Patrick Boylan (Rete NoWar – Roma; Statunitensi per la pace e la giustizia) http://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/editoriali/autorivari_1342639152.htm
Mercoledì, 11 luglio, il padre Paolo Dall’Oglio, gesuita, fondatore del monastero di Deir Mar Musa in Siria ed ora, da un mese, persona non più gradita dal governo siriano per via del sostegno morale e materiale che ha offerto apertamente ai rivoltosi, ha tenuto a Roma due importanti interventi sull’insurrezione in corso nel paese levantino, prima al Campidoglio e poi alla Città dell’Altra Economia.
In entrambi c’è stato, sullo sfondo, l’annosa questione dibattuta nei media da oltre un anno: per cambiare il governo autoritario del Presidente Bashar al-Assad, è legittimo il ricorso alla violenza da parte dei rivoltosi siriani, inizialmente pacifici ma da tempo ben armati dagli Stati Uniti e dai loro alleati? E se la rivolta dovesse impantanarsi come spesso avviene, sarebbe legittimo un intervento militare internazionale, anche senza mandato ONU, per far vincere i giovani rivoltosi o comunque per porre fine alle violenze che essi subiscono?
Le due domande non sono oziose e aprono scenari inquietanti. Se dovessimo rispondere di sì ad entrambe – come fa gran parte dei media occidentali — cosa diremo un domani se l’Iran e la Russia (o la Cina e l’India) rispondessero di sì anche loro? Cosa diremmo, ad esempio, se la popolazione dell’Arabia Saudita (il cui monarca-dittatore Abdullah viene considerato da Amnesty Internazionale assai più feroce e tirannico di Assad) o se la popolazione del Bahrein, oppressa e martoriata dal re-dittatore Ali Khalifa, dovessero chiedere armi alla Russia o all’Iran per rovesciare il loro regime ed instaurare la democrazia? Considereremmo legittime queste rivolte armate? Considereremmo legittima anche la creazione di “corridoi umanitari” da parte dell’Iran o della Russia, “per proteggere i civili” sauditi e bahreiti e per consentire alle loro guerriglie di agire indisturbate? E cosa diremmo se il popolo cambogiano si ribellasse contro il regime autoritario ventennale di Hun Sen, avvalendosi del sostegno della Cina o dell’India sotto forma di forniture d’armi e in seguito di interventi militari “umanitari”, come la creazione di una “zona d’interdizione aerea” sopra la Cambogia e il ricorso a bombardamenti “chirurgici” per aiutare i ribelli, come ha fatto la Nato in Libia?
In una parola, dove cominciano e dove finiscono i principi della “Responsabilità di Proteggere” (norma ONU emergente) e della “guerra umanitaria” (dottrina attribuita a Václav Havel). Questi principi valgono solo quando siamo noi paesi occidentali ad invocarli per poter rovesciare dittature a noi non gradite? O valgono anche quando vengono invocati dai nostri rivali, per allargare la propria sfera d’influenza geopolitica rovesciando le dittature filo-occidentali? Ora che è iniziata la corsa tra Est ed Ovest per impossessarsi delle ricchezze dei paesi africani, la domanda è tutt’altra che oziosa.
Ed ecco perché la crisi siriana è diventata il terreno di scontro che deciderà le regole del gioco nelle relazioni internazionali del futuro.
Sullo sfondo di tutti questi interrogativi, il padre Dall’Oglio ha preso la parola nella prestigiosa Protomoteca del palazzo del Campidoglio, graziosamente messa a disposizione dall’amministrazione Alemanno (senz’altro d’intesa con la Farnesina), per rivolgersi ad una platea in larga misura preventivamente a favore di un intervento militare occidentale in Siria. Il convegno capitolino è stato infatti indetto dall’associazione “Siria libera e democratica” il cui Presidente Feisal al-Mohammed, dissidente siriano residente in Italia da 40 anni, è stato in passato promotore di diverse iniziative anti-Assad (e, in sordina, pro-intervento Nato) nella Capitale.
Dall’Oglio si è dimostrato completamente in sintonia con questa platea. Diversamente dalle relazioni dotte degli studiosi che l’hanno preceduto, egli ha svolto un comizio appassionato per ricordare il sangue dei giovani martiri, versato contro la tirannia e per la libertà, e per ribadire poi la dottrina della Chiesa che ammette il ricorso alle armi per l’autodifesa. (A queste parole la platea è scoppiata in applausi scroscianti.) Quindi, ha proseguito Dall’Oglio, sì alla fornitura d’armi ai rivoltosi e sì alla creazione di “corridoi umanitari” protetti da forze internazionali. (Qui c’è stata una vera ovazione – e non è difficile capire perché: i “corridoi umanitari” possono facilmente prestarsi ad usi militari, diventando rifugi dai quali la guerriglia può impunemente fare escursioni lampo per attaccare le forze governative, com’è avvenuto in Libia.)
In verità queste prese di posizione di Dall’Oglio non erano una novità. Già il 14 giugno, in un’intervista rilasciata a Radio Vaticano ( www.tinyurl.com/radiovaticana-1 al minuto 7’38”), Dall’Oglio aveva affermato: “Credo che sia certamente un dovere strettamente morale, internazionale, di intervenire quando un paese…è ridotto alla situazione in cui è ridotta la Siria”. E al Los Angeles Times dell’8 luglio ( www.tinyurl.com/times-8-7-12 ) egli aveva confessato: “Se la nonviolenza diventa soltanto un altro nome per non assumere le proprie responsabilità, allora non sto più con la nonviolenza, sto con il diritto di difendere la gente.”
Pur definendosi pacifista, dunque, Dall’Oglio è stato netto: dal momento che non è possibile spodestare il Presidente Assad usando i soli mezzi pacifici… alle armi! Pacifismo 2.0.
Anche se ha citato il termine una sola volta nel corso del suo intervento, Dall’Oglio sembra dunque aver subordinato interamente la sua etica pacifista alla cosiddetta R2P (“Responsabilità di Proteggere”), una disposizione ONU che è ancora in attesa di definizione giuridica e che Tom Perriello, co-fondatore di Avaaz e consigliere di Obama, ha recentemente ampliata e teorizzata ( www.tinyurl.com/perriello-1 ). Questa disposizione andrebbe senz’altro sottoposta ad una critica serrata: è un vero vaso di Pandora.
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Patrick Boylan (Rete NoWar – Roma; Statunitensi per la pace e la giustizia)
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