Ora che è tramontata, almeno momentaneamente, l’ipotesi di imporre la vaccinazione obbligatoria per il covid a tutti cittadini, si profila all’orizzonte una nuova battaglia, che sarà quella sul cosiddetto “pass vaccinale”. Si potrà o meno limitare l’accesso del cittadino a locali e servizi in base al suo status vaccinale? Riportiamo di seguito l’opinione di Ginevra Cerrina Feroni, vice Presidente del Garante per la protezione dei dati personali.
“Pass vaccinali illegittimi senza una legge ad hoc”
Intervento di Ginevra Cerrina Feroni, vice Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
L’avvio della campagna vaccinale è un fatto importantissimo e, ci auguriamo, risolutivo. I nodi giuridici che si stanno ponendo sono, tuttavia, estremamente delicati. Andiamo per punti.
1) Sembrano per adesso essere state accantonate per il nostro Paese ipotesi di introduzione di forme di obbligatorietà del vaccino, ai sensi e nei limiti di quanto prescrive la nostra Costituzione (art. 32). Quanto meno in questa prima fase di campagna, tendente ad assicurare copertura alle categorie più a rischio (soggetti di età elevata o con precarie condizioni di salute, operatori sanitari, lavoratori a contatto con il pubblico). Del resto parlare di obbligatorietà, anche solo a fronte dei numeri finora ridotti di dosi disponibili, è sembrato quasi un ossimoro. Corretto, dunque, evocare la raccomandazione a vaccinarsi e non l’obbligo. Lo ha ribadito, da ultimo, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa nella risoluzione del 27 gennaio 2021 che ha messo in guardia da forme di discriminazione nei confronti di coloro che decidano di non vaccinarsi, nel pieno esercizio della loro libertà di autodeterminazione (artt. 8 e 9 CEDU, art. 5 della Convenzione di Oviedo). Scelta che – si badi – non ha, sovente, alcuna valenza ideologica no vax, ma che, più semplicemente, nasce anche in ragione dello stato non consolidato delle conoscenze scientifiche sul grado di efficacia del vaccino e sui potenziali effetti collaterali discendenti dalla sua somministrazione.
2) Se non c’è obbligo di vaccino, se ne devono trarre tutte le necessarie conseguenze. Ovvero che non sono ammissibili forme alcune di discriminazione, nel senso di limitazione e compressione di diritti in danno dei soggetti che non abbiano ancora potuto vaccinarsi o rinunzino alla copertura vaccinale. Ciò anche alla luce del dettato del sopra richiamato art.32 della Costituzione che vieta ogni forma di trattamento sanitario obbligatorio, in assenza di una espressa, e perciò eccezionale, previsione di legge, e fatto salvo in ogni caso il rispetto della persona umana.
3) Ne discende, dunque, che la previsione di un pass/certificato recante informazioni sulla sottoposizione del cittadino al vaccino – al fine di consentire l’accesso, riservato o privilegiato, in determinati luoghi (aeroporti, alberghi, cinema, ristoranti, ecc) e la fruizione di determinati servizi incidenti su libertà costituzionalmente garantite (di svago, di libera esplicazione della propria personalità, di circolazione) – avrebbe un effetto-paradosso. Non solo perché tradirebbe i postulati evidenziati dal Consiglio d’Europa ma perché introdurrebbe, direttamente, un trattamento discriminatorio e sanzionatorio per i non vaccinati e, in forma surrettizia, l’obbligo del vaccino. La previsione di misure afflittive, incidenti sulla sfera giuridica dei soggetti “non vaccinati”, implicherebbe infatti, giocoforza, riconoscere il carattere “obbligatorio” del vaccino medesimo.
4) Se poi pass o certificati vaccinali dovessero essere il definitivo approdo per il nostro Paese, un tale obbligo, con le correlate “sanzioni”, non potrebbe che essere il frutto di una chiara scelta legislativa statuale, di cui il legislatore si dovrebbe assumere tutte le responsabilità. Non certo quello dell’iniziativa estemporanea, pur animata dalle migliori intenzioni, di singole istituzioni pubbliche, o di operatori privati.
MISURE OMOGENEE
La Corte Costituzionale insegna che la profilassi per la prevenzione delle malattie infettive impone l’adozione di misure omogenee sul territorio nazionale, rientrando nello spettro delle indeclinabili attribuzioni dello Stato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. q) e 3, Cost. Del resto la riserva di legge statale in materia di trattamenti sanitari di cui all’art. 32 Cost. è, a sua volta, posta a presidio del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost.
5) La previsione di vere e proprie sanzioni, quali sarebbero l’impossibilità di accedere a determinati luoghi come alberghi, teatri, discoteche, ovvero di fruire di determinati servizi come il trasporto pubblico – così anche precludendo l’esercizio di libertà personali, di diritti sociali, ovvero il compiuto e agevole espletamento di attività professionali, lavorative o di studio da parte dei soggetti “inadempienti “rientra certamente nella riserva di legge statuale, ai sensi degli artt. 23 Cost., 7 CEDU e 49 Carta di Nizza.
6) L’esigenza di una espressa legge dello Stato si renderebbe necessaria anche al fine di assicurare la chiarezza e l’uniformità del precetto su tutto iI territorio nazionale. Si pensi solo alla confusione che potrebbe determinarsi in caso di inosservanza alle diverse prescrizioni dei passaporti vaccinali eventualmente introdotte con provvedimenti, anche di natura legislativa, da parte di singole Regioni.
7) Quanto all’Europa, sta entrando nel vivo la discussione sulle ipotesi di introdurre passaporti vaccinali, patentini sanitari o green pass per viaggiare tra Stati anche in vista della stagione estiva e di ovvie ragioni di rilancio del turismo. Ma qui il tema si fa ancora più complesso per tre concorrenti ragioni. La prima è che l’eventuale documento digitale che certifichi il vaccino dovrà essere compatibile per i diversi Paesi europei, anche sulla base dello stato di avanzamento dei piani vaccinali nazionali. La seconda è che pare necessaria una normativa europea vincolante per tutti gli Stati dato che si va a impattare proprio sul caposaldo dell’impianto europeo, ovvero la libertà di circolazione. La terza è che l’eventuale normativa dovrà essere costruita nell’osservanza dei principi del Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, tanto più cogenti in quanto si è in presenza di dati – quelli sanitari – che esigono, per la loro “sensibilità”, un più ampio grado di tutela.
Fonte Garante per la Privacy