[ad_1]
Alla fine, il reset era quasi avvenuto: diciamo una sorta di tentativo di mettere in pausa la Guerra Fredda 2.0. I giorni interminabili di “urla e furore” arrancavano, quando finalmente il Presidente Trump ha deciso che la NATO “non è più obsoleta”. Ma lui vuole “andare d’accordo” con la Russia.
Poco prima di incontrare il Segretario di Stato americano Rex Tillerson a Mosca, il Presidente Vladimir Putin ha spiegato [in inglese] alla tv russa che la fiducia (tra Russia e Stati Uniti) è a un “livello accettabile, specialmente nell’ambito militare, ma non è migliorata. Al contrario, si è deteriorata.” Accento sul modesto aggettivo “accettabile”, ma soprattutto sul termine “deteriorata”, visto il rapporto del Consiglio di Sicurezza Nazionale in cui essenzialmente accusa Mosca [in inglese] di diffondere notizie false.
Al culmine dell’isteria del russia-gate, anche prima dell’estremamente controverso incidente chimico [in inglese] in Siria e il conseguente show – presumibilmente uno show cinematografico – di missili Tomahawk [in inglese], il reset sulla Russia voluto da Trump era già nato morto, bombardato dal Pentagono, dal Campidoglio e da una pubblica opinione mal informata dai media.
Ormai solo il Dottor Stranamore potrebbe argomentare che è nell’interesse nazionale americano rischiare una guerra “calda” diretta contro la Russia – e l’Iran – in Siria. La Russia ha quasi vinto la guerra in Siria alle sue condizioni, cioè prevenendo la nascita di un emirato del Takfiristan.
L’idea che Tillerson sarebbe capace di porre l’ultimatum al Ministro degli Esteri Sergey Lavrov – “o stai con noi o stai con Damasco e Teheran – è ridicola. Semplicemente Mosca non cederà la sua sfera di influenza faticosamente conquistata in Asia sud occidentale a favore dell’amministrazione Trump o dello Stato Profondo americano. Ciò che Mosca voleva veramente sapere è chi a Washington sta decidendo la politica verso la Russia. Ora hanno avuto la risposta.
E poi c’è il quadro generale. La partnership strategica tra Iran e Russia è uno dei tre nodi principali (insieme alla Cina) della grande storia del giovane XXI secolo: è l’integrazione euroasiatica, con Russia e Iran che concludono l’accordo energetico, e la Cina come locomotiva degli investimenti.
Tutto questo ci porta al cuore della questione: la paura che il Partito della Guerra ha per l’integrazione eurasiatica, che inevitabilmente si manifesta in acuta russofobia.
Ma la russofobia non è monolitica o monocorde: c’è spazio per qualche forma di dissenso consapevole, e anche di inflessioni civilizzate.
Cercate Dr.K
La prova A è Henry Kissinger, che come fiduciario a vita ha parlato recentemente al meeting annuale della Commissione Trilaterale [in italiano] di Washington. I membri della Commissione Trilaterale, creata dal defunto David Rockfeller [in inglese] nel 1974, venivano scelti meticolosamente dal Dr. Zbigniew “la Grande Scacchiera” Brzezinski, la cui intera carriera è stata una leggera variazione dell’onnicomprensivo approccio che vuole gli Stati Uniti sempre pronti a contrastare l’emergenza di un “concorrente alla pari” in Eurasia o, ancora peggio (come oggi), di una alleanza Euroasiatica.
Kissinger è l’unico professionista geopolitico che riesce ad avere la totale attenzione del Presidente Trump. Fino ad ora è stato il migliore facilitatore del dialogo – e del possibile reset – tra Washington e Mosca. Io ho ipotizzato [in inglese] che questa sia una parte del ri-equilibrio di potere, della strategia del “Divide et Impera”, che consiste nel separare la Russia dalla Cina con lo scopo ultimo di far naufragare l’integrazione Euroasiatica.
Kissinger si è sentito costretto a dire alla sua audience, che si suppone ben informata, che Putin non è una replica di Hitler, che non ha mire imperialistiche e che è un “errore di prospettiva e di sostanza” descriverlo come un super-cattivo globale.
Quindi Kissinger favorisce il dialogo, anche se insiste che Mosca non possa battere Washington dal punto di vista militare. Le sue condizioni: l’Ucraina deve rimanere indipendente, e non entrare nella NATO, e la Crimea è negoziabile. Il problema chiave è la Siria: Kissinger è irremovibile sul fatto che la Russia non possa diventare il maggior soggetto in Medio Oriente (anche se è già così, dato che Mosca ha sostenuto militarmente Damasco e sta guidando i negoziati di pace di Astana). Implicito in tutto questo, la difficoltà di negoziare un “pacchetto” complessivo per la Russia.
