Reportage dalla Siria .2 – Giornata a Lattakia

25 aprile 2012   – http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=266   di Marinella Correggia

Così è la guerra. Il giorno in cui a Damasco scoppiava una bomba vicino all’ambasciata iraniana, in cui Kofi Annan lamentava la ripresa delle violenze, in cui Obama dichiarava nuove sanzioni controla Siria, l’Iran e “chi li sostiene nell’uso delle tecnologie per colpire i civili”, e in cui l’opposizione al governo denunciava attacchi dell’esercito a Homs e Hama, la delegazione internazionale (“per la pace e l’accertamento dei fatti”) del World Peace Council e della Federazione mondiale della gioventù democratica, con persone da 24 paesi (da Cuba al Sudafrica, da Russia a Mozambico, da Venezuela a Italia ecc) si trovava nella tranquilla città marina di Lattakia, dove solo l’assenza di turisti faceva pensare a qualcosa di strano. Costa mediterranea, verde, con oliveti, agrumeti. Città con palazzi chiari, mai molto alti.

All’università i docenti si dilungano sulla gratuità degli studi universitari, che costano circa 12 euro l’anno, più le cure mediche gratuite. (e a proposito di stranezze: abbiamo sentito bene ieri? La Siria non ha debito estero?)

Nel pomeriggio non ci sono tanti studenti all’università. Ma parliamo con alcuni. Cosa succede qui, i media dicono che i giovani siriani protestano e il governo li uccide…Risponde Ali che studia architettura: “Sì…i media – lo sappiamo – dicono che a Lattakia ci sono i carri armati. Dove sono? Avete attraversato la città, no? E dove sono i morti?”. Basma (l’unica ragazza velata che vediamo) conferma. La stessa domanda rivolta al professore Mohammad Moulla della facoltà di Agricoltura ottiene questa risposta: “Ci sono disoccupati che vengono pagati per protestare. Poi certo ci sono difficoltà economiche e con la crisi c’è chi è insoddisfatto, come ovunque credo”.

Passeggiata nel centro della bianca città costiera. Curiosamente solo donne ci fermano. Una tedesca che da 40 anni in Siria gestisce una caffetteria. Suggerisce di andare “al mercato del pesce, non rimanete solo qua in queste strade più benestanti”. Poi dice che agricoltori di sua conoscenza non hanno più il coraggio di andare in campagna per paura di essere rapiti, dopo diversi casi del genere.

Diversi striscioni con le faccione di aspiranti politici; il 7 maggio si vota, con nuovi partiti. Ma gli striscioni non portano i nomi dei partiti, solo quelli dei candidati e magari la loro area. Un esponente del partito comunista ci spiegherà poi che loro sono gli unici a mettere anche il nome e simbolo del partito e il programma, gli altri puntano alla rete di conoscenze territoriali e familiari. Non è chiaro lo stesso.

Vediamo alcune mendicanti, ma non più di una via italiana. Venditori di lotteria, ma non più che in Italia. Poco più in là la signora Nadia ci ferma per dire alla delegata russa “grazie Russia” (per il veto) e agli altri “basta creare problemi e morti in Siria”. Mostra anche un apparecchio che porta sulla pancia, dice che costa tanto eppure l’ha ottenuto gratis. Cento metri più avanti due altre donne incuriosite. Una parla inglese, l’0altra francese. L’anglofona è Jola (“il nome dell’imperatrice Giulia”), dunque cristiana, economista casalinga. Dice che “il punto non sono le elezioni, non adesso almeno. Del resto voi in Italia come state dopo Berlusconi? Il punto è che se finiscono le interferenze esterne di tutti questi paesi, finisce subito tutto e si potrà negoziare. Ma non vedete che a causa della distrazione di noi mediterranei, stanno rovinando tutti questi nostri paesi? Quelli della sponda nord con la finanza e la crisi, quelli della sponda sud con le guerre, come in Libia. Questi gruppi armati, alcuni fra loro sono come la vostra mafia, rapiscono, ammazzano…Poi si parla sempre di Homs ma su Homs ci marciano tutti, sauditi e salafiti e tanti altri”. E ancora: “la situazione economica è pessima”.

Qui e là gli interlocutori dicono che i disoccupati sono pagati per entrare nell’opposizione.

Jola conclude: “Ripeto, se smettono le interferenze si risolve tutto”.

Ricordo quando in Libia dicevano “sela Nato smette di bombardare ci si potrà mettere d’accordo fra noi libici”. Mala Natoha smesso quando è stato il momento.

A proposito: la sera di ritorno a Damasco incontriamo Ahmed Shakter, libico che vive in Siria da 13 anni. E’ in contatto con il milione (dice lui) di libici scappati in Egitto (più gli altri in Algeria e Tunisia). Non sono rifugiati né vogliono esserlo, sono accampati al Cairo e ad Alessandria in attesa di tornare in Libia, ma adesso non possono per via della persecuzione in atto, dice.

A proposito di vittime dei conflitti; sono oltre 400mila gli sfollati interni in Siria a causa degli scontri.

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