tratto da: Antonio SOCCI, Cristiani. L’avventura umana di 14 santi, suppl. a 30 Giorni, anno IX, dicembre 1991, p. 16s.
Un giovane intrepido raggiunge le terre impervie d’Irlanda. Il contagio del cristianesimo conquista l’isola. Ma i nemici di Patrizio sono dentro la Chiesa. Intanto molti giovani lo seguono. Sono i monaci che convertiranno l’Europa
Un sedicenne ridotto in schiavitù è costretto a badar le pecore nelle sperdute terre d’Irlanda. Siamo attorno al 400 d.C.. L’Irlanda è l’estremo confine della terra conosciuta, dove non sono arrivate nemmeno le legioni romane. L’imponderabile disegno di Dio aveva scelto quel ragazzo per trasformare quell’isola pagana, popolata da barbari e pirati, nella leggendaria «isola dei santi». I santi irlandesi che circa un secolo dopo riportarono la fede in una Europa sconvolta.
Patrizio -è questo il nome di quel ragazzo- era nato attorno al 385 d.C. nella Britannia romana, a Bannaventa Taburniae, forse nei pressi dell’attuale Daventry. Dalla stessa terra proveniva il monaco Pelagio che Patrizio combatté e condannò come sant’Agostino. I genitori erano cristiani. Il padre, Calpurnius, era diacono, ed il nonno, Potitus, era un prete cristiano (allora non era ancora stato codificato l’obbligo del celibato).
Una famiglia benestante, visto che Calpurnius era anche uno dei «decuriones», i consiglieri municipali. Patrizio, come molti rampolli delle classi agiate, pensava soprattutto al bel vivere. Passa attraverso i gradi dell’istruzione romana: prima sotto «magister ludi», poi sotto «grammaticus». Ma non frequenta mai il livello superiore, quello tenuto dal «rethor». Da qui la sua ignoranza del latino letterario e della giurisprudenza (che molte volte, nel corso della vita, gli verrà rinfacciata). Perché attorno al 401 accade qualcosa nella villa di campagna del padre, che sconvolge la vita di quel giovanotto. Patrizio ricorda quel giorno nella sua «Confessione», una delle più antiche autobiografie che si conoscano: «Adolescente, o piuttosto ragazzo -lo ammetto- ancora incapace di parlare, io fui fatto prigioniero, prima di sapere ciò che bisogna cercare e quello che va evitato». Erano pirati irlandesi quelli piombati d’improvviso nelle campagne, che lo deportarono come schiavo insieme a molti altri. Gli irlandesi erano ritenuti «barbari, nemici che non conoscono Dio».
Per Patrizio il «risveglio» è durissimo. Passare da una vita di sogni e divertimenti fra i rampolli della bella società a badar le pecore come schiavo sui dirupi inospitali di un’isola lontana lo inchioda impietosamente alla realtà. In quei giorni e quelle notti trascorse in compagnia del freddo, della fame e delle bestie, il giovanotto, forse per la prima volta, fa seriamente i conti con se stesso. E con il battesimo ricevuto. Patrizio racconta: «E allora “il Signore aprì l’intelligenza del mio cuore pieno d’incredulità” perché io vedessi, sebbene tardi, i miei peccati, e “mi convertissi con tutto il cuore al Signore”, che “ha consierato la mia miseria” ha avuto pietà della mia giovinezza e della mia ignoranza, ha avuto cura di me prima ancora che io lo conoscessi e prima che io fossi maturo… mi ha reso forte e mi ha consolato come un padre consola suo figlio». Patrizio è toccato da una grazia particolare, si direbbe prescelto, certo senza precondizioni, vista la vita dei suoi anni precedenti. «Tutti i giorni custodivo le mandrie e spesso pregavo, nella giornata… Nelle foreste, sulle montagne, mi svegliavo prima dell’alba per pregare, sotto la neve, col gelo e la pioggia». La certezza di essere stato scelto, per grazia, non lo abbandonerà nemmeno negli anni tardi, quando sarà sottoposto alle umilianti contestazioni dei fratelli cristiani gelosi («io affermo di essere vescovo… io ho ricevuto da Dio ciò che sono»).