Ora paragonate Kissinger a Lavrov che, mentre citava [in inglese] Dr.K, ha di recente fatto una diagnosi che lo avrebbe umiliato. “La formazione di un ordine policentrico internazionale è un processo oggettivo. E’ nostro comune interesse renderlo più stabile e prevedibile”. Ancora una volta, riguarda l’integrazione Euroasiatica.
Cinque anni fa Putin lo aveva già sottolineato in dettaglio [in inglese], anche prima che i Cinesi rimpolpassero nel 2013 il concetto della nuova Via della Seta (One Belt, One Road, OBOR).
La nuova Via della Seta può essere certamente interpretata come una variazione ancora più ambiziosa dell’idea di Putin: “La Russia è una parte inalienabile e organica della Grande Europa e della civilizzazione europea… Ecco perché la Russia propone di andare verso la creazione di una zona commerciale comune dall’Atlantico al Pacifico, una comunità che gli esperti russi chiamano ‘Unione dell’Europa’ che rafforzerà il potenziale della Russia nel suo fulcro economico verso la nuova Asia”.
L’Occidente – o, per essere più precisi, la NATO – ha messo il veto alla Russia. E questo, in un battibaleno, ha accelerato la partnership strategica tra Russia e Cina, e le miriadi declinazioni conseguenti. E’ questa simbiosi che ha portato il recente rapporto della Commissione economica e per la Sicurezza USA-Cina ad ammettere [in inglese] che la Cina e la Russia stanno vivendo ciò che è verosimilmente il loro “periodo più alto di cooperazione bilaterale [militare]”.
Il Partito della Guerra non dorme mai
Alla pari di Kissinger che spiega perché Putin non è Hitler, la prova “B” dimostra che il Journal of American Diplomacy, strumento in teoria di eccellente informazione nel settore diplomatico, ha dovuto pubblicare un saggio piuttosto notevole [in inglese] di Robert English, Professore associato della University of Southern California e laureato in Politica a Princeton.
Dopo un’attenta analisi [in inglese], l’inevitabile conclusione è che il Prof. English ha fatto una cosa molto semplice ma senza precedenti: “con precise argomentazioni” ha sfidato “il prevalente sentire comune” e “ha distrutto le posizioni” di praticamente tutto l’establishment della politica estera americana dipendente dalla russofobia.
La partnership strategica tra Russia e Cina – che somma le due più grandi minacce all’America dichiarate dal Pentagono – non deriva da un trattato formale, firmato in pompa magna. Non c’è modo di conoscere le condizioni più segrete che Pechino e Mosca hanno concordato nei numerosi meeting tra Xi e Putin.
E’ piuttosto probabile, come i diplomatici hanno fatto intendere per vie confidenziali, che ci possa essere stato un messaggio segreto recapitato alla NATO: se uno dei membri strategici fosse seriamente molestato – non importa se in Ucraina o nel Mar Cinese Meridionale – la NATO dovrà vedersela con entrambi. Come per lo show dei Tomahawk, potrebbe essere stato un una tantum: il Pentagono ha dato un segnale a Mosca e Tillerson, a Mosca, ha garantito che l’amministrazione Trump vuole tenere aperti tutti i canali di comunicazione.
Ma il Partito della Guerra non dorme mai [in inglese]. I neoconservatori notoriamente in disgrazia, rinvigoriti dallo show “al cioccolato” dei Tomahawks di Trump, stanno sbavando [in inglese] sull’opportunità di una riedizione in Siria del “colpisci e terrorizza” fatto in Iraq.
Il tema caldo del Partito della Guerra è ancora una guerra in Iran, e questo ora si fonde con la russofobia dei neoliberalconservatori, prendendo forma attraverso l’attualmente “scomparso” – ma sicuramente non estinto – “Russia gate”. Per gli isterici, la vera e oscura storia del “Russia-gate” riguarda ancora il “grande fratello” orwelliano dello Stato Profondo americano, come spiegato [in inglese] dell’ex analista della CIA Ray McGovern e della talpa Bill Binnery.
Quale che sia alla lunga il risultato pratico di questo turbolento incontro trilaterale di due ore fra Putin, Lavrov e Tillerson, alla fina la russofobia – e la sua gemella iranofobia – non scomparirà dallo spettro geopolitico di USA-NATO. Soprattutto ora che Trump ha forse finalmente mostrato la sua vera faccia, e cioè quella di un “cane addomesticato al dogma neoconservatore” [in inglese].
Alla fine la maschera è caduta, e questi continui riferimenti alla Guerra Fredda 2.0 dovrebbero essere visti per ciò che sono: la paura primaria per l’integrazione Euroasiatica del Partito della Guerra .
*****
Articolo di Pepe Escobar pubblicato da Sputnik News il 20 aprile 2017.
Traduzione in Italiano a cura di Elvia Politi per SakerItalia.it
[ad_2]