[Abbiamo più volte trattato della condanna per abusi risalenti agli anni ’90 del cardinale australiano George Pell (vedi anche qui). Questa interessante analisi di George Weigel, scrittore, biografo di S. Giovanni Paolo II e direttore per gli studi cattolici all’Ethics and Public Policy Center di Washington D.C, mette in luce, oltre alle già note contraddizioni relative al processo in cui questo si è svolto, l’atmosfera di pregiudizio anticattolico nei confronti del card. Pell, paragonandolo ad un altro che si celebrò negli Stati del Sud dell’America degli anni ’30.
Sottolinea anche una sospetta coincidenza temporale tra la sua incriminazione e i progressi che, su incarico di Papa Francesco, stava compiendo nel mettere ordine nelle finanze della Santa Sede.
Ecco l’articolo pubblicato il 31 dicembre scorso sul New York Post, tradotto per noi da Annarosa Rossetto.
Nessuno con un minimo senso di giustizia può non indignarsi quando, ne “Il buio oltre la siepe”, una giuria a Maycomb, Alabama, si piega alla pressione sociale e condanna un uomo innocente per un crimine che non avrebbe potuto commettere.
Qualcosa di simile è avvenuto nel mondo reale il mese scorso a Melbourne, in Australia, dove il cardinale George Pell è stato condannato falsamente e erroneamente per l’accusa di “pregressi abusi sessuali” risalenti agli anni ’90.
E’ difficile ricostruire i fatti riguardanti il caso a causa di un ordine di bavaglio ai media emesso dal giudice del processo. Pell, ex arcivescovo cattolico di Melbourne e Sydney e in seguito capo dell’ufficio finanziario del Vaticano, è stato per lungo tempo nel mirino di un giornalismo inferocito.
Il giudice del processo era giustamente preoccupato che l’apertura del procedimento avrebbe reso impossibile per Pell ottenere un processo equo per accuse che egli ha sempre negato con forza. Quell’ordine ha lasciato gli australiani a lungo al buio. Ma alcuni fatti sono noti e altri possono essere ragionevolmente dedotti.
Il primo processo al cardinale si era concluso senza che la giuria riuscisse a raggiungere il verdetto, con 10 dei 12 giurati a favore dell’assoluzione.
Nel nuovo processo, la difesa ha dimostrato nuovamente che era fisicamente impossibile che si fosse verificato il presunto abuso di due ragazzi del coro (uno ora deceduto), dati la planimetria e le misure di sicurezza della cattedrale cattolica di Melbourne e il fatto che il coro e Pell fossero in due luoghi diversi quando si presume che l’abuso si sia verificato.
Pell, inoltre, è stato sempre circondato da altre persone nella cattedrale quel giorno del 1996. Perché la polizia di Melbourne non si sia mai presa la briga di indagare su questi fatti a discolpa è uno dei tanti misteri in questa sordida faccenda.
La giuria del nuovo processo ha impiegato giorni per raggiungere un verdetto, durante il quale i giurati hanno chiesto al giudice processuale le istruzioni su come le prove dovessero essere prese in considerazione. Che un voto schiacciante per l’assoluzione al primo processo sia stato poi ribaltato in un verdetto unanime di colpevolezza, porta a concludere che la giuria ha scelto di ignorare le prove che i presunti crimini non potevano essere accaduti.
Le autorità legali possono discutere alcune delle curiosità del sistema di giustizia penale a Melbourne. Perché, ad esempio, un imputato non può richiedere un processo senza giuria con il solo giudice, quando un’atmosfera giudiziaria pregiudizievole rende virtualmente impossibile la selezione di una giuria imparziale?
Come può un crimine che si presume essere stato commesso 22 anni fa, essere sottoposto a processo senza alcuna prova che confermi che si sia verificato?
Come possono essere portate avanti delle accuse quando le autorità pubbliche avrebbero potuto facilmente determinare che il presunto abuso non sarebbe potuto accadere, perché le vittime e il presunto colpevole non sono mai stati a distanza ravvicinata, tanto meno da soli senza testimoni?
Qualsiasi giudizio sul verdetto Pell deve anche tenere pienamente conto dell’atmosfera in cui è stato giudicato il caso del cardinale. L’anti-cattolicesimo è un punto fermo della cultura australiana da decenni. I media locali hanno distorto a lungo la figura di Pell, un riformatore della Chiesa, presentandolo come un politico ecclesiastico assetato di potere, e quella caricatura lo ha reso un comodo capro espiatorio per i gravi crimini di altri sacerdoti e vescovi.
Eppure, come arcivescovo di Melbourne, Pell istituì il primo processo in Australia per indagare e risarcire le richieste di abusi sessuali da parte del clero. E come arcivescovo di Sydney, ha applicato a sé stesso dei protocolli rigorosi, facendosi da parte fino a quando le precedenti pretestuose accuse di abuso contro di lui non sono state investigate a fondo – e respinte – da una precedente corte suprema di giustizia australiana.
Per i partigiani di vario genere, tuttavia, nessuna delle pur efficaci opere di George Pell nel ripulire la Chiesa dall’orrore degli abusi sessuali aveva importanza.
I laicisti aggressivi non gli potevano perdonare il suo robusto cattolicesimo. La maggior parte dei progressisti cattolici non può tollerare la sua ortodossia. Alcuni dei nemici di Pell hanno avuto la correttezza di respingere le accuse contro di lui considerandole ridicole, e dopo la sua condanna alcuni hanno detto che era una buffonata. Ma la disgustosa atmosfera di Melbourne ricorda quella dell’Alabama rurale degli anni ’30.
Un altro aspetto di questo errore giudiziario meriterebbe un’indagine da parte di giornalisti intraprendenti. Pell è stato chiamato a Roma da Papa Francesco per ripulire le finanze del Vaticano, un’impresa erculea in cui stava facendo progressi. Poi, proprio mentre stava per arrivare a mettere le mani sulla corruzione più grave, che coinvolge centinaia di milioni di euro e i mondi ombra della finanza globale, sono state fatte queste accuse di abuso e Pell ha dovuto tornare in Australia per difendersi.
Questo tempismo è stato una pura e semplice coincidenza? A Roma i sostenitori degli sforzi riformatori di Pell con cui ho parlato pensano di no. Proprio come nella Maycomb di Harper Lee, c’è qualcosa di marcio in questa vicenda. E non è il personaggio del cardinale George Pell.
Fonte: The New York Post
George Weigel, biografo di Giovanni Paolo II, tiene la cattedra William Simon in Studi cattolici presso l’ Ethics and Public Policy Center.
L’articolo Pell, un cardinale vittima di “razzismo” anticattolico? proviene da Il blog di Sabino Paciolla.
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