GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA PER LA PACE IN SIRIA – sabato 11 maggio 2013

Per la LA GIORNATA DELLA PACE PER LA SIRIA di sabato 11 maggio:  partecipiamo tutti… PREGHIERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI AL MURO OCCIDENTALE DI GERUSALEMME (Martedì, 12 maggio 2009) Dio di tutti i tempi, in occasione della mia visita a Gerusalemme, la “Città della Pace”, patria spirituale di Ebrei, Cristiani e Musulmani, porto al …

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La Settimana Santa delle Chiese d’Oriente nel segno dei vescovi rapiti

da Oriente Cristiano – Vaticaninsider  – 29 aprile 2013 Roma Le comunità cristiane presenti in Siria si ritrovano insieme a implorare la liberazione dei due vescovi di Aleppo rapiti – il metropolita siro-ortodosso Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e quello greco-otodosso Boulos al-Yazigi – attraverso veglie di preghiera, celebrazioni liturgiche, manifestazioni e sit-in, mentre anche nel …

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USA – SIRIA: lotte interne e lotte esterne

Armi chimiche si armi chimiche no. Ricomincia l’eterno dilemma teso a spostare il problema. In Siria in due anni di guerra solo due casi certi di avvelenamento di agenti chimici, sono entrambi dell’anno scorso: un ribelle che è inciampato in due taniche in un laboratorio chimico strappato ai governativi e alcuni soldati siriani intossicati in …

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Siria: testimonianza dei salesiani – L’ “Amata Siria”

Damasco 21 Aprile 2013

Damasco: Lunedì 8 aprile, appena giunto a Damasco dal Libano, dove ho partecipato agli esercizi spirituali con ventidue confratelli, una forte esplosione scuote il centro della capitale alle ore 11.45. Ancora una volta, il sangue di una ventina di vittime si aggiunge a quello di molte altre, bagnando le strade della capitale e gettando dolore e lutto in tante famiglie. Però la gente continua a vivere nella totale insicurezza a causa delle frequenti esplosioni o degli spari o dei mortai ecc… , come quello 28 marzo scorso, che stroncato la vita di decine di studenti della facoltà di architettura.

Tuttavia, la situazione generale di Damasco, città cosmopolita di circa 5.000.000 di abitanti, non era mai stata così drammatica e preoccupante come in altre città, benché i rumori di guerra si sentissero ogni giorno e quasi a tutte le ore. Infatti, la prima esplosione in Damasco avvenne in dicembre 2011, e poche altre si susseguirono sporadicamente.

Fino alla prima metà di luglio 2012, le attività formative, spirituali, culturali e sportive del Centro giovanile di Damasco si svolsero normalmente, con la presenza di circa 350 ragazzi e ragazze delle elementari e medie. Il “programma formativo” era stato stampato per intero e si svolgeva in cinque giornate della settimana, da metà giugno alla prima settimana di agosto.

Da luglio 2012 cambiò radicalmente l’atmosfera di serenità che si respirava in città, a causa di vari attentati. Da allora le attività si svolsero soltanto nella mattinata dalle 9.00 alle 13.00, e con una certa trepidazione, per l’insicurezza del trasporto dei ragazzi, il cui numero diminuì sensibilmente.

A settembre 2012, il Centro giovanile inizia le sue attività, accogliendo una trentina di giovani, fra licealisti e universitari, tre ritiri dedicati alla preghiera per la pace e all’adorazione del Signore Gesù. Il 16 settembre 2012 si riaprono le scuole statali, nonostante rumori di guerra in lontananza. E la comunità salesiana decide di non iniziare alcuna attività con i piccoli, prima di vedere come si svolge l’andamento della situazione. Nel frattempo, il Centro giovanile tiene sempre la porta aperta ai grandi.

