IL PENSIERO POLITICO DI MONSIGNOR GIUSEPPE NAZZARO RIGUARDO ALLA SIRIA (2° parte)

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UNA LETTURA STORICO- POLITICA DELLA MISSIONE DI MONSIGNOR NAZZARO IN TERRA ARABA
  Relazione presentata al convegno in memoria di Padre Giuseppe Nazzaro o.f.m, a san Potito Ultra, il 5/11/2016
  di Benedetta Panchetti

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1 I rapporti islamo- cristiani: fermezza nella fede, ecumenismo del quotidiano
Uno dei temi fondamentali del suo pensiero che emergeva in relazione al mondo arabo, ed alla Siria in particolare, era la necessità di un dialogo franco con i musulmani, che partisse dalla fermezza nell’affermazione dei principi della fede e dell’identità cristiana e dal rispetto di quelli della religione musulmana e delle sue autorità. Grazie alla profondissima conoscenza del Corano e dei testi religiosi islamici ha sempre potuto dialogare personalmente e liberamente, soprattutto nelle vesti di Vicario Apostolico ad Aleppo, con le autorità musulmane e con i semplici fedeli, affermando la necessità, da un lato, del rispetto dovuto alle comunità cristiane nelle diverse espressioni del proprio credo, e, dall’altro, del rafforzamento del dialogo quotidiano, tra amici, conoscenti, colleghi di lavoro e compagni di classe di fedi diverse.
In questo aspetto vedeva l’elemento più positivo e prezioso della società siriana degli ultimi anni: il periodico ripetersi di incontri con il gran Mufti della Repubblica e con altre autorità musulmane, la pacifica convivenza negli stessi villaggi o quartieri di cristiani e musulmani.
E questo sottolineava anche quando si riferiva all’Egitto, dove raccontava i grandi pericoli corsi dai cristiani durante la Presidenza di Morsi a causa degli attacchi contro chiese e case cristiane da parte di gruppi fondamentalisti islamici ma allo stesso tempo sottolineava anche i casi in cui semplici cittadini egiziani musulmani erano accorsi a protezione dei loro vicini cristiani.
Se già questa sua posizione lo poneva al centro di una delle tematiche più scottanti della nostra epoca, ancor di più ciò può essere rilevato quando affrontava il problema del rapporto con i governi.
2 I rapporti tra comunità cristiane e governi arabi
Anche in questo caso il centro del suo pensiero era la tutela della libertà della Chiesa, sia come istituzione cui doveva essere garantita la libertà di conservare e di trasmettere la fede pubblicamente sia come insieme del clero e dei fedeli, cui doveva essere riconosciuta la libertà di professare il proprio credo senza subire limitazioni nel godimento dei diritti umani, politici e sociali e discriminazioni nelle possibilità di accesso all’istruzione, al mondo del lavoro, alla pubblica amministrazione. Per questo ricordava spesso le limitazioni vissute come parroco nell’Egitto del presidente Mubarak, quando la ristrutturazione o la nuova costruzione di una chiesa, formalmente permesso dalla legge, in pratica era reso impossibile dalle autorità statali che non concedevano i permessi necessari e i cristiani erano sistematicamente estromessi dalle cariche pubbliche più alte e dagli incarichi più prestigiosi nella pubblica amministrazione. Allo stesso tempo, però, ha denunciato con forza il peggioramento delle condizioni di vita dei cristiani e di tutti gli egiziani quando nel 2012 le elezioni democratiche hanno portato al potere il primo presidente proveniente dal gruppo islamico fondamentalista dei Fratelli Musulmani. Infatti, spesso ha indicato questo fallimento del processo democratico in Egitto come un esempio per il futuro della Siria, affermando che i siriani, soprattutto i cristiani ma anche i musulmani non fondamentalisti, avevano ben compreso quale effetto distorto possa avere il tentativo di formare un governo democratico secondo standard occidentali che però non tengono conto delle specificità storiche e sociali dei popoli del medio-oriente. L’analisi di quel periodo diventava nel suo pensiero una triste riproposizione dell’esempio dell’Iraq, anch’esso ben conosciuto dai siriani: in Egitto come in Iraq, sottolineava spesso Sua Eccellenza, la democrazia aveva portato al potere governi incapaci di tutelare la vita dei non musulmani, spesso oggetto di attentati contro le Chiese e i luoghi di ritrovo, colpiti anche con rapimenti e omicidi mirati.
Come affermato a durante la conferenza tenuta all’Università degli studi di Pisa nell’aprile 2015 con il professor Marcello Mollica e successivamente a Livorno, in una delle sue ultime interviste pochi mesi prima della morte, il popolo siriano aveva accolto fino al 2010 ben 1 milione di profughi iracheni, tra i quali moltissimi cristiani, fuggiti dal loro paese a causa della guerra iniziata nel 2003 e ad oggi mai veramente conclusa, che aveva avuto tra le prime conseguenze la nascita di innumerevoli gruppi armati islamici dediti al rapimento e all’uccisione di cristiani e al saccheggio delle loro case e chiese. Ben prima della nascita e dei successi militari dello stato islamico, infatti, i cristiani iracheni erano fuggiti da Baghdad e dall’Iraq, dopo l’uccisione di due vescovi cattolici e alcuni sacerdoti a Mosul ed il rapimento di decine e decine di laici.
