Nella provincia di Idlb governa di fatto al Qaeda. Qui i tatticismi di al Nusra, oggi Tahrir al Sham, puntano a consolidare un nuovo controllo territoriale.
di Patrizio Ricci
Idlib, l’unica provincia della Siria in mano ai ribelli, è oggi totalmente sotto il controllo amministrativo di al Qaeda, o meglio del suo ramo siriano Jabhat al Nusra (sostenuto dall’Arabia Saudita e, in modo più o meno indiretto dagli Stati Uniti e da Israele). La milizia di al Nusra, sebbene sia inserita nella black list internazionale dei gruppi terroristi, ha messo in atto uno stratagemma per sfuggire alle leggi contro il terrorismo e così avere più agevolmente un “ruolo” nel futuro della Siria: il 28 luglio 2016, il leader del gruppo Abu Muhammad al Dzhulani ha annunciato la separazione di al Nusra da al Qaeda e successivamente il cambio di denominazione in Tahrir al Sham (Hts). Alla fine, il risultato di questa operazione è che il ramo siriano di al Qaeda è riuscito a ottenere di essere messo fuori l’elenco delle entità terroristiche designate dagli Stati Uniti.
La mancata designazione non è cosa da nulla: ha reso più difficile perseguire i membri e i sostenitori dell’organizzazione e non è di poco conto che le donazioni verso Hts sono legali. Inoltre, è significativo che mentre al Nusra e Hts avevano affermato di non essere più parte di al Qaeda, gli studiosi all’interno di tali organizzazioni spesso ammettono pubblicamente tale connessione: in definitiva, nessun professionista che lavora sul tema nega che Hts faccia parte di al Qaeda o che sia un gruppo terroristico (meno, a quanto pare, il Dipartimento di Stato Usa).
E’ evidente che si tratta di una palese contraddizione, visto che, in una dichiarazione rilasciata alla CBC News, lo stesso rappresentante del Dipartimento di Stato Usa Nicole Thompson ha affermato riferendosi ai renbranding: “Queste azioni rappresentano una strategia di al Qaida per portare l’opposizione siriana sotto il suo controllo operativo. Stiamo ancora esaminando la questione con attenzione”. Nella stessa intervista, Thompson considerò il cambio di casacca del gruppo al Nusra in questo modo: “Non è diverso dalla formazione del Consiglio Shura dei Mujahideen in Iraq nel 2006, che alla fine ha portato la parte migliore della resistenza irachena sunnita sotto il controllo di al Qaeda e che a sua volta si è trasformata nello stato islamico lo stesso anno”.
E’ chiaro che sono in ballo ragioni di mera opportunità politica: Washington ha investito su al Qaeda e ha sempre sperato che i turchi addomesticassero al Nusra affinché si potesse ancora utilizzare in funzione anti-Assad. E’ emblematico che Washington non ha mai attaccato al Nusra: si è limitata solo verso la fine della presidenza Obama ad eliminare testimoni scomodi dei trasferimenti di armi libiche (Bengasi-Gate) organizzate dagli Stati Uniti verso la Siria. Questo atteggiamento poco chiaro ha sue conseguenze pratiche: benché la Russia chieda continuamente di nominare Hts come un gruppo terroristico, gli Stati Uniti si sono dimostrati sempre restii a farlo: questa era la situazione almeno finché Trump non ha annunciato la cessazione del sostegno ai ribelli.
Le azioni degli Usa però non sono mai univoche e sembrano essere affette da sindrome dissociativa, cosicché non si capisce bene se si sia voltata effettivamente pagina. Lo si è visto il 1° agosto in occasione del lancio di granate di mortaio effettuato da (ex) al Nusra sull’ambasciata russa a Damasco: in questa occasione, gli Stati Uniti hanno bloccato una risoluzione di condanna che etichettava l’aggressione come “atto terroristico”. La reazione russa non si è fatta attendere: per Mosca l’aver bloccato una mozione di condanna per l’assalto alla sede diplomatica equivale “a continuare a fomentare il sanguinoso conflitto in Siria, flirtare con i terroristi e gli estremisti di ogni tipo”.
