Articolo pubblicato su recensioni e storia.it – 15 febbraio 2002
Si sperava di finanziare con il ricavato di quegli espropri le nuove guerre contro il Papa e soprattutto contro l’Austria
di Roberto Cavallo
“Il naufragio dei chiostri. Conventi di Terra d’Otranto tra restaurazione borbonica e soppressione sabauda”: è il titolo del libro (Besa Editore) con cui Oronzo Mazzotta getta un po’ di luce, con dati d’archivio alla mano, su un capitolo scarsamente conosciuto della nostra storia risorgimentale.
Anche in Italia tutto comincia con la Rivoluzione francese e con la conseguente invasione napoleonica della Penisola. Si attua, negli staterelli giacobinizzati, una prosecuzione della legislazione che in Francia aveva colpito la Chiesa cattolica. Soltanto nella Terra d’Otranto, che è poi l’ambito geografico preso in considerazione dal libro, Gioacchino Murat nel 1809 cancellò 165 conventi sia maschili che femminili (quasi l’86% del totale!): “Mandò a casa oltre 900 religiosi, sacerdoti e laici, e ne incamerò tutti i beni, mobili ed immobili”.
Con la restaurazione borbonica venne sottoscritto nel 1818 il concordato di Terracina tra la S.Sede e il Regno delle Due Sicilie. Con tale trattato una parte dei beni sottratti agli ordini religiosi vennero restituiti alla Chiesa, anche se molte case e terreni erano già stati alienati a privati cittadini e dunque erano diventati difficilmente recuperabili. Era comunque un’indubbia inversione di tendenza, e quantunque lo spirito dell’illuminismo e del giurisdizionalismo non lasciasse del tutto immune la corte napoletana, veniva sancita e garantita di fatto la piena libertà religiosa per le comunità cattoliche meridionali.