Roma invitata da Berlino a vendere buona parte delle sue riserve auree prima che il loro prezzo cali drasticamente

di Patrizio Ricci

Con le sue 2.500 tonnellate di oro, custodite dalla Banca d’Italia, il nostro Paese occupa il 3° posto al mondo per quantità di riserve detenute. Però, per quanto possa sembrare davvero singolare, chi ne sia il proprietario non è chiarissimo. L’oro dovrebbe essere di proprietà dello stato italiano, cioè proprietà del popolo italiano. Ne è la riprova che lo stesso Tremonti, quando nel 2009 voleva tassare le plusvalenze generate dalle riserve di Bankitalia, fu bloccato dal governatore della BCE di Jean-Claude Trichet, che disse in Parlamento: “Siamo sicuri che l’oro sia della Banca d’Italia e non del popolo italiano?”, e da Draghi: “Le riserve auree appartengono agli italiani e non a via Nazionale”.

Quindi l’oro è del popolo italiano: tutto chiarito? Non proprio: se la riserva è del popolo italiano perché viene tenuta infruttifera? E’ la domanda posta da Gunther Krichbaum, presidente della Commissione affari europei del parlamento di Berlino, che in una recente intervista per il ‘Rheinischen Post’ ha detto che “con i consistenti ricavi derivanti dalla vendita delle sue riserve d’oro, l’Italia potrebbe ridurre sensibilmente il suo debito pubblico”. Successivamente il suggerimento è stata replicato ufficialmente dalla Germania, come ha riportato il quotidiano ‘Indipendent’. La proposta non è nuova, lo stesso governo Prodi propose la vendita di piccole quantità delle nostre riserve per incentivare lo sviluppo dell’economia nazionale, ma senza risultato. Più recentemente, dello stesso tenore è stata l’interrogazione parlamentare (con richiesta di risposta scritta) presentata da due deputati italiani, Fabio Rampelli e Marco Marsilio, il 19 gennaio di quest’anno, indirizzata al Ministro dell’Economia e delle Finanze. A tutt’oggi attende risposta.

Sulla vicenda non c’è sufficiente chiarezza: in qualche occasione il governatore della Banca d’Italia ha specificato che la riserva è da considerare come un fondo di garanzia, ma sfugge a garanzia di cosa e a favore di chi. Il sospetto è che tale garanzia sia per le banche e che esse mirino ad usare l’oro di Bankitalia come ‘estrema ratio’ in caso di forte difficoltà.

Quindi le plusvalenze non si tassano perché l’oro è del popolo italiano, ma in altri casi si sostiene che sia degli azionisti della Banca d’Italia, Banca para-pubblica, il cui capitale , appunto, è di proprietà di banche private.

Ci sono altre considerazioni importanti che non hanno trovato risposta: con il prezzo dell’oro che è arrivato alle stelle, sarebbe scandaloso, prima che cali drasticamente, usare almeno un 15-20 per cento delle riserve per rilanciare l’economia? La Banca d’Italia non deve agire a beneficio del popolo italiano? Perché questo non avviene? Si vendono immobili, si svendono le imprese per far cassa, ci si indebita a chiedere soldi ad altri ma si lasciano inutilizzate migliaia di tonnellate di oro che si rivalutano sempre di più.

Un ulteriore punto oscuro è la ‘disponibilità’ reale di tali riserve: la quantificazione delle effettive disponibilità nei caveau è sconosciuta, non essendo stato effettuato da decenni alcun controllo diretto.
Avere dubbi in proposito è legittimo: quando recentemente il Venezuela ha chiesto indietro il suo oro (quasi 100 tonnellate) affidato in custodia alla Banca d’Inghilterra, si è sentito rispondere che non c’era più perché era stato venduto. Ed ora la Banca of England lo sta lentamente riacquistando dal mercato…

Il nostro oro, frutto del risparmio di generazioni di italiani, non è in Italia: ai tempi della guerra fredda, quando sembrava possibile il rischio di un’invasione dell’Europa Occidentale da parte degli eserciti dei Paesi comunisti, per motivi di sicurezza è stato spostato altrove e si trova in massima parte custodito presso la FED americana , a New York; il restante quantitativo viene detenuto presso la Bank of England e presso la Banca dei Regolamenti Internazionali a Basilea. Il totale all’estero si aggirerebbe sulle 2000 tonnellate, mentre solo 500 tonnellate si troverebbero a Roma (parte però di proprietà della BCE). Naturalmente non si capisce perché parte delle nostre riserve siano in mano alla BCE, a cui dobbiamo fior di interessi per ogni prestito, e perché la maggior parte delle nostre riserve siano a Manhattan, quando non esiste più il rischio sicurezza. Non c’è risposta, e dato il ‘precedente’ del caso venezuelano è d’obbligo il dubbio. Una situazione quindi complessivamente paradossale, mentre su questi temi bisognerebbe fare chiarezza a livello nazionale ed europeo.

 

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