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Jacques Sapir commenta a caldo sul suo blog Russeurope i risultati del G-20 di Amburgo. Secondo l’economista francese Stati Uniti, Russia e Cina ne escono più forti, grazie anche alla nuova intesa tra Putin e Trump. Mentre il vero perdente è l’Unione europea, campione del libero scambio più integrale, sconfitta dalla dichiarazione finale del summit, che riconosce ai singoli Stati la possibilità di reagire con misure autonome a comportamenti illeciti in campo commerciale. Secondo Sapir “è innegabile che l’incontro di Amburgo ha ufficialmente messo agli atti l’esistenza di un mondo multipolare, un mondo su cui nessun Paese può rivendicare il diritto di dettare legge né esercitare il potere”. Alla diplomazia francese, conclude, non resta che smaltire la sbornia mondialista.
Di Jacques Sapir – 9 luglio 2017
L’incontro del G-20, che si è tenuto dal 7 al 9 luglio ad Amburgo, ha dimostrato l’ attuale esplosione delle relazioni internazionali. Ha inoltre evidenziato la posizione più forte sia di Paesi come gli Stati Uniti, sia della Cina e della Russia. E ha messo agli atti l’incapacità dei paesi dell’Unione Europea di fare avanzare la loro agenda di una cosiddetta “governance globale” basata sulla negazione della sovranità dei singoli Stati.
Una vittoria di Vladimir Putin?
In particolare, tre punti di questo incontro sono significativi.
Il primo è senza dubbio l’incontro tra Vladimir Putin e Donald Trump. L’incontro, che in parte ha finito col mettere in ombra gli altri incontri bilaterali, ha posto le basi per la futura cooperazione tra Stati Uniti e Russia. Se gli Stati Uniti hanno ottenuto dai russi l’accordo su un cessate il fuoco nel Sud-ovest della Siria – tregua di cui si può pensare che lasci presagire una divisione a breve del paese [ 1] – hanno anche ufficialmente accettato che Assad resti al potere, e che mantenga il controllo su una grande parte della Siria “utile”. Il che significa concedere a russi e iraniani, questi ultimi non presenti al G-20, quello che chiedevano. Se questa divisione viene condotta fino in fondo, infatti, non riguarderà soltanto le forze che sostengono Assad e l’opposizione cosiddetta “moderata”, ma includerà anche le forze curde del nord del Paese: la contrarietà della Turchia su questo punto è evidente e ben nota. È probabile dunque che una delle conseguenze di questa tregua sarà un riavvicinamento tra la Turchia e la Russia sull’idea dell’unità della Siria, una soluzione molto meno svantaggiosa per Ankara. Il cessate il fuoco è una soluzione temporanea, che garantisce solo una protezione minimale delle milizie sostenute dagli Stati Uniti in Siria. Questo è il motivo per cui è stato accettato dalla Russia, che sarà ora in grado, con l’aiuto dell’Iran e il sostegno forzato e costretto dei partiti curdi, di far avanzare progressivamente la sua idea di unità della Siria. La tregua è dunque un successo tattico, ma una sconfitta strategica per gli Stati Uniti [per meglio comprendere la tesi di Sapir, si veda la nota di approfondimento al termine dell’articolo, ndVdE]
Mette in evidenza invece il ruolo pienamente recuperato da Vladimir Putin, che al G-20 è stato al centro dell’attenzione. Non solo non ci sono più tentativi di “isolare” la Russia, ma Putin può contare su dichiarazioni, sia da parte del segretario di Stato Roy Tillerson sia di Donald Trump, che fanno appello a un rapporto costruttivo con la Russia.
Un successo di Donald Trump gli ayatollah del libero scambio?
È molto probabile che nel “grande accordo”, che ha avuto luogo tra il presidente russo e quello degli Stati Uniti, questo sia stato compreso in pieno. In cambio di questa grande concessione, Trump ha chiesto a Putin di tenere a bada la Corea del Nord, e ha ottenuto il suo sostegno sia sulla questione commerciale sia su quella del clima.
In effetti, bisogna leggere attentamente il comunicato conclusivo. Sulla questione del commercio, l’America ha vinto la partita [2] . Dopo una notte di trattative tra gli sherpa, il G20 ha sì condannato il “protezionismo”, ma allo stesso tempo ha anche riconosciuto agli Stati il diritto di difendersi sul terreno commerciale, in caso qualcuno attui pratiche illecite. Questo è importante, e da collegare con la posizione russa. Per questo paese sono da condannare le misure che impediscono a uno Stato di avere accesso a determinati beni e prodotti, come le sanzioni, e non le misure volte ad aumentare il costo di questi beni e prodotti per proteggere l’industria nazionale. Da questo, diventano importanti i termini usati nel comunicato finale:
“Noi (…) continueremo a combattere il protezionismo, comprese tutte le pratiche commerciali sleali, e a riconoscere il ruolo degli strumenti legittimi di difesa su questo punto“.
Nessuno vuole, e questo è ovvio, un ritorno all’autarchia. Ma un numero crescente di Paesi accetta l’idea che una protezione tariffaria possa essere necessaria. Riconoscendo agli Stati il diritto di applicare mezzi legittimi di difesa, senza legarli ad alcun accordo internazionale, come ad esempio l’organismo per la risoluzione dei conflitti dell’OMC, l’Unione europea, che in questo G-20 è stata il campione della difesa del libero scambio totale, ha subito una sconfitta in campo aperto. In un certo senso, se Emmanuel Macron è sincero nella sua volontà di promuovere una “Europa che protegge”, potrebbe appoggiarsi a questa sconfitta degli ayatollah del libero scambio di Bruxelles.
