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Concentrati sulle deposizioni di Comey, i guai di Trump o la rissa dei partiti dei partiti italioti per impapocchiare un sistema elettorale, i media hanno probabilmente trascurato di informarvi della notiziola: in Siria, gli americani alla guida della “coalizione contro il terrorismo” che dice di combattere l’ISIS, hanno invece attaccato dal cielo le forze del governo siriano mentre combattono l’ISIS. Tre volte in meno di un mese: la prima il 19 maggio. L’ultima, il 6 giugno, gli aerei Usa hanno colpito 60 militari siriani ed Hezbollah, un cingolato, due pezzi d’artiglieria e una mitragliatrice anti-aerea. Hanno anche abbattuto un drone siriano che secondo loro ha aggredito le forze di terra della coalizione, ossia i commandos americani che guidano le forze anti-Assad.
Tutti questi attacchi pro-ISIS sono avvenuti nella zona di Al Tanf, allo scopo di impedire che le forze regolari siriane ed Hezbollah raggiungessero il confine con l’Irak, congiungendosi con le forze anti-ISIS irachene da parte loro avanzavano combattendo da Est contro i terroristi.
Scopo fallito. Nonostante i bombardamenti dell’Air Force (che praticamente funge da aviazione dell’ISIS, ma inefficace per la necessità di mantenere la finzione ufficiale), i regolari siriani con gli Hezbollah e gli iracheni si sono congiunti il 9 giugno “ tagliando così la linea del fronte tra le forze “ribelli” nella regione Al-Tanf e i terroristi dell’ISIS nei pressi del Governatorato di Deir Ezzor”, come scrive il sito L’Antidiplomatico: ciò significa che “le truppe siriane sono ora in grado di riaprire gli scambi tra Damasco e Baghdad. Le forze governative siriane non controllavano alcuna parte del confine con l’Iraq, in gran parte controllato dall’ISIS, dal 2014. Inoltre, Hezbollah è ora in grado di ricevere forniture di armi da Teheran attraverso un importante percorso di terra”.
Lo stato maggiore russo ha denunciato e protestato apertamente contro i bombardamenti della coalizione Usa che pretende di combattere il terrorismo ma invece “ attacca le forze siriane, rafforzando i gruppi terroristi nelle regioni di Palmira e Deir ez Zor”, ha sottolineato il rappresentante dello Stato maggiore, colonnello Sergei Rudskoi.
Il generale di corpo d’armata Sergei Surovikin, poco dopo, ha ripetuto le stesse accuse riguardo alla situazione di Rakka, che i tagliagole occupano dal 2013 e che gli americani si sono impegnati a liberare dal novembre 2016, piano piano, coi kurdi che fanno le operazioni di terra e l’Air Force che li affianca dal cielo. La coalizione cosiddetta “anti-ISIS” lascia passare i guerriglieri dell’ISIS, dice il generale.
“Invece di eliminare i terroristi, responsabili della morte di centinaia di migliaia di civili siriano, la coalizione diretta dagli Stati Uniti con le forze democratiche siriane [anti-Assad] trovano un’intesa con i capi dell’ISIS che restituiscono senza combattere i locali che occupavano per andare nelle provincie dove operano le truppe governative siriane. Sembra proprio che, sotto il pretesto della lotta al terrorismo sul territorio siriano, gli americani utilizzino l’ISIS per opporsi all’avanzata delle truppe governative siriane”.
Il ministero russo della Difesa ha aggiunto: a dispetto dei colpi americani pro-ISIS, le forze regolari siriane hanno fatto progressi decisivi nel controllo della totalità delle sue frontiere con l’Irak e la Giordania. Bisogna ricordare che Washington ha più volte intimato all’armata siriana e ai suoi alleati (Hezbollah) di non avanzare nel Sud del paese – chiaramente per proteggere i sonni di Israele e il progetto israeliano di mantenere nel Sud siriano una zona “sua”, controllata dai suoi terroristi preferiti (quelli che quando sono feriti Sion cura nei suoi ospedali), gabellati per forze democratiche anti-Assad “legittime”, da far sedere ad un tavolo di armistizio futuro, di spartizione della Siria.
Nonostante le minacce e i colpi ritorti americani, i siriani e gli Hezbollah han continuato ad avanzare, finendo per sigillare le frontiere con Irak e soprattutto Giordania, da cui gli americani chiaramente facevano giungere armi e forniture ai terroristi. Con l’ultima avanzata “ le forze di Assad hanno tagliato la via ai ribelli “moderati” sostenuti da Washington verso Deir ez Zor, togliendo così ogni residuo pretesto alla loro presenza nel sud della Siria” (Al Masdar).
Il Pentagono, o il Deep State che continua la “sua” guerra in Siria, probabilmente lasciando Trump all’oscuro, dovrebbero cominciare a valutare i risultati delle loro doppiezze, finzioni, imposture, doppi giochi e false flag: quali risultati ha ricavato Washington dal (vergognoso) appoggio nascosto all’ISIS? Dall’aver firmato l’attentato “islamico” a Teheran, per esempio? Militarmente miserevoli e politicamente controproducenti. Non è che nelle sue trame complicatissime Washington si è impigliata da sola?