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L’EUROPA NON HA MEMORIA. Hitler in un suo celebre discorso del 1939: «Chi mai si ricorda», si chiese, «dei massacri degli armeni?». Poi, avvenne l’Olocausto…

“…Se ne ricordano gli armeni, se ne ricordò una mozione del Parlamento italiano nel 2001, se ne ricordò il Papa il 9 novembre 2000, anche se fu insultato dai giornali turchi, se ne ricordarono Russia, Argentina, Bulgaria, Cipro, Grecia, Belgio e soprattutto Francia. L’Europarlamento pose il riconoscimento del genocidio come condizione perché la Turchia entrasse …

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Il riconoscimento del genocidio armeno non è un atto di inimicizia nei confronti della Turchia

Il riconoscimento del genocidio armeno, quindi, non è un atto di inimicizia nei confronti della Turchia, anzi è un segno di amicizia nei suoi confronti, poiché il vero amico non è chi accondiscende anche alle malefatte del proprio amico, ma colui che, criticandolo per i suoi errori, lo induce a correggerli. Il riconoscimento del genocidio armeno è quindi uno stimolo, un aiuto rivolto alla classe dirigente della Turchia ed alla popolazione di quel paese affinché si liberi di una pesante eredità negativa del passato la quale, fino a che non verrà rimossa, costituirà un ostacolo ad un pieno sviluppo della democrazia e delle libertà civili in quel paese. (voce armena web site)

Gli Armeni sono gli abitanti autoctoni dell’Armenia e la loro presenza su quel territorio è documentata da testimonianze risalenti a più di 2500 anni fa. Fino all’inizio del ventesimo secolo essi hanno abitato un vasto territorio che, estendendosi ben oltre i confini dell’attuale Repubblica Armena ex sovietica, ingloba il lembo nord-occidentale dell’Iran, tutta la parte orientale della Turchia, le regioni occidentali dell’ Azerbaigian ed una parte nel sud della Georgia.

FireShot Screen Capture 092 Genocidio Armeno e Hrant Dink Holy Mountains SOAD by foco YouTubeSu questo territorio gli Armeni già più di duemila anni fa hanno costituito un proprio stato unitario che nel corso dei secoli ha perso e più volte riconquistato la propria indipendenza, subendo a più riprese invasioni e dominazioni straniere.

All’inizio del 4° secolo l’Armenia si convertì al Cristianesimo divenendo così il primo stato ad accettare la fede cristiana come religione di stato.

La dominazione straniera più lunga e nefasta per l’Armenia è stata quella dei Turchi che vi penetrarono per la prima volta circa nove secoli fa e pian piano la soggiogarono instaurando un regime di pulizia etnica ante litteram, con soprusi, vessazioni, conversioni forzate all’Islam, periodici pogrom e ricorrenti massacri.

Verso la fine del diciannovesimo secolo le persecuzioni contro gli Armeni da parte dei Turchi aumentarono in intensità ed in ferocia, raggiungendo il loro culmine sotto il regno del sultano Abdul Hamid 2° che, alle richieste degli Armeni di ottenere riforme volte a tutelare le loro vite, le loro persone ed i loro beni, rispose con dei massacri di massa nel corso dei quali, dal 1895 al 1897, furono trucidati 300.000 Armeni.

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Gabriel Garcia Moreno Presidente dell’Ecuador, martire

Guayaquil, Ecuador, 24 dicembre 1821 – Quito, Ecuador, 6 agosto 1875 ( di Rino Camilleri)

A 022br MorenoGabriel García Moreno nacque a Guayaquil il 24-12-1821 (la città indipendente dal 1820, fece parte della Grande Colombia dal 1822 e dopo lo scioglimento di quest’ultima, dal 1830 all’Ecuador),

Studiò a Parigi (1854) e fu poi nominato rettore dell’Università di Quito (1856-1857). Dopo aver attivamente partecipato ai moti di Guayaquil del 1859, dominò la vita dell’Ecuador, essendo capo del partito dei conservatori cattolici intransigenti.

Eletto Presidente della Repubblica (1861-1865), promulgò nello stesso anno una Costituzione che istituiva il suffragio universale.

Nel 1863 firmò col Vaticano un Concordato; instaurò un regime teocratico, soppresse la libertà di stampa, riservò l’insegnamento alle Congregazioni religiose specie ai Gesuiti, affidò l’amministrazione della giustizia alle autorità ecclesiastiche e infine consacrò l’Ecuador al Sacro Cuore di Gesù.