Dopo sei anni di dura vita servile in Irlanda è un sogno che gli annuncia l’ora della libertà, indicandogli una nave pirata pronta ad ospitarlo e la via per raggiungerla. Il giovane fugge nella notte. Percorre circa 300 chilometri fino a raggiungere un porticciolo dove s’imbattè, effettivamente, nella nave sognata. La ciurma era dello stesso tipo di quella che lo aveva catturato. Ma era Patrizio ad essere cambiato. Il capo non vuole imbarcarlo, Patrizio probabilmente scuce dei soldi racimolati non si sa come, ma deve ancora convincere quella gente della sua lealtà. Non possono rischiare di farsi denunciare alla prima occasione. Dopo un po’ sono amici. I pirati lo invitano a siglare giuramento di fedeltà e amicizia secondo i rozzi rituali della marmaglia irlandese. Patrizio accetta di giurare fedeltà a quella nuova amicizia, ma «nel nome di Gesù Cristo». Quelli prima si meravigliano della sua stravaganza, ma alla fine accettano. È dei loro. Nell’estate del 407 sbarcano in Gallia, appena devastata dai Vandali e dalle truppe di Costantino III. Presto Patrizio è a casa.
L’aveva lasciata che era un ragazzo. Adesso è determinato ad essere un cristiano. Prima frequenta i monaci di Lerino, poi va a studiare in Gallia per diventare prete, mentre il suo cuore carezza l’idea di tornare in Irlanda a battezzare quei popoli. Papa Celestino I nel 431 consacra in effetti il diacono Palladio vescovo d’Irlanda, ma di quella missione non è rimasta traccia. Il fatto è che mentre Patrizio sta studiando in Gallia -un periodo di diciassette anni- il suo più intimo amico briga perché proprio Patrizio sia incaricato di quella missione. Difficile dire se egli ne fosse al corrente. Comunque al suo ritorno proprio quell’amico dà a Patrizio la grande notizia: è stato scelto. Scompiglio e lacrime fra amici e familiari che provano con ogni sorta di regalo e di ammonimento a trattenerlo. Naturalmente «non ut causa malitiae», ma per il sincero terrore per i pericoli che avrebbe corso. «Ma il Signore vinse in me contro tutti costoro affinché io venissi dai pagani d’Irlanda ad annunciare il Vangelo». Decisiva era stata una visione: «Una notte vidi venire a me, dall’Irlanda, un uomo chiamato Vittorizio. Mi portava una quantità innumerevole di lettere, e in cima a una di esse lessi le parole: “Voci degli irlandesi”. E mentre leggevo ad alta voce l’inizio di quella lettera, mi pareva di sentire delle voci… che dicevano: “Ti preghiamo, santo giovane, di venire e di vivere ancora in mezzo a noi”. Io ne fui estremamente commosso». Patrizio ammette, con dolore, la sua poca cultura. Si definisce mille volte «rusticus» e «rusticissimus». Certamente è «homo unius libri», la Bibbia, da dove però cita con entusiasmo una frase che sente proprio pertinente per sé: «Anche la vita degli ignoranti è stata creata per il Signore». Come è stato notato, la parola chiave della sua Confessione è senza dubbio la gratitudine.
Di fatto, attorno al 432, dopo essere stato consacrato vescovo (senza sede, itinerante) da san Germano di Auxerre -o forse dallo stesso papa Celestino- sbarca in Irlanda, a Downpatrick, e comincia la sua missione: «Una cosa che mai nella mia giovinezza avrei sperato né immaginato». Annoterà molti anni dopo: «Sono arrivato fino alle terre più lontane, al di là delle quali non c’è nessuno e dove nessuno era mai arrivato per battezzare». Il santo Evangelo è annunciato fino alle soglie dell’Oceano «fino alle terre al di là delle quali non vive nessuno».
