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Riprendiamo un articolo del 2015 del Guardian, in cui il progetto europeo viene spietatamente analizzato per i risultati che ottiene: non un promotore di democrazia e di benessere, ma uno strumento che mina le basi della democrazia ed estende l’abbassamento delle condizioni di vita dei lavoratori tedeschi a tutto il continente – con l’aggravante che tutti gli altri lavoratori partivano da condizioni decisamente meno agiate.
Di Aditya Chakrabortty, 22 giugno 2015
Quasi tutte le discussioni sul fallimento della Grecia si rifanno a valutazioni moralistiche. Potremmo definire la questione i Cattivi Greci contro la Nobile Europa. Questi greci problematici non avrebbero mai dovuto far parte dell’euro, secondo questa narrazione. Una volta entrati, si sono cacciati in un mare di guai – e adesso tocca all’Europa risolvere tutto.
Queste sono le basi su cui concordano tutte le Persone Sagge. Tra costoro, quelli di destra proseguono dicendo che quei falliti dei Greci devono o accettare quel che gli propone l’Europa o uscire dalla moneta unica. Quelli invece più progressisti, dopo un certo tentennamento e imbarazzo, alla fine chiedono che l’Europa mostri un po’ di solidarietà e aiuti questo paese fallito del Sud. Qualsiasi sia la soluzione proposta, le Persone Sagge concordano sul problema: la colpa non è di Bruxelles, bensì di Atene. Oh, questi Greci scapestrati! È l’atteggiamento che traspare quando Christine Lagarde dell’FMI critica il governo di Syriza per non essere abbastanza “adulto”. E’ quello che permette alla stampa tedesca di sostenere che il Ministro delle finanze greco, Yanis Varoufakis, ha “bisogno di assistenza psichiatrica”.
Questa narrazione ha un piccolo problema: come molte narrazioni moralistiche, è totalmente slegata dalla dura realtà. Atene è solo il peggior sintomo di un male molto più grande che affligge il progetto europeo. Perché la moneta unica non è al servizio dei comuni cittadini Europei, dalla Valle della Ruhr a Roma.
Dicendo questo, non voglio negare la corruzione e l’evasione endemica della Grecia (e non lo faceva nemmeno Syriza, arrivato al potere facendo campagna politica esattamente contro questi vizi). Né voglio indossare i panni dei sostenitori di Farage. Quello che sostengo è molto più semplice: il progetto europeo non solo non riesce a mantenere le promesse dei suoi fondatori, ma sta ottenendo l’esatto opposto – sta infatti distruggendo il benessere dei cittadini europei. E, come vedremo, questo vale anche per coloro che vivono nella prima economia del continente, la Germania.
Prima di tutto, ricordiamo le nobili promesse del progetto europeo. Ripercorriamo le orme del tedesco Schmidt e del francese d’Estaing, mentre posavano le fondamenta del grande progetto unificatore europeo. In particolar modo, ricordiamoci di come si sentivano quelli che ci credevano davvero. Prendiamo ad esempio Oskar Lafontaine, il ministro delle finanze tedesco, proprio alla vigilia del lancio dell’euro. Parlava di “visioni di un’Europa unita, da raggiungere attraverso la graduale convergenza degli standard di vita, l’approfondirsi della democrazia, e il fiorire di una vera cultura europea”.
Potremmo citare migliaia di altri analoghi proclami di euro-poesia, ma questo di Lafontaine ci mostra quanto in basso sia caduto il progetto della moneta unica. Anziché innalzare gli standard di vita in Europa, l’unione monetaria li sta spingendo verso il basso. Anziché approfondire la democrazia, la sta mettendo a rischio. Per quanto riguarda la “vera cultura europea”, quando i giornalisti tedeschi accusano i ministri greci di essere “psicotici”, il mitico consesso di nazioni sembra davvero lontanissimo.
Di questi tre fallimenti, il primo è il più importante – perché spiega come l’intera unione viene messa a rischio. Per constatare cosa è successo agli standard di vita dei cittadini europei, ci riferiamo a una straordinaria ricerca pubblicata quest’anno da Heiner Flassbeck, ex capo economista alla Conferenza delle Nazioni Unite su Commercio e Sviluppo, e da Costas Lapavitsas, un professore di economia della Soas University di Londra ora diventato parlamentare di Syriza.
