Radio Maria e il nervo scoperto della Modernità

Ci sono dei fatti che indicano un sentimento profondo di un’epoca e uno di questi è la reazione smodata e a reti unificate seguita alle parole di padre Cavalcoli a Radio Maria e giunta fin dentro le mura vaticane. Come si sa, il sacerdote ha avuto l’ardire di collegare il male nel mondo (terremoto incluso) con il peccato (anche quello contro la famiglia) e, bum!, tutta una serie di giornali radio e tv, improvvisamente, hanno fatto a gara a condannare l’eretico da loro prescelto, colpevole di aver osato affermare questa tesi singolarissima e inaudita le cui fondamenta sono contenute in ogni Catechismo.

Ebbene, la domanda inevasa in questa faccenda è: quale nervo scoperto della Modernità è stato toccato per provocare un’ondata di sdegno così poderosa ed estesa da arrivare fino a San Pietro? Certo, non mancano, come sottolineato ad esempio da La Croce e da La Bussola, gli interessi di bottega delle solite lobbies avverse a Radio Maria, ma come mai in questo frangente la loro operazione di incitamento all’odio ha avuto un successo così clamoroso anche all’esterno, tanto da arrivare fin dentro i sacri palazzi?

Lo scandalo che ha provocato la novella inquisizione contro Radio Maria sarebbe nel dilemma seguente: come si può associare un evento terribile come il terremoto a qualche peccatuccio commesso dall’uomo? Non è un insulto ai poveretti afflitti dal cataclisma rinfacciar loro persino di avere una qualche responsabilità nella tremenda tragedia che hanno subìto?

Insomma, il cuore della questione mi pare questo: a noi contemporanei risulta inaccettabile che la morte abbia in qualche modo a che fare con il peccato dell’uomo. Sì, perché – diciamola tutta – comunque arrivi, con un calcinaccio in testa o con un cuore che si ferma – la pietra dello scandalo è sempre una: per quale astrusa ragione dobbiamo morire? E, a seguire, che cosa c’entriamo noialtri umani con questa assurda cosa che è la morte?

Ebbene, c’è una cattiva notizia per i neo-inquisitori: a quanto risulta, tutte le spiegazioni alternative sono ancora più inaccettabili della suddetta. Tolta la libertà umana, infatti, la responsabilità della morte nel mondo può essere data solo a Dio o al fato cieco: purtroppo, però, in entrambi i casi, dal paradosso si passa all’assurdo, perché – come si sa – allora, o bisogna ammettere un Dio malvagio/impotente (ovvero, qualcosa che è tutto tranne che Dio…) o semplicemente bisogna star tutti zitti e muti di fronte al dominio incontrastato di un destino cinico e baro. Tertium non datur. O meglio, “tertium datur”, ma solo a patto di accettare l’inaccettabile tesi di cui sopra, che il buon Cavalcoli ha avuto solo la colpa di ricordare: la morte – compresa quella per terremoto – non è un evento ineluttabile estraneo all’uomo, ma è misteriosamente legata all’umano e alla sua libertà.

Difficile da capire, anzi difficilissimo, però per fortuna un avvenimento eccezionale ci aiuta ad andare un po’ più dentro questo mistero: la resurrezione di Gesù. Perché Cristo risorge? Perché egli è carnalmente il motivo per cui vale la pena vivere per sempre (sennò l’immortalità sarebbe una ripetizione insensata, come nella terrificante fantasia degli zombie o dei vampiri…). La resurrezione ci mostra che c’è un legame inestirpabile tra vita e senso della vita: solo Colui che è “la Verità” (per cui vale la pena vivere) può avere (e dare) la vita vera, ovvero la vita per sempre. Ma allora, dall’altro lato, c’è un legame altrettanto forte tra morte e non-senso, ovvero tra morte e peccato. Già, perché il peccato – ogni peccato – è negazione del senso stesso del vivere, è affermazione di una radicale e irragionevole autonomia dell’uomo dal suo sole, dalla sua vita, da Dio. Ogni peccato è in fondo affermazione della morte e ogni uomo, misteriosamente (ma con evidenza lampante), è peccatore fin nelle profondità originarie del suo essere.

In conclusione, quindi, la legge sulle unioni civili ha provocato o no il terremoto? Una domanda simile è stata fatta a Gesù, dopo che la caduta di una torre aveva ucciso 18 persone, e Lui ha risposto: “Credete che [quei 18] fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,4-5). Ovvero, Gesù ha compreso benissimo che, allora come oggi, l’errore è nella domanda stessa, che riduce il peccato, ne sminuisce tutta la drammaticità. Il peccato – fa capire Gesù – non è banalmente una colpa a cui segue una punizione, non è “qualcosa che provoca qualcosa”, ma è quella tremenda posizione umana che si chiude nel non-senso del vivere e quindi, non aprendosi a Lui, si espone inevitabilmente alla morte. Per questo, sotto una torre o no, se non crediamo in Cristo, moriremo tutti allo stesso modo, ovvero senza un perché, senza un senso.

Ecco quindi qual è il nervo scoperto che la vicenda-Cavalcoli ha toccato: noialtri contemporanei non riusciamo più a scorgere questo legame tra vita e senso della vita, ovvero tra morte e non-senso, tra morte e peccato. Abbiamo insomma totalmente perso il senso della drammaticità del peccato. Per questo, non riusciamo a capire che dire a quei terremotati – come a qualsiasi uomo – che sono peccatori (e quindi mendicanti del senso della vita e quindi mortali) è l’unico modo per dare a loro e ad ogni essere umano un’autentica speranza di salvezza. Forse anche certi alti rappresentanti delle gerarchie ecclesiastiche dovrebbero ricordarsi ogni tanto di annunciare con più coraggio questa che è la vera misericordia di Dio: donarci Suo Figlio, ovvero la verità, il senso che libera la vita di ogni uomo verso un orizzonte senza fine.

Sorgente: Pepe on line  [Pubblicato su La Croce del 15/11/2016]