La cultura della cancellazione, cioè il rifiuto del carico e del bagaglio del passato, può sembrare una cosa seducente. Ma estremamente rischiosa. Vieni tu stesso cancellato e dimenticato fino alla completa perdita della tua identità.
Alla polemica nata dalla decisione ‘embrionale’ del CAI di non sostituire più le croci sulle montagne (le ‘croci di vetta’ sulle cime superiori a 2000 metri), è seguito un ampio dibattito, anche sui social.
La mia posizione in merito: la cultura della cancellazione porta alla cultura della cancellazione…
Io ritengo che la posizione assunta dal CAI riguardo alla non sostituzione delle croci sulle montagne, autodefinitasi come ‘neutra’ e come semplice adattamento ai tempi cambianti, sia tutto meno che innocua. Questa prospettiva cela in realtà una costante con riferimenti ideologici, che non può passare inosservata.
Porre queste domande, limitandosi a ciò e non a altre questioni, è sintomo della cosiddetta “cultura della cancellazione” che si sta diffondendo dappertutto.
La cultura della cancellazione è un meccanismo antico, l’ostracismo è noto almeno dall’antichità. Ma mai prima d’ora gli strumenti ideologici e le tecnologie convergevano così strettamente.
Qualcuno vede maliziosamente il potenziale di questo meccanismo e come può facilmente e rapidamente adescare e sopraffare chiunque, e quindi entusiasta afferra la maniglia di questo meccanismo e non si accorge di come la sua mano ne diventa un tutt’uno mentre lo usa. Qualcuno invece vede con orrore le potenzialità di questo meccanismo e come può facilmente e rapidamente adescare e sopraffare chiunque, e quindi soffoca dal disgusto vedendone tracce di utilizzo ovunque e non “prenderà mai sulla fronte o sulla mano il marchio della bestia” – l’antica bestia della falsificazione del bene.
Le croci rappresentano un simbolo di pace, e fanno parte di una tradizione positiva che è culturale, storica e religiosa, non può essere cancellata senza sostituirla con il ‘marchio della bestia’. Coloro che sostengono la rimozione delle croci o che si rifiutano di sostituirle quando sono danneggiate, dimostrano semplicemente la loro mancanza di comprensione. I tempi non sono solo “cambiati”, ma hanno raggiunto una degenerazione; non perché ci siano “meno cristiani”, ma perché ci sono sempre meno persone in grado di usare la ragione, di guardare la realtà nella sua totalità, considerando tutti i suoi aspetti. Pertanto, sarebbe necessario mettere più croci. In periodi come questi, caratterizzati da una memoria scarsa della totalità e di sé stessi, è fondamentale recuperare tradizione e memoria.
Il chiarimento del CAI
Comunque sembra che la polemica sia stata generata non dal CAI stesso ma da una situazione contingente, provocata dal del direttore editoriale Marco Albino Ferrari che avrebbe parlato a ‘titolo personale’.
Questo infatti il chiarimento del direttore del CAI:
Voglio scusarmi personalmente con il Ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro Ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto”. (fine citazione dal sito del CAI)
A seguito dell’incidente il direttore editoriale si è dimesso. Non senza però polemizzare che egli è stato frainteso perchè non avrebbe mai polemizzato sulle croci come ‘memoriale ‘ degli scalatori , benì per il retroterra’ ideologico che vi è dietro’ (vedi qui).
Precedentemente, il CAI aveva preso questa posizione, ben descritta in un articolo di Trento Today:
Il Club alpino italiano, con un articolo sul suo sito, fa sapere che “guarda con rispetto le croci esistenti, ma non solo: si preoccupa del loro stato ed eventualmente, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli). Questo perché, è giusto evidenziarlo una volta di più, rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza”. Ma “è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il Cai a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne”.
“Ci sono argomenti che, più di altri, spaccano in due la sensibilità degli appassionati di montagna, senza lasciare spazio alle mezze misure. Uno di questi è rappresentato dalle croci di vetta. Ogni notizia legata a una croce porta alla rapida formazione di schieramenti netti, distinti, precisi. Tale dinamica purtroppo intorbidisce il dibattito, trasformandolo in alterco; in un battibecco su cui, purtroppo, non pochi tendono a speculare”, sottolinea il Cai, sul portale “Lo scarpone”, ricordando quanto emerso in un convegno che si è svolto giovedì a Milano, dove “si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime”.