L’antico mondo celtico, le sue mitologie, la sua storia, le sue leggende cominciavano una nuova vita. Patrizio percorre tutta l’isola. Scrive Régine Pernoud: «La sua marcia attraversa l’Ulster, il Connaught, il Meath e Munster, la contea di Limerick, in breve tutta l’Irlanda dei monti, dei burroni, delle torbiere, dei campi di grano e dei pascoli, con probabili dispute pubbliche in mezzo a quelle popolazioni che amano parlare e discutere, e con un successo impressionante». Battezza migliaia di persone («tot milia hominum»), aristocratici, gente semplice, uomini liberi, schiavi e re. L’ostilità dei sacerdoti druidi è la sua compagnia quotidiana, come pure i pericoli e le minacce. «Ogni giorno» ricorda Patrizio «mi aspettavo di essere ammazzato, fatto prigioniero, ridotto in schiavitù o chissà quale altra eventualità». In effetti subisce aggressioni, saccheggi e viene anche fatto prigioniero con i suoi compagni (sarà poi liberato quindici giorni dopo grazie all’intervento di amici potenti che si era procurato).
Ma il dolore più grande venne dall’interno stesso della sua Chiesa. La Confessione probabilmente è proprio la risposta di Patrizio a tutte le accuse, le denigrazioni, le calunnie subite. Si giunse ad accusarlo di non essere degno del ministero episcopale per immoralità. Un amico, lo stesso che si era fatto in quattro per fargli avere l’investitura missionaria, aveva denunciato pubblicamente un peccato giovanile di Patrizio, commesso «quando ancora non conoscevo il Dio vivente». Patrizio si era un giorno confidato con l’amico e adesso quello lo diffamava pubblicamente durante il sinodo bretone «per screditarmi agli occhi di tutti, dei buoni e dei cattivi». Patrizio ne fu sconvolto. La cosa fece scalpore. Egli non partecipava al sinodo, né si recò in Britannia a discolparsi. Allora una delegazione di vescovi partì per l’Irlanda per sottoporre a un umiliante giudizio quello straordinario annunciatore del Salvatore. «Questi signori vennero e vennero anche i miei peccati, contro il mio faticoso episcopato». «Trovarono contro di me un pretesto, vecchio di trent’anni». «Io ne fui scosso violentemente, mi sentivo precipitare in basso… ma il Signore risparmiò con bontà colui che si era fatto straniero e pellegrino per il suo nome, mi soccorse potentemente in questa ignominia». Patrizio subisce dunque anche questa umiliazione. Nella sua «Confessione» egli si rivolge a due destinatari; i primi in Bretagna, sono coloro che l’hanno conosciuto da giovane e hanno finanziato la sua missione; i secondi in Irlanda, sono coloro che lo hanno seguito: «per voi ho speso tutti i miei beni, me stesso e la mia stessa vita». A questi, che egli ama, cerca di spiegare perché è bersagliato da tante accuse: «Mi odiano». Dopo il peccato di gioventù cercano di inchiodarlo sulle questioni finanziarie e costringerlo a giustificazioni umilianti («io non cerco il mio interesse»): «Ho dovuto guardarmi anche dai miei fratelli cristiani… che mi offrivano spontaneamente dei piccoli regali… affinché per un dettaglio infimo non dessi il pretesto alle diffamazioni e alle denigrazioni di chi non ha la fede». Si arriva, in effetti, fino a chiedergli conto di come ha speso le somme a lui affidate. Lo si sospetta di essersi fatto pagare. Un’accusa davanti alla quale reagisce con violenta indignazione: «Quando io ho battezzato molte migliaia di persone mi aspettavo per caso anche da uno solo la metà di un soldo? Ditemelo e ve lo renderò subito». Patrizio ammette tranquillamente di aver pagato per «corrompere» i «piccoli re» ed i loro giureconsulti. L’Irlanda era frazionata in una infinità di tribù, ognuna con il suo Stato sovrano (tuatha). Senza il permesso del re della zona e dei suoi «brehon», Patrizio non avrebbe potuto predicare e la sua stessa incolumità personale sarebbe stata minacciata: «Credo di aver pagato loro, complessivamente, una somma non inferiore al prezzo di quindici uomini affinché voi poteste gioire di me ed io gioire sempre di voi nel Signore». Aggiunge Patrizio: «Nel corso della mia missione io offrivo regali ai re e ricompense di cui gratificavo i loro figli che mi accompagnavano nel mio viaggio».