In “Contro la Troika” questi economisti hanno pubblicato un grafico che mostra come l’euro ha influito sugli standard di vita. Si sono focalizzati sul costo unitario del lavoro – quanto occorre pagare il personale per poter produrre un’unità di prodotto. Hanno mappato il costo del lavoro nell’eurozona tra il 1999 e il 2013. Quello che hanno trovato è che i lavoratori tedeschi in pratica non hanno ottenuto alcun aumento di salario in questi 14 anni. Nella breve vita dell’euro, i lavoratori tedeschi se la sono cavata peggio dei francesi, degli austriaci, degli italiani e di molti altri dell’Europa del sud.
Sì, stiamo parlando proprio della Germania: l’economia più potente del continente, quella che perfino David Cameron guarda con invidia. Eppure i lavoratori tedeschi che rendono ricco il loro paese non hanno ricevuto alcuna ricompensa per i loro sforzi. E questo rappresenta il modello per il continente intero.
Forse avrete un’idea della Germania come di una nazione di lavoratori molto abili, molto ben retribuiti, in fabbriche luccicanti. Questi lavoratori e i loro sindacati esistono ancora – ma stanno velocemente scomparendo. Secondo il principale esperto tedesco in disuguaglianze, Gerhard Bosch, essi stanno venendo sostituiti da lavoro sottopagato. La forza-lavoro a basso costo è esplosa ed è ormai quasi a livelli americani, secondo lui.
Non diamone la colpa all’euro, ma al lento declino dei sindacati tedeschi, e alla tendenza alla delocalizzazione verso i paesi a basso costo dell’est Europa. Il ruolo della moneta unica è stato quello di permettere al problema tedesco dei bassi salari di rovinare un continente intero.
I lavoratori francesi, italiani, spagnoli e del resto dell’eurozona ora devono subire la concorrenza sleale dell’epica gelata dei salari che ha caratterizzato il grande paese al centro dell’eurozona. Flassbeck e Lapavitsas descrivono questo fenomeno come una politica tedesca di “beggar thy neighbour” ( frega il tuo vicino, ndVdE) – “ma solo dopo aver fregato i suoi stessi cittadini”.
Nello scorso secolo, gli altri paesi dell’eurozona avrebbero potuto diventare più competitivi svalutando le proprie monete nazionali – proprio come ha fatto il Regno Unito a partire dal disastro delle banche. Ma ormai fanno tutti parte di un unico club, l’unica soluzione possibile dopo il crash è stata di pagare meno i lavoratori.
Questo è esattamente quello che consigliano di fare alla Grecia la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea e il FMI: liberarsi dei lavoratori in eccesso, pagare meno quelli che mantengono un lavoro, e tagliare le pensioni per gli anziani. Ma non è una ricetta solo per la Grecia. Praticamente in ogni meeting i Saggi di Bruxelles e Strasburgo se ne escono col solito comunicato che esorta a “riformare” il mercato del lavoro e il sistema di sicurezza sociale in tutto il continente: un tentativo nemmeno troppo mascherato per attaccare gli standard di vita dei comuni cittadini. Ecco cosa è diventato il Nobile Progetto Europeo: una triste marcia al ribasso. L’obiettivo non è quello di creare una democrazia più forte, ma dei mercati più forti – e le due cose sono sempre più incompatibili. La tedesca Angela Merkel non si è fatta alcuno scrupolo ad intromettersi nei sistemi democratici di altri paesi Europei – mettendo implicitamente in guardia i greci che avessero osato votare Syriza per esempio, o forzando il primo ministro socialista spagnolo, Josè Luis Rodrìguez Zapatero, a rimangiarsi le promesse di spesa che gli erano valse l’elezione.
Il pestaggio diplomatico inflitto a Syriza da quando è andata al potere quest’anno (il 2015 per chi scrive, ndVdE) può solo essere interpretato come il tentativo dell’Europa di dare un esempio agli elettori spagnoli, che potrebbero essere tentati di sostenere il movimento gemello Podemos. Se ti spingi troppo a sinistra, dice il messaggio, ti riserveremo lo stesso trattamento.
A prescindere da quali fossero gli ideali fondanti dell’eurozona, di sicuro non si accordano con la triste realtà del 2015. Questa è la rivoluzione della Thatcher, o di Reagan, ma su scala continentale. E come allora, viene accompagnata dall’idea che Non C’E’ Alcuna Alternativa (in inglese TINA: There Is No Alternative, ndVdE) nella gestione dell’economia, e nemmeno su quale tipo di governo gli elettori possono scegliere.
Il fatto che questo scempio venga portato avanti da personaggi apparentemente Saggi e Presentabili che pretendono di essere socialdemocratici, non rende il progetto più carino o gentile. Dà solo all’intera vicenda uno sgradevole sapore di ipocrisia.
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