Ritornato al potere nel 1869, promulgò una nuova Costituzione, ma nonostante un’amministrazione fiscale abile e prosperosa, entrò in contrasto con l’opposizione liberale (accentuatamente anticlericale) capeggiata dallo scrittore Juan Montalvo.

Governò l’Ecuador con poteri dittatoriali fino 6 agosto 1875, quando fu assassinato; seguì una lunga guerra civile fra i due partiti dei conservatori, rappresentanti gli interessi dei feudatari della Sierra e dei liberali rappresentanti della borghesia costiera.

Il 30 gennaio 1985, in occasione della visita in Ecuador, Giovanni Paolo II ha rinnovato l’atto di consacrazione dell’Ecuador al Sacro Cuore di Gesù, ripetendo letteralmente quello pronunciato il 25 marzo 1874 dall’allora Presidente della repubblica Ecuadoriana, don Gabriel Garcia Moreno.

Noi, abituati a ben altri atti politici, difficilmente riusciamo ad immaginare un Presidente intento in enunciazioni di principio siffatte e una Costituzione Repubblicana che preamboli riferendosi direttamente al Re dei Re. Eppure è accaduto, e in tempi non certo meno difficili, giusto all’indomani della breccia di Porta Pia, in quel Sudamerica ove i circoli massonici provocavano rivoluzioni e colpi di mano militari quasi a getto continuo.

L’intuizione di fondo di Garcia Moreno fu che l’unità e l’identità del suo popolo riposavano sul cattolicesimo e non su pezzi di carta più o meno solenni. Egli riuscì in pochi anni a pacificare e a far prosperare il suo Paese, applicando semplicemente i principi della Dottrina Sociale Cattolica. E il successo del suo progetto è testimoniato proprio dal tragico epilogo della sua vicenda: i propugnatori della laicizzazione totale dello Stato non ebbero altra risorsa – dopo aver tentato tutte le vie; non escluse l’insurrezione armata e la propaganda diffamatoria – che quella del pugnale. Garcia Moreno venne infatti assassinato mentre usciva dalla cattedrale il 6 agosto 1875, il giorno prima del suo mandato presidenziale.

Prima di tracciare la figura e l’opera di questo politico cattolico (che riuscì persino a diminuire le tasse), vediamo qual era la situazione del Sudamerica a quel tempo.

Il continente delle rivoluzioni

Chi ha visto il film “Mission” può farsi un’idea di quel che fosse il Sudamerica prima di Bolivar. La tratta degli schiavi, propugnata da illuministi come Voltaire e il marchese di Pombal, l’espulsione dei Gesuiti, lo sfruttamento sistematico e congiunto sia da parte di sovrani “illuminati”, come quelli di Francia e Inghilterra, sia dai “cattlicissimi” di Spagna e Portogallo, avevano fatto di quello sventurato continente terra di saccheggio e di massacro.

L’indipendenza – ottenuta come quella italiana – non fu altro che cambiar padrone e passare dal servaggio all’aristocrazia “illuminata” e cicisbea a quella più odiosa del denaro. C’è un altro film a questo proposito che meriterebbe esser rivisto: “Queimada”, di Gillo Pontecorvo. L’”anima” delle varie “indipendenze” era, come al solito, l’Inghilterra, che con la sovversione e le dottrine economiche di Ricardo andava convincendo i popoli della terra dei vantaggi della sua supremazia.

Il “libertador” Simon Bolivar aveva quasi immediatamente visto la sua opera degenerare in un inferno continuo di “liberazioni”, l’una dietro l’altra, dal tiranno di turno. Nel 1822 sulle mura di Quito si leggeva una frase tracciata da mano anonima, che riassumeva la situazione: “Ultimo dìa del despotismo, y el primero del lo mismo”. Gli ecuadoregni avevano perfettamente capito, pur senza aver letto il “Gattopardo”.

Bolivar doveva vedere coi suoi occhi lo sfacelo di quel aveva creato e i suoi generali – come quelli di Alessandro Magno – dividersene gli avanzi.

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