Se i russi hanno ancora una volta ragione lo vedremo. Però sta di fatto che anche un episodio recente mostra come le distinzioni tra “estremisti” siano solo di comodo: lo scorso aprile il vicepresidente iracheno Ayad Allawi ha riferito a Reuters che “il leader di Isis al Abu Bakr al Baghdadi ed il leader di al Qaeda Ayman al Zawahiri, capo di al Qaeda, erano in trattative circa una loro possibile alleanza”: anche se non si conoscono gli esiti di questi contatti, ammetterete che l’elemento è fortemente esplicativo: in fondo, i due gruppi provengono entrambi da al Qaeda e ne condividono la matrice ideologica.
Per quando riguarda i crimini commessi durante la guerra siriana, il “curriculum” di Hts è di tutto rispetto: suo è il primato di aver fatto, nel dicembre 2011, il primo attentato suicida a Damasco, che fece 40 morti e 160 feriti. I numeri dell’anno successivo saranno fortemente indicativi: 41 dei 50 attentati suicidi compiuti in tutto il paese durante l’anno sono stati rivendicati da al Nusra.
All’uso degli attacchi suicidi si aggiunge l’uso delle decapitazioni e delle esecuzioni sommarie, non solo retaggio di sangue di Isis. Tra gli episodi più efferati effettuati da (ex) al Nusra ricordiamo l’assalto al villaggio cristiano di Maloula, le cui chiese furono profanate e dove cinque cristiani furono martirizzati, ed anche il massacro di Latakia nel 2013: in questo caso, tra uomini donne e bambini furono uccise 129 persone e di circa 200 non si è saputo più nulla (Ansa, 20 agosto 2013).
Molte sono quindi le attinenze in questo senso. In realtà il gruppo al Nusra è addirittura più pericoloso e subdolo dello stato islamico: a differenza degli altri gruppi ribelli e di Isis, sta amministrando diligentemente le aree che controlla liberandole dai vari fenomeni di corruzione. Allo stesso modo introduce con gradualità e prudenza la dura legge della sharia, allo scopo di evitare proteste, esodi di massa, o insurrezioni. Forma nelle proprie scuole all’educazione radicale islamica i bambini preparando le nuove leve.
E’ evidente che l’occidente continua a concentrare tutta la sua attenzione sull’Isis ma è un’ossessione di comodo. La domanda che si allora si pone è: che fare ora con Idlib che è completamente in mano ad al Qaeda?
Mentre la comunità internazionale tergiversa, Hts non si ferma e sta consolidando sempre più la sua egemonia nel suo territorio: si sta giù preparando per una nuova offensiva per espandersi nelle aree circostanti. I gruppi di ribelli “moderati” — forse opportunamente per non essere fagocitati — hanno firmato un’intesa per la creazione di una nuova zona di de-escalation a nord di Homs. Ma sembra invano: alcune postazioni dell’esercito siriano sono state già state attaccate da Hts sia verso Homs che Hama.
Quali le possibili soluzioni? Probabilmente la pezza dovrà metterla ancora una volta l’esercito siriano. Altra possibilità è l’intervento dell’esercito turco: in questo senso, Erdogan ha già annunciato domenica che Ankara sta per ampliare la zona di operazioni militari nel nord della Siria contro i curdi ma ha dispiegato anche artiglierie e mezzi corazzati aggiuntivi in prossimità dei valichi verso Idlib. Ma in tutti i casi, bisognerà essere coscienti che un’operazione militare su larga scala nella provincia sovrappopolata di Idlib innescherebbe sicuramente una crisi umanitaria con perdite ingenti tra i civili e tra i belligeranti.
Inutile dire che la situazione è molto problematica e apre nuovi e imprevedibili scenari: sarà questo uno dei temi che con ogni probabilità saranno discussi nella prossima riunione del formato Turchia-Russia-Iran che si terrà questa settimana nei giorni 8-9 agosto a Teheran tra gli esperti dei rispettivi paesi.
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