Ospedali Italiani al collasso da lunga data, una situazione di carenza pregressa a cui il Recovery non farà fronte

Molti ospedali italiani sono pieni, ma non a causa della peste del secolo.

Il collasso degli ospedali italiani, è un fenomeno che va avanti da anni e non è cosa recente. Anche le prestazioni ambulatoriali avevano code di attesa, a volte superiori ad un anno e la situazione è generalizzata e non riferita solo al periodo pandemico. In questa settimana, abbiamo visto il collasso di molti ospedali nonostante che molti italiani da due anni hanno evitato di farsi ricoverare ed hanno rimandato molte prestazioni ambulatoriali cliniche e di prevenzione.

Tra gli ospedali italiani al collasso, ha fatto molto scalpore la notizia che l’ospedale di Pescara non solo si è trovato nella situazione di non avere più posti letto in nessun reparto e ma  il 9 di dicembre ha dovuto chiudere il pronto soccorso, perché anche le sale di degenza al pronto soccorso avevano esauriti i posti letto. Questo nonostante la pratica di far rimanere ivi in attesa i pazienti fino a 36 ore al Pronto Soccorso.

ospedale Covid a Pescara
ospedale Covid a Pescara – foto Rete 8

I media locali in merito a questa situazione hanno riportato le giustificazioni della direzione del nosocomio, che ha addotto la giustificazione delle restrizioni dovute alla peste del secolo. In realtà questo non corrisponde a realtà per due fattori: a Pescara esiste un ospedale covid a parte e non è affatto saturo e, per quando riguarda ‘le misure’ nei reparti, ad essi si accede con tamponi e green pass, quindi ci sono gli stessi posti letto disponibili.

Quel che è peggio è che questa situazione non è solo locale, ma fotografa la stessa situazione presente in Molise, in Friuli, a Roma ed altrove con situazioni non ottimali in tutta Italia.

Inoltre, si osserva che in due anni dall’inizio dell’infezione, non solo non sono aumentati i posti nei reparti rianimazioni, ma addirittura alcuni ospedali li hanno ridotti.

Sebbene è noto che la ‘cura’ di tagli che il governo Monti volle, consistette nella chiusura del 30% dei nosocomi italiani (pari a 18.000 posti letto) con un “risparmio” di 37 miliardi di euro (25 solo nel 2010-2015), è ormai indubbio che quei fatti non possono essere portati perennemente come scusante, visto che la realtà ha dimostrato che non si trattò di una decisione lungimirante ma altamente irresponsabile.
Come abbiamo visto, a tali carenze si potrebbe opporre l’obiezione che il periodo emergenziale ha saturato i posti disponibili per il distanziamento e le altre misure adottate in ambito ospedaliero, ma questo non è il caso.

La situazione di attuale precarietà del SSN si trascina da lunga data ed era già presente nel 2019, come si può leggere sul sito della Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio (SIGOT), che così fotografava la situazione al 19.02.2019:

“In Italia ci sono sempre meno posti letto negli ospedali. Non solo il nostro Paese occupa l’ultimo posto in questa (poco) invidiabile classifica, ma tra acuti e lungodegenza mancano quasi 15 mila posti letto per rispettare il parametro imposto dal Dm di 3,7 pl x 1.000 abitanti. E intanto continuano le lamentele dei cittadini per il protrarsi delle lunghe attese sulle barelle dei Pronto soccorso in attesa di un posto letto, per le liste d’attesa dei ricoveri in elezione e le difficoltà delle dimissioni dai reparti di degenza per acuti in carenza di posti letto/post acuti. Gli ultimi dati pubblicati dal ministero della Salute riportano un’ulteriore diminuzione dei posti-letto/2017 rispetto al 2016, sia per quanto riguarda gli “acuti” sia i “post acuti” (lungodegenza e riabilitazione) (Sigot)”

Quella che sta emergendo è una situazione che non trova scuse. A riprova di questo, è già stato stabilito che i fondi EU andranno in minima parte alla ristrutturazione della sanità. La maggior parte dei fondi andranno a capitoli che nulla a che fare con la salute pubblica, come la digitalizzazione, la Difesa o la parità di genere.

Per la parità di genere andranno 17 miliardi, mentre alla sanità solo 9:

Infatti, “Il Piano nazionale di ripresa e resilienza – come riporta Pagella Politicasi articolerà in sei “missioni”: 1) digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; 2) rivoluzione verde e transizione ecologica; 3) infrastrutture per una mobilità sostenibile; 4) istruzione e ricerca; 5) parità di genere, coesione sociale e territoriale; 6) salute.

Nello specifico, si prevedono 48,7 miliardi per la digitalizzazione, l’innovazione, la competitività e la cultura; 74,3 miliardi per la rivoluzione verde e la transizione ecologica; 19,2 miliardi per le infrastrutture e la mobilità sostenibile; e 9 miliardi per la sanità.

ospedale pescara

Sarebbe necessaria una grande opera di investimento in infrastrutture sul territorio.  Il sistema, secondo la Simeu (Società Italiana della medicina di emergenza-urgenza), “sta crollando: cosa deve ancora succedere perché se ne renda conto chi potrebbe intervenire con provvedimenti urgenti e straordinari?”, ma le risorse andranno altrove.

Come vedete, ogni situazione precaria viene giustificata facilmente oggi con la peste del secolo.

L’emergenza è iniziata ormai da due anni e nulla è stato fatto se non in direzione delle vaccinazioni di massa. E, come avete visto, non è stata effettuata una programmazione per migliorare la situazione.

Addirittura, ci sono alcuni capoluoghi di provincia privi di reparti specialistici (come ad es. l’Ospedale di Chieti, mancante del reparto oncologia). Inoltre, le carenze si stanno verificando non in regioni cosiddette “calde” ma in quelle con un basso numero di contagi.

Esiste quindi la volontà politica di mantenere una certa situazione per continuare in una certa direzione. Non è razionale tutto questo a meno che la razionalità si eserciti nel male.

Vp News

 

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