Molti di questi giovani -e poi i loro genitori- si convertirono, e andarono a vivere con Patrizio in quella prima comunità monastica che raccolse attorno a sé ad Armagh, dove nel 445 costruì la sua cattedrale e dove aveva appunto una specie di quartier generale. Si insediano lì due comunità monastiche di giovani («gentes illas interquas habito») a capo delle quali Patrizio lascia il nipote che lo ha raggiunto, Mel (che diventerà poi santo). Lo stesso Patrizio si stupisce per il miracolo della conversione di tanti giovani. «Questa gente in Irlanda non ha mai avuto la minima conoscenza (notitia) di Dio e fino ad ora ha adorato gli idoli e altri oggetti impuri. Come sono diventati recentemente un popolo del Signore e sono chiamati figli di Dio? Come i figli degli Scoti e le fanciulle dei “piccoli re” sono diventati monaci e vergini di Cristo?». «Io constato -ammette Patrizio- che, “nel secolo presente”, il Signore mi ha esaltato al di là di qualsiasi misura, senza che io ne fossi degno… ma, nonostante la mia miseria, Egli non fa differenza di persone e ha scelto me per questa missione». Patrizio racconta la storia di una di queste ragazze, bella di aspetto e di famiglia nobiliare, che aveva ricevuto il battesimo e che voleva vivere con le altre vergini. L’opposizione dei suoi familiari arrivò fino alle minacce ed al terrore.
L’esempio serve a Patrizio per giustificarsi: «Anche se volessi lasciarli per venire in Bretagna… e fino in Gallia per visitare i fratelli e vedere il volto dei santi del mio Signore… io temo di perdere i frutti di questo lavoro». Le amarezze di Patrizio non finiranno qui. Un certo Coroticus, reggente della Britannia romanizzata, arrivò a mandare in Irlanda suoi feroci pirati: furono massacrati alcuni cristiani e altri deportati e venduti come schiavi. Patrizio ne è sconvolto, appare angosciato per la sorte dei suoi figli -anche donne e bambini- finiti in schiavitù. Scrive al famigerato Coroticus, gli intima di pentirsi e chiede alla Chiesa della Britannia di scomunicarlo. Ma Patrizio computa anche questo tremendo episodio nel triste elenco delle sue persecuzioni: «Mi odiano. Che devo fare, Signore? Sono profondamente disperato. Ecco che attorno a me le tue pecore sono straziate e catturate dai banditi… Dei lupi avidi hanno divorato il gregge del Signore che in Irlanda si accresceva mirabilmente».
Ma ciononostante il numero dei «giovani monaci e delle vergini di Cristo non si conta più». Queste comunità monastiche sono una caratteristica dell’Irlanda. Quando Patrizio muore, nel 461, sull’oceano, gli «skellings», certi isolotti battuti dai venti e dalle acque, si popolano di giovani. Vivono in piccole celle costruite a secco con le pietre. Lavorano come muratori, fabbri, falegnami, orafi, tessitori, ciabattini. E soprattutto amanuensi. Vivono bevendo acqua piovana e mangiando le erbe. Al centro una chiesetta dove pregano insieme e una cella per la vita comunitaria. Sarà uno di questi giovani, Colombano, a dare una Regola a queste comunità. Insieme a Colombano, una straordinaria compagnia di santi sciameranno da questi isolotti verso l’Europa per conquistarla alla fede fra VI e VIII secolo. Fu la sola terra che accolse la fede senza spargere il sangue dei martiri. Ma l’Irlanda cattolica -assoggettata molti secoli dopo al dominio anticattolico inglese- dovette subire un vero genocidio.