di Clara Mitola – Est Journal Prosegue la rivolta della dignità.
da Bucarest – “Senza Violenza”. È uno dei cartelli che, tra gli altri, affollano da quasi una settimana Piața Universității (Piazza delle Università), una piazza centrale, assolutamente simbolica per Bucarest e l’intera Romania. Simbolica nella storia recente, quella della Rivoluzione del 1989, della libertà riconquistata insieme alla dignità e alla modernità.
Il punto è che da queste parti, c’è ancora bisogno di chiedersi cosa s’intenda precisamente per libertà visto che nella Romania contemporanea, ad essere davvero liberi sono ben pochi. Qui la libertà, pare la facciano i soldi.E i soldi qui significano soprattutto ricatto sociale, mancanza di soldi.
Nulla di nuovo in realtà, soprattutto per un paese ex comunista, per una società che non ha avuto il tempo di abituarsi al benessere, travolgente, nei flussi concreti di denaro che porta con sé. Flussi deviati, in modo evidente, indirizzati nelle tasche del singolo prima che nelle casse dello Stato, dove davvero necessari per far fronte a questioni come pensioni e stipendi indecenti e insufficienti a vivere (non si parla solo di dignità, ma di sopravvivenza, di stipendi e pensioni tagliati del 25%), infrastrutture necessarie (come sarebbero strade asfaltate ovunque, illuminazione stradale che illumini davvero), il randagismo animale e umano, tra gli altri, di anziani e bambini, educazione, sanità.
Specifico: il punto di vista è quello di una semplice osservatrice, trapiantata a Bucarest da quasi due anni e che non s’intende specialmente di economia o alta finanza. D’altra parte basta unire i puntini di ciò che si legge sui giornali, che si vede per strada, che si ascolta uscir di bocca alla gente.
Basta andare in Piața Universității e il quadro è completo.
Indignati. Questa sembra sia la definizione più immediata, la più significativa per parlare di un popolo che probabilmente solo ora inizia davvero a fare i conti con la Rivoluzione del 1989, con i 23 anni di “transizione” che l’ha condotto fin qui, dentro una “democrazia” che non può ancora fare a meno delle virgolette.
La gente scende in strada e presidia la piazza. Perché?
Tutto è cominciato con una proposta di legge in materia sanitaria, una privatizzazione di tale materia, vale a dire l’ennesima porta sbattuta in faccia ai cittadini, a cui si impedisce la normalità della vita quotidiana dentro una società civile, la possibile normalità.
Chi sono gli uomini della Piazza? Studenti, pensionati, docenti, impiegati pubblici, ricercatori, operai, impiegati privati generici. Faremmo prima a dire quasi tutti? Forse sì, in ogni caso, l’elenco è lungo, le categorie diversificate e, al di là della sanità, tantissimi ed evidenti i problemi.
Il secondo giorno di presidio, domenica 15 gennaio, c’è stata una vera e propria guerriglia urbana, con eccessi di violenza da entrambe le parti: polizia (in forza è dir poco) da una parte e dall’altra un gruppo di persone staccate dalla maggioranza dei manifestanti. Si trattava, a quanto pare, di ultras armati di pietre e bottiglie molotov. Il punto, naturalmente, è stata la reazione della polizia: caricare tutti, picchiare tutti, impedire ai pacifici in stato di fermo di mostrare i propri documenti, così da poterli schedare una volta in centrale (numersissime le testimonianza). Da lì, è facile immaginare in che modo sia montata l’indignazione, l’impegno e la consapevolezza della gente nei giorni successivi.
In ogni caso, mentre cercavo di capire i perché e i come dell’occupazione di Piața Universității, mi è capitato leggere un articolo in forma di manifesto programmatico e sintetico, scritto da un manifestante, un ultras per l’appunto.
Lo ripropongo in traduzione, parzialmente, così da fare un po’ di chiarezza sulla dinamica degli eventi a Bucarest e, più in generale, su quello che più largamente la gente vuole rivendicare.