Negli ultimi anni, il governo degli Stati Uniti ha stanziato risorse crescenti per combattere la disinformazione online, un fenomeno percepito come una minaccia crescente per la sicurezza nazionale, la salute pubblica e l’integrità del dibattito democratico. Tuttavia, l’entità di questi investimenti e la loro natura sollevano interrogativi su trasparenza, efficacia e potenziali implicazioni per la libertà di espressione.
2017: l’inizio di un nuovo approccio
Il primo passo significativo è stato compiuto nel 2017, quando la National Science Foundation (NSF) ha introdotto sovvenzioni per studiare e combattere i contenuti online discutibili. In quell’anno, sono stati assegnati 316.000 dollari per un progetto finalizzato a “addestrare computer e persone a rilevare la disinformazione combinando analisi computazionale e teorica”. Questo rappresenta il punto di partenza di un approccio sempre più strutturato alla questione della disinformazione.
2019: un investimento crescente
Due anni dopo, il budget dedicato a questa causa è più che sestuplicato. Nel 2019, sono stati stanziati oltre 2 milioni di dollari per due progetti distinti: “Dinamiche della disinformazione su Internet” e “Social network e comunicazione di massa: sviluppare programmi di studio per combattere la disinformazione”. L’attenzione si è quindi spostata sulla comprensione delle dinamiche sociali della disinformazione e sulla formazione per contrastarla.
2020: il trend si consolida
Nel 2020, la spesa si è mantenuta stabile, con 1,7 milioni di dollari distribuiti tra sei progetti. Un elemento interessante è che tutti questi progetti includevano esplicitamente il termine “disinformazione” nei titoli, a testimonianza di come il tema fosse ormai una priorità nell’agenda della NSF e di altre agenzie.
2021: il salto di scala con la disinformazione Covid
Con la pandemia di COVID-19, il focus si è spostato in modo deciso sulla “disinformazione Covid”. Nel 2021, i fondi sono esplosi, raggiungendo i 126 milioni di dollari. L’emergenza sanitaria ha giustificato un impegno senza precedenti per arginare il flusso di informazioni false o fuorvianti legate al virus, ai vaccini e alle misure di contenimento.
2022: l’ingresso dei giganti della tecnologia
Nel 2022, la spesa pubblica per combattere la disinformazione è scesa a 76 milioni di dollari, ma a questa cifra si sono aggiunti nuovi attori. I giganti dell’IT sono stati coinvolti direttamente, sia tramite collaborazioni governative sia attraverso indagini e udienze al Senato. Secondo stime non ufficiali, l’impatto complessivo di queste azioni ha generato costi di circa 98 milioni di dollari.
2023: una svolta politica
Nel 2023, la spesa pubblica ufficiale è diminuita ulteriormente, attestandosi a 47 milioni di dollari, ma nuovi sviluppi hanno cambiato il panorama. Secondo alcune indiscrezioni, i democratici avrebbero promosso un massiccio investimento di mezzo miliardo di dollari per combattere la disinformazione, con particolare attenzione alle narrative politiche legate a Trump e alla Silicon Valley. Questo dato, tuttavia, rimane da verificare.
2024: un anno record
Sebbene l’anno fiscale 2024 non sia ancora concluso, le stime preliminari indicano che le spese totali per la lotta alla disinformazione, il rilevamento di deepfake e il fact-checking abbiano già raggiunto 790 milioni di dollari. Di questa cifra, 19 milioni di dollari provengono dal bilancio pubblico, mentre il resto è coperto da contributi volontari di grandi miliardari e investitori privati. Questo dato evidenzia un’evoluzione significativa nel modello di finanziamento, che ora coinvolge sempre più il settore privato.
Considerazioni
Gli investimenti crescenti degli Stati Uniti nella lotta alla disinformazione riflettono una consapevolezza sempre maggiore delle sfide poste dalla diffusione di contenuti fuorvianti. Tuttavia, l’impressionante escalation delle spese e il coinvolgimento di attori privati sollevano domande cruciali: chi definisce cosa sia “disinformazione”? Quali sono i confini tra lotta alla disinformazione e censura? E, soprattutto, quanto è sostenibile un modello che affida una parte così significativa del controllo delle informazioni a miliardari e corporation?
Poi c’è un altro aspetto… Se pensiamo a queste cifre ed alla cifra che la Corte Costituzionale rumena dice che la Russia ha speso per stravolgere le elezioni (381.000 dollari ) si capisce che qualcosa non torna… Questa sproporzione non può che sollevare domande sul reale obiettivo di tali spese e sulle implicazioni che queste hanno per la libertà di espressione e il controllo delle narrative globali.