3 La posizione sulla Siria
Proprio per questi motivi, avendo vissuto in Siria sia sotto il regime del Presidente Hafez al Assad sia sotto quello del figlio Bashar, ha sostenuto la necessità per l’Europa e l’America di supportare e incoraggiare le prime timide riforme economiche messe in atto da Bashar all’inizio della sua presidenza, nel 2010, nel corso della breve “Primavera di Damasco”. Pur consapevole della necessità che il regime implementasse alcune riforme politiche, si è opposto fino alla fine della sua vita all’idea che l’appoggio indiscriminato a formazioni di ribelli, finanziati da paesi esteri, fosse la strada per costruire una Siria ancora unita, democratica e pluralista. Anzi, in virtù della conoscenza approfondita e di lungo periodo della realtà siriana, era ben cosciente degli antichi piani di divisione del paese, messi in atto per la prima volta dalla Francia nel 1920 e poi ripresi dalla Turchia e negli anni più recenti da Arabia Saudita e Qatar, come ben descrisse agli studenti delle facoltà di scienze politiche e giurisprudenza a Pisa nell’aprile 2015. Fin dal 2011 con grande amarezza e dolore constatò l’appoggio europeo e americano a quei gruppi di ribelli, armati dai paesi sunniti quali Arabia Saudita e Qatar e legati ad Al Qaida, che intendevano- ed intendono tutt’oggi- trasformare la Siria in uno stato islamico, dividendo il paese in aree omogenee religiosamente ed etnicamente.
Con la stessa amarezza e con altrettanta lucidità denunciò sempre anche le mire occidentali su quella parte di Siria nei cui sottosuolo si trovano giacimenti di gas e petrolio, e i piani del governo turco di trarre vantaggi commerciali dallo smantellamento del sistema industriale di Aleppo: oggi ne abbiamo le prove, grazie addirittura a fotografie aree che hanno ripreso ribelli jihadisti che hanno trafugato verso la Turchia i macchinari industriali un tempo ad Aleppo.
Il suo pensiero politico, complesso e articolato e per questo controcorrente rispetto alle semplificazioni di chi voleva individuare subito e definitivamente lo schieramento “dei buoni” da aiutare contro l’esercito dei cattivi, è stato talvolta ridotto ad uno schierarsi pro o contro il Presidente, senza valutare invece che egli aveva a cuore prima di tutto la tutela del diritto a vivere in un paese unito, non preda degli interessi corrotti di altri paesi, capace di dare un futuro ai suoi giovani, cristiani e musulmani, insieme, come insieme spesso vivevano, nel rispetto delle differenze religiose di ciascuno.
La necessità che fossero i siriani dall’interno del loro paese e senza l’imposizione di paesi stranieri a percorrere lo stretto e tortuoso cammino per la democratizzazione dello Stato gli era già risultato evidente nella primavera del 2013, quando, nell’imminenza della conclusione del suo mandato episcopale, sfidò i vari gruppi armati già presenti nella valle dell’Oronte, tra Aleppo ed il confine turco, e effettuò la sua ultima visita pastorale in villaggi in cui ormai quasi tutta la popolazione cristiana era fuggita. Ha visto la valle dei cristiani di san Paolo vivere l’esodo delle sue comunità più antiche, scacciate da milizie straniere.
Eppure, già preoccupato per il suo popolo costretto a andare a cercare l’acqua potabile nei pozzi delle parrocchie e privo di elettricità, deluso dall’Europa e dagli USA che appoggiavano chiunque incrementasse il conflitto invece di spendersi per serie e concrete trattative diplomatiche di pace, riuscì a passare indenne le linee del fronte a nord di Aleppo e a portare per l’ultima volta la propria testimonianza di fede in Cristo a quella parte di gregge che non aveva voluto abbandonare i propri villaggi nemmeno quando i ribelli avevano trasformato in stalla la Chiesa greco-ortodossa di uno di questi luoghi.
La sua lucida analisi politica sulla Siria ed anche sull’esportazione della democrazia con le armi e sulla necessità dell’effettiva tutela dei diritti delle minoranze religiose nei paesi arabi sono oggi condivise da molti di coloro che hanno a cuore il popolo siriano ed i popoli vicini più che tornaconti politici.
Ritengo che oggi del suo pensiero politico rimanga, infatti, la certezza che la tutela dei diritti delle minoranze religiose sia una sfida importante per tutti i paesi arabi e che se essa da sola evidentemente non basta per definire uno Stato come democratico, come nel caso siriano, è altrettanto vero che senza di essa nessuno Stato può essere definito democratico.
In particolare, appare sempre più necessaria per la vera pacificazione di questa area di mondo la sua posizione di franchezza e di fermezza nel dialogo con le autorità religiose islamiche e con quelle civili, il rifiuto del principio politico del sovvertimento armato di qualsiasi Stato e l’incessante richiamo all’implementazione di qualsiasi forma di trattative diplomatiche tra i diversi attori politici.

Oggi che la splendida città di Aleppo vive i suoi mesi più drammatici la sua lucidità e lungimiranza politica si aggiungono ai molti motivi che acuiscono la mancanza della sua persona.

 qui la prima parte dell’intervento 

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