di Roberto de Mattei Radici Cristiane
Il 17 marzo del 1861, l’Italia celebrerà la sua Rivoluzione politica, culminata nella destabilizzazione degli Stati pre-unitari e nella proclamazione del Regno d’Italia. Il processo politico di unificazione nazionale, non va però confuso con la Rivoluzione ideologica che lo accompagnò e che costituì il Risorgimento propriamente detto, così come è un errore identificare concetti che solo la modernità ha confuso, quali quelli di Stato e nazione. La nazione è una realtà non statuale, ma culturale e morale. Lo Stato è l’organizzazione politica e istituzionale di una comunità nazionale.
Le carte geopolitiche dell’Italia, tra la Pace di Lodi del 1454 e il Congresso di Vienna del 1815, offrono l’immagine di una sola nazione, unita in una pluralità di Stati regionali diversi. Nella varietà delle sue tradizioni e forme di vita, l’Italia costituiva, fin dal Medioevo, una nazione culturalmente omogenea, unificata dalla cultura, dall’arte, dal diritto e soprattutto dalla religione cattolica.
La cattolicità la rendeva refrattaria a ogni forma di nazionalismo, perché esprimeva una tendenza universalistica a trascendere i propri confini geo-politici. I campi in cui l’Italia diede il meglio di sé furono quelli meno legati, per loro natura, a una dimensione nazionale, come la musica, l’arte, l’architettura.
La stessa letteratura italiana, come è stato notato, fu tanto più vigorosamente europea quanto più debolmente nazionale. L’identità nazionale italiana coincideva paradossalmente con la sua universalità. Niccolò Machiavelli, nel XII capitolo dei Discorsi sulla prima deca di Tito Livio, indicò nella Chiesa la principale responsabile della mancata unificazione italiana nel Medioevo.
Machiavelli non aveva torto, ma la mancata unificazione era quella politica; sotto l’aspetto culturale e artistico la Chiesa contribuì non solo a unificare l’Italia, ma a dare proiezione universale alla sua identità. I maggiori Papi dell’epoca medievale, da Gregorio Magno a Gregorio VII, difesero con la libertas ecclesiae, anche questa identità universalistica minacciata dal nazionalismo dei longobardi e poi dagli imperatori tedeschi.
Nel 1796, l’armata di Napoleone pretese di sostituire all’identità tradizionale italiana, fondata sull’unità della fede religiosa e sulla pluralità delle istituzioni regionali, una nuova identità, astrattamente derivata dalla Rivoluzione Francese. Alla “patria reale” si sostituì una patria “filosofica”, che facendo proprie le tesi della Rivoluzione francese, attribuiva alla nazione la fonte di ogni legalità.
Il termine di nazione subì, come quello di patria, una trasformazione semantica. La La nazione coincise con la democrazia repubblicana e divenne un paradigma politico a cui tutto era subordinato. La parola Risorgimento iniziò a diffondersi nel triennio giacobino 1796-1799 con un significato ideologico, e perfino con una risonanza religiosa, per indicare il processo di rinascita che avrebbe dovuto portare all’unificazione della penisola italiana. L’uso del termine si inquadrava nella filosofia della storia illuministica, per annunciare la risurrezione della nazione italiana, dopo secoli di oscurità. Analoga alla parola Rivoluzione e a quella Rinascimento, la parola Risorgimento presupponeva una frattura con il passato prossimo e un ritorno a un mitico, remoto passato. Il Risorgimento era in questo senso una Rivoluzione, la Rivoluzione italiana, anche se questo termine, all’inizio preferito a quello di Risorgimento, fu poi abbandonato, soprattutto per tranquillizzare coloro a cui il termine ricordava gli eccessi e le violenze avvenuti in un tempo ancora recente in Francia. Il giornale del conte di Cavour,
Il Risorgimento, consacrò, nel 1847, la formula politica destinata a entrare nella storia. L’impronta ideologicamente rivoluzionaria del Risorgimento si esprime nella sua politica religiosa. Malgrado l’art. 1 dello Statuto Albertino del 1848, poi recepito dal Regno d’Italia, riconoscesse ufficialmente la religione cattolica come unica religione dello Stato, le leggi Siccardi degli anni Cinquanta e le altre che ad esse seguirono, attuarono lo scioglimento di ordini e congregazioni religiose, la soppressione di conventi, l’esproprio dell’asse ecclesiastico, l’espulsione dalle loro diocesi di più di cento vescovi. Alessandro Manzoni nel suo paragone tra la Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione italiana del 1859, criticò la Rivoluzione Francese per la sua illegittimità costituzionale, ma sembrò ignorare il fatto che la Rivoluzione Italiana non solo si compì attraverso la violazione della legalità internazionale, con la conquista armata del Regno del Sud, ma si caratterizzò per una oggettiva discriminazione ideologica ai danni della Chiesa Cattolica.
Fu questa la principale ragione dell’opposizione al Risorgimento di Pio IX, il quale si era mostrato in un primo momento favorevole al progetto federalista neoguelfo, ma dovette opporre il suo “non possumus” al secolarismo risorgimentale. Il Risorgimento fu un tentativo di Rivoluzione identitaria, riassunto dallo slogan di Massimo d’Azeglio, “L’Italia è fatta, restano a fare gli italiani”, che contiene implicitamente un progetto di mutazione antropologica della nazione, nel quadro di una nuova “religione civile” in cui il linguaggio e i simboli del sacro venivano trasferiti dalla sfera religiosa a quella politica. I regimi politici e i sistemi ideologici che si sono succeduti dal 1861 ad oggi alla guida dell’Italia hanno tutti rivendicato l’eredità del Risorgimento, senza riuscire però a risolverne le questioni aperte: dalla questione morale a quella meridionale.
La Rivoluzione risorgimentale fu una Rivoluzione incompiuta, che si inserì nell’orizzonte di secolarizzazione inaugurato dalla Rivoluzione Francese, senza riuscire ad affermare una religione civile che si sostituisse a quella, data per morta, dai Padri. Chi morì, nella Seconda Guerra Mondiale, fu proprio la patria, coinvolgendo nel suo trapasso la stessa dinastia sovrana che nel 1861 aveva fatto – o disfatto, a seconda dei punti di vista – l’Italia. Il Risorgimento da allora ha il suo posto nel museo della storia. Il concetto di Risorgimento come “Rivoluzione Italiana” è stato rimosso dalla storiografia del Novecento che ha cercato di “istituzionalizzare” questo termine, depurandolo dalla sua carica eversiva. Oggi l’Italia unita è un dato acquisito e deve essere considerato un bene da difendere. Tuttavia è forse giunto il momento di aprire un ripensamento storiografico della Rivoluzione ideologica che accompagnò l’unificazione politica del XIX secolo. (RC n. 61 – Gennaio 2011)