Si vede l’attacco saudita al Qatar, voluto dall’impulsivo Mohamed bin Salman amico di Jared, e benedetto da Trump con un tweet che accusava il Qatar di terrorismo. Certamente il presidente non era informato che il Qatar, ospita la gigantesca base dell’Air Force di Al Udeid, da cui partono ogni 10 minuti i bombardieri della (finta) guerra all’ISIS: oltre 100 aerei da combattimento ed anche i colossali B-52, bombardieri strategici a potenzialità atomica, che palesemente sono lì per minacciare l’Iran e controllare Hormuz, lo stretto da cu passa quasi tutto il greggio del mondo. Sono 10 mila americani nella base, che ospita anche il quartier generale delle forze britanniche della squadriglia 83 della RAF, i britannici che si prodigano a bombardare la popolazione civile nello Yemen, ma anche, con aerei d’ascolto Rivet Joint, alla localizzazione ei bersagli dei “terroristi” in Siria e Irak.
I neocon israeliani a Washington sono esterrefatti. Il tweet di Trump contro il Qatar ”è olio sul fuoco”, dice Ilan Goldenberg (J), del Centre for a New American Security, che continua il PNAC (Project for a New American Century) dei Wolfowitz e dei gestori dell’11 Settembre che agirono appunto per portare l’America alla guerra contro i nemici potenziali di Sion. Ma è l’effetto dello scollamento fra Trump e l’apparato: l’uno e l’altro perseguono politiche sioniste, ma senza comunicare, nemici come sono.
Anche la speranza di una rapida soluzione della crisi del Qatar con l’eliminazione dell’emiro Al Thani, sperata dall’impulsivo Bin Slamn e da Jared, svanisce e diventa pericolosa per gli iniziatori.
La Turchia di Erdogan ha mandato fulmineamente truppe in Qatar, e promesso di spedirvi 5 mila soldati, aerei e navi da guerra: Ankara ha notoriamente un esercito più grosso di quello che possono mettere in linea i Sauditi. Ed è un membro della NATO: avrà coordinato questa politica con Washington? L’avrà almeno avvertito? Qualcosa ci dice di no, visto che Washington sostiene i curdi nel caos siro-iracheno, contro la volontà dell’ottomano. Erdogan manda viveri e tutto il necessario per ovviare al blocco, all’emiro alleato. L’Iran fa lo stesso. Il Kuweit, invece di unirsi al blocco voluto da Bin Salman l’impulsivo (che ha radunato attorno a sé anche le Maldive e lo Yemen collaborazionista: il quale ha sospeso con l Qaar tutti i voli delle sue linee aeree, con non esistono).
Ultima ora: il Pakistan ha annunciato di voler mandare 20 mila uomini all’amico Qatar! Se confermata, la notizia si configura come un rovesciamento di alleanze, essendo noto che la monarchia saudita ha sempre considerato il Pakistan (di cui ha pagato lo sviluppo del nucleare) come una sua riserva militare strategica. Anzi un generale pakistano, Raheel Sharif, ha appena lasciato il servizio in Pakistan per andare a comandar la futura NATO sunnita voluta da Ryiad in funzione anti-iraniana, suscitando critiche accese nel suo paese.
http://www.presstv.ir/DetailFr/2017/06/09/524734/Le-Pakistan-envoie-militaires-au-Qatar
Insomma il “blocco anti-Qatar” voluto da Ryiad e dall’impulsivo erede al trono, comincia a sembrare invece ad un “blocco anti-saudita”, dove è Ryiad ad essere isolata. Robert Fisk, inviato di lungo corso nell’area, ha parlato di “infantilizzazione degli stati arabi” (un’allusione all’impulsivo erede di Ryiad) e del “collasso totale dell’unità sunnita che Trump credeva di aver creato con la sua assurda partecipazione al vertice saudita di due settimane fa”, in cui aveva autorizzato i sauditi ad attaccare Qatar e Iran (o così loro hanno inteso).
Fisk attribuisce all’emiro del Qatar – le cui smisurate ambizioni per il despota di un paese di 250 mila abitanti sono coadiuvate da Al Jazera, la sua tv, veramente globale e dal suo fondo sovrano che non sa cosa fare dei suoi miliardi – anche il progetto di ricostruire la Siria dopo la guerra. “Anche se Assad restasse presidente, il debito della Siria verso il Qatar metterebbe la Siria sotto il controllo economico qatarino. L’emiro avrebbe dunque anche “un territorio” imperiale, e una Siria attraverso cui far passare il favoleggiato gasdotto che porterebbe il gas del Qatar alla Turchia e da lì all’Europa”, svincolando i consumatori europei della dipendenza energetica da Mosca: lo scopo insomma per cui americani, sauditi, ebrei hanno scatenato la devastazione della Siria cinque anni fa.
E come non bastasse, il Dipartimento di Stato Usa ha appena annunciato di aver autorizzato “la vendita di 72 aerei multiruolo con l’armamento relativo” al Qatar. Ebbene sì, al Qatar. Avrà avvisato Trump? E i sauditi che si sono comprati a così caro prezzo l’appoggio Usa alle loro vendette?
L’articolo IL PENTAGONO ALLEATO ALL’ISIS. PRESO NELLE RETI DEI SUOI DOPPI GIOCHI? è tratto da Blondet & Friends, che mette a disposizione gratuitamente gli articoli di Maurizio Blondet assieme ai suoi consigli di lettura.
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