle forze curde, sostenute dagli Stati Uniti, ha privato il governo di Damasco di una delle sue principali fonti di reddito.
Anche il controllo delle terre fertili a nord dell’Eufrate, fondamentali per l’agricoltura siriana, è stato sottratto al governo centrale, aggravando ulteriormente la crisi alimentare. Questi elementi, ignorati dall’articolo, sono determinanti per comprendere la portata del disastro economico siriano e non possono essere ridotti alla “semplice avidità di Assad”.
Le promesse irrealistiche del governo di HTS
L’articolo sembra presentare con entusiasmo le dichiarazioni del nuovo governo provvisorio guidato da HTS, che promette di aumentare i salari del 400% e di risolvere l’emergenza economica in pochi mesi. Tuttavia, queste affermazioni mancano di credibilità.
Il governo di HTS opera in un contesto frammentato, senza il controllo di risorse strategiche o infrastrutture adeguate. La Siria è un Paese devastato, con una moneta svalutata e un sistema economico in gran parte dipendente da reti informali e dal mercato nero. Dove troverà HTS le risorse per mantenere queste promesse? L’articolo accenna ad aiuti internazionali e a risorse congelate all’estero, ma queste sono soluzioni ipotetiche, non immediate. Inoltre, HTS è riconosciuto a livello globale come un gruppo jihadista, il che limita fortemente la sua capacità di attrarre investimenti stranieri o ottenere legittimità internazionale.
Presentare tali promesse senza una contestualizzazione critica rischia di alimentare una narrativa poco realistica e propagandistica, che non riflette le reali difficoltà economiche che la Siria continuerà ad affrontare, indipendentemente da chi governi.
La regressione sociale sotto HTS: un rischio ignorato
Un altro aspetto problematico dell’articolo è la sua sottovalutazione delle implicazioni sociali e politiche del governo di HTS. La Siria, sotto il regime di Assad, ha mantenuto una struttura statale laica, nonostante le sue molte contraddizioni. Il nuovo governo provvisorio, invece, rappresenta un ritorno all’estremismo islamico, con la reintroduzione di pratiche oppressive verso le donne e le minoranze religiose.
La diffusione di simboli jihadisti, l’imposizione dell’hijab e altre restrizioni sociali indicano una regressione di decenni nei diritti civili. Questa deriva estremista non può essere ignorata o minimizzata. Anche se Assad ha governato con metodi autoritari, il rischio che HTS imponga un regime fondamentalista islamico è tutt’altro che un miglioramento per la popolazione siriana, in particolare per le comunità cristiane e altre minoranze.
Un approccio più equilibrato è necessario
L’articolo della Bussola, sebbene offra uno spaccato interessante sulla situazione siriana, soffre di un’impostazione che appare intenzionata a sminuire il più possibile il regime di Assad, favorendo al contempo una visione eccessivamente positiva del nuovo governo di Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Questa impostazione manca di oggettività, ignorando le molteplici cause del collasso siriano e le contraddizioni interne del governo provvisorio. D’altro lato sembra attingere alla vecchia retorica del sanguinario e corrotto Assad trasmessa a reti unificate da tutti i nostri media sin dall’inizio di quella proxy war che anche gli Stati Uniti non hanno avuto nessuna remora a dire apertamente in diversi documenti.
Per comprendere davvero la crisi siriana, è necessario riconoscerne la complessità: l’impatto devastante della guerra, delle sanzioni economiche, dell’occupazione straniera e delle divisioni interne. Solo un’analisi che tenga conto di questi fattori può evitare narrazioni semplicistiche e restituire dignità al dramma vissuto dal popolo siriano, senza cadere nella tentazione di schierarsi superficialmente a favore di una parte o dell’altra.
Va detto che molti siriani si sono lasciati travolgere dall’euforia per il nuovo potere. Questo atteggiamento è comprensibile, considerati i numerosi patimenti passati e tuttora in corso, oltre alla consapevolezza di cosa significhi passare da una dominazione all’altra in un clima fortemente polarizzato. Tuttavia, non si può ignorare il pogrom in corso in Siria, di cui solo in futuro conosceremo appieno l’entità. Questo entusiasmo riflette anche la speranza di un cambiamento, ma è fondamentale ricordare che la repressione vissuta dai siriani ha avuto connotazioni diverse, specialmente prima dell’era di Assad, che ha introdotto significativi cambiamenti in tema di libertà e diritti. Questo è un aspetto spesso sottolineato da persone che hanno vissuto a lungo in Siria, come mons. Nazaro, ex vescovo di Aleppo.
Ci giunge dai media ed anche in verità da tanti siriani che il popolo siriano stia festeggiando la caduta di Assad, dopo averlo sostenuto in passato. Questo può avere diverse spiegazioni, ma la vera questione non è il comportamento del popolo siriano, ma il ruolo centrale dell’Occidente, che ha orchestrato questi eventi e lasciato il popolo siriano in balia dei salafiti. Si può certamente comprendere e giustificare la reazione del popolo siriano e condannare la corruzione del regime quanto si vuole, ma è altrettanto necessario esprimere un giudizio inesorabile e inequivocabile nei confronti dell’Occidente, responsabile di aver creato questa situazione.
Sì perchè, la vera domanda è la seguente: senza l’intervento occidentale, le inique sanzioni, l’isolamento internazionale e il foraggiamento delle milizie, il futuro della Siria pre-regime change sarebbe stato migliore o peggiore rispetto a quello attuale sotto il controllo della nuova Siria guidata da HTS?
Non giudico le piazze. Hanno scelto Barabba anche in tempi antichi quando l’hanno spinto in un certo senso. Il popolo è così: imprevedibile, emotivo, forse manipolabile. Forse è insito nel carattere di certi popoli arabi questo atteggiamento—non lo so. Ma guarda Gaza: cosa fanno gli stati arabi di fronte a una mattanza simile? Restano in silenzio, inerti, spettatori di una tragedia. Tutto questo è profondamente surreale.
L’articolo menziona i vestiti di Assad con bottoni d’oro, come simbolo di opulenza e corruzione. Ma che senso hanno dei bottoni d’oro all’interno di una “prigione dorata”, isolato dal mondo per anni? La vera domanda non è quanto fossero sfarzosi i suoi abiti, ma quanto queste accuse reggano di fronte a un’analisi razionale. Se esaminiamo il bilancio dello stato, ci accorgiamo che non è matematicamente ragionevole attribuire il collasso economico siriano esclusivamente alla presunta avidità di Assad.
Si tratta di economia e di matematica, non solo di moralismo o di simboli isolati. Un sistema crolla non per i bottoni d’oro di un leader, ma per una combinazione di fattori strutturali, politici e geopolitici che travolgono un intero paese.
Per queste ragioni, non me la sento di unirmi a un tifo da stadio. Dopo aver dedicato anni di impegno ed energie a questa causa, alla causa della verità storica e in genere alla verità, provo un senso di profonda delusione davanti a una situazione che sembra riflettere la frammentazione di due popoli. E un po’ di rabbia quando vedo che qualcuno la vuole approfondire. E’ difficile accogliere con entusiasmo l’idea di un presunto miglioramento affidato a gruppi jihadisti intenzionati a instaurare un sistema basato sulla Sharia, a meno che non decidano di rinnegare la loro stessa organizzazione e il modello di governo già praticato a Idlib e che qualcuno non fornica loro ponti d’oro. Lo spero, ma è impossibile prevedere il futuro come se stessimo leggendo in una palla di cristallo.
Restiamo ancorati ai fatti, evitiamo il manicheismo e abbracciamo una lettura più storica e basata sulla realtà degli eventi.