Padre Weinandy, un anno dopo: “Gesù sta purificando la Chiesa”

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«Santità, scrivo questa lettera con amore per la Chiesa e rispetto sincero per il suo ufficio». Era il 1° novembre 2017 quando Thomas G. Weinandy scriveva così all’inizio della sua lettera a papa Francesco. Un testo dolente, nel quale il teologo americano, padre cappuccino, diceva al pontefice: «Una confusione cronica sembra contrassegnare il suo pontificato. La luce della fede, della speranza e dell’amore non è assente, ma troppo spesso è oscurata dall’ambiguità delle sue parole e azioni. Ciò alimenta nei fedeli un crescente disagio. Indebolisce la loro capacità di amore, di gioia e di pace».

Nella lettera Weinandy forniva una serie di esempi, partendo dal controverso capitolo ottavo di Amoris laetitia e toccando questioni come il declassamento sostanziale della dottrina, le nomine di certi vescovi e una concezione della sinodalità che permette e alimenta la coesistenza di diverse visioni dottrinali e morali. Infine il teologo toccava la questione della libertà di pensiero: «Padre Santo, questo mi porta alla mia preoccupazione finale. Lei ha parlato spesso della necessità della trasparenza all’interno della Chiesa. Lei ha incoraggiato spesso, soprattutto durante i due sinodi passati, tutte le persone, specialmente i vescovi, a parlare francamente e a non aver paura di ciò che il papa potrebbe pensare. Ma lei ha notato che la maggioranza dei vescovi di tutto il mondo stanno fin troppo in silenzio? Perché è così? I vescovi imparano alla svelta, e ciò che molti di loro hanno imparato dal suo pontificato non è che lei è aperto alla critica, ma che lei non la sopporta. Molti vescovi stanno in silenzio perché desiderano essere leali con lei, e quindi non esprimono – almeno in pubblico; in privato è un’altra cosa – le preoccupazioni che il suo pontificato alimenta. Molti temono che se parlassero con franchezza sarebbero emarginati o peggio».

Infatti. Padre Weinandy, come molti altri che sono usciti allo scoperto, ha pagato di persona: non avendo ricevuto risposta alla lettera, decise di renderla pubblica, e poco dopo fu allontanato dalla  Commissione teologica internazionale, della quale faceva parte dal 2014.

Quando ancora non aveva deciso se scrivere o meno, Weinandy chiese al Signore un segno: se lo avesse ricevuto, avrebbe scritto. Il segno arrivò puntualmente e la missiva fu scritta e inviata. Per questo il teologo è stato sbeffeggiato da due chierici, che evidentemente hanno smesso da un pezzo di credere al soprannaturale. In compenso, il teologo riferisce di aver ricevuto centinaia di e-mail e decine di lettere di solidarietà e vicinanza, in gran parte provenienti da persone mai conosciute prima e in particolare da laici.

Un anno dopo, Weinandy riflette: «Un sacco di cose sono accadute all’interno della Chiesa durante l’anno da quando ho reso pubblica la mia lettera. Non ho bisogno di provare tutti i mali che sono venuti alla luce. Sono conoscenza comune. Le preoccupazioni e le apprensioni che ho espresso nella mia lettera sono più rilevanti ora di quanto lo fossero un anno fa. Il Corpo di Cristo soffre attualmente più di quanto non fosse allora, e temo che la sofferenza diventerà ancora più intensa […]. Sono, tuttavia, pieno di speranza. Sono fiducioso perché so che molti stanno pregando e anche digiunando per il rinnovo della fede all’interno della Chiesa. Inoltre, sono più convinto di un anno fa che, esponendo tutto il male, il Signore Gesù sta purificando il suo corpo, la Chiesa»  (https://www.thecatholicthing.org/2018/10/31/the-letter-one-year-later/)

Penso che molti si possano riconoscere nelle considerazioni del padre Weinandy. Purtroppo però la prassi di colpire le voci critiche non viene meno. L’ultimo caso riguarda monsignor Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana e precedentemente vescovo di Karaganda, che  ha ricevuto dal Vaticano la richiesta di ridurre la frequenza dei suoi viaggi all’estero (ne riferisce Marco Tosatti: https://www.marcotosatti.com/2018/11/06/il-papa-impone-i-domiciliari-al-vescovo-athanasius-schneider-niente-di-scritto-cosi-non-e-possibile-il-ricorso/). È stato il nunzio in Kazakhistan, Francis Assisi Chullikatt, a comunicare al vescovo la misura proveniente dal segretario di Stato Parolin. Nessuna motivazione è stata addotta da parte della Santa Sede per giustificare la richiesta. Sta di fatto che ora, in caso di spostamento, Schneider, una delle voci più libere tra i vescovi, sarà tenuto ad avvertire il nunzio.

Aldo Maria Valli

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