La sconfitta degli accordi di Parigi
Sulla questione dell’ambiente, benché Emmanuel Macron abbia cercato di utilizzare il G-20 come un nuovo palcoscenico per celebrare l’accordo sui cambiamenti climatici di Parigi, è chiaro che ora è in una posizione molto debole.
I Paesi del G-20 hanno trovato un compromesso per evitare la rottura definitiva con Washington, ma anche con la Russia e con la Cina, dopo che questa ha annunciato la sua uscita dall’accordo di Parigi. Il comunicato finale “ha preso atto” dell’uscita degli Stati Uniti. Ma l’accordo è descritto come “irreversibile” per tentare di isolare gli Stati Uniti su questo punto. Tuttavia, ci si può domandare chi isola chi, quando si ricorda che il testo dell’accordo di Parigi non è realmente vincolante, ed è già stato messo in discussione da molti altri Paesi. Certo, la cancelliera tedesca può dichiarare alla stampa di essere felicissima del fatto che tutti gli altri capi di Stato e di governo si attengano all’accordo di Parigi. Ma il processo che porta al suo sostanziale svuotamento è già in atto. La dichiarazione finale, infatti, dice che il G20 “si adopererà per lavorare a stretto contatto con altri partner per facilitare il loro accesso e un uso più pulito ed efficiente dei combustibili fossili, e contribuire a distribuire le energie rinnovabili e altre fonti di energia pulita“.
In effetti, con il G-20 è stato possibile cominciare a vedere la realtà che si cela dietro l’altisonante retorica sul “rischio climatico”: quella di un tentativo di aprire alle grandi aziende nuovi campi di azione, per esempio la sostituzione del motore a carburante delle automobili con un motore elettrico, benché la realizzazione della batteria necessaria per questi veicoli produca emissioni di anidride carbonica quanto otto anni di utilizzo di un veicolo diesel, trascurando in misura sempre maggiore i problemi reali di inquinamento con cui si confrontano le persone, sia che si tratti dell’inquinamento atmosferico [3], o dell’inquinamento dell’acqua e degli alimenti prodotti dall’agricoltura industriale.
Una sconfitta del globalismo?
Il bilancio complessivo di questo G-20 è quella di una sconfitta dei sostenitori di una forma di “globalismo” e del riconoscimento della legittimità di azione delle nazioni sovrane. Questo risultato, come è normale, è stato coperto con molti strati di zucchero per addolcire la pillola. Ma è innegabile che l’incontro di Amburgo ha ufficialmente messo agli atti l’esistenza di un mondo multipolare, un mondo su cui nessun paese può rivendicare il diritto di dettare legge né esercitare il potere. E in un certo senso, questo è un gran bene. Ma ora è necessario che la diplomazia francese torni alla realtà e si riprenda dalla sua ubriacatura globalista. Si può scommettere che sarà un passaggio doloroso, e accompagnato da postumi di sbornia permanenti…
Note
[1] https://www.bloomberg.com/news/articles/2017-07-08/putin-s-endgame-in-syria-gains-traction-after-deal-with-trump
[2] http://www.lepoint.fr/monde/le-journal-de-trump/sommet-du-g20-trump-bataille-avec-ses-homologues-08-07-2017-2141610_3241.php
[3] Vedi N. Meilhan, “Sulfates or no sulfates” in http://leseconoclastes.fr/2017/07/sulfates-or-no-sulfates-that-is-the-question/
[Nota di approfondimento di Saint Simon VdE: Al fine di rendere più comprensibile la complicata situazione siriana, una piccola disamina degli schieramenti in campo.
Gli Stati Uniti vorrebbero mantenere il controllo del Sud-Ovest siriano, al confine con Giordania e Israele, per poter organizzare successivamente una eventuale nuova avanzata in Siria col supporto degli alleati sauditi e israeliani, e controllare le vie di approvvigionamento dall’Iraq. Tuttavia, poiché sul campo le fazioni sostenute dagli USA sono prossime alla sconfitta militare, l’unico modo per ottenere ciò è sedersi al tavolo coi vincitori, Siria e Russia, e trovare un accordo per dividere la Siria, in cambio del riconoscimento del controllo diretto di Assad su gran parte di essa. Se la Siria venisse divisa, tuttavia, i curdi dell’YPG, alleati degli USA, che hanno combattuto contro Assad e l’ISIS nel nord della Siria, spingerebbero per ritagliarsi il proprio stato indipendente. Questo sarebbe inaccettabile per la Turchia di Erdogan, il cui peggior incubo strategico è proprio la formazione di uno stato curdo indipendente alle sue frontiere, che rinfocolerebbe il secessionismo curdo nelle regioni orientali della Turchia. Di conseguenza Erdogan, pur essendo stato uno dei nemici irriducibili di Assad, troverebbe preferibile riavvicinarsi alla Russia e sostenere l’idea dell’unità della Siria. Messi di fronte a questo scenario, per non perdere il sostegno della Turchia nella regione, gli USA si troveranno costretti ad abbandonare l’idea di dividere la Siria, costringendo i curdi ad accettarne l’unità. Così, per gli USA, la vittoria tattica – il cessate il fuoco che consentirebbe di tenere militarmente le regioni che si vogliono staccare dalla Siria – si trasformerà appunto in una sconfitta strategica – l’accettazione forzata dell’unità della Siria e la rinuncia ad altre azioni militari.]
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