Risposta del Cardinal Carlo Caffarra Arcivescovo di Bologna all’avvocato Gianfranco Amato Presidente dei Giuristi per la Vita
Lectio magistralis del Cardinal Caffarra tenuta il 6 dicembre 2015 nell’ambito del seminario residenziale di studi sociali organizzato da “Vita è”
Domanda:
Eminenza, Lei ha parlato del rapporto fede-ragione, che è drammaticamente attuale oggi dove sembra che viviamo un paradosso per cui gli uomini di fede sono diventati gli ultimi difensori della ragione umana. A me interessava un altro rapporto: quello tra fede e cultura. Io ricordo, ero giovane, quando nel 1982 ascoltai Giovanni Paolo II, – credo fosse un suo discorso al M.E.I.C. –, fare questa affermazione: «una fede che non diventa cultura non è pienamente accolta, pienamente pensata, pienamente vissuta». Se ci vuole dire due parole su questo tema, penso che sia utile per tutti.
Risposta:
Perché la fede non diventa cultura? Cultura non significa evidentemente scrive-re dei libri. Cultura vuol dire quello che i greci chiamerebbero l’ethos, la casa entro cui si vive secondo certe visioni del mondo, di Dio, delle cose, secondo certi criteri di valutazione morale, eccetera. Questa è la corretta definizione di cultura.
Orbene, la fede non può non generare cultura in quanto non è un fatto privato. Non può non generare cultura, perché è il meridiano che attraversa tutti i paralleli.
Tutte le grandi esperienze dell’umano quali il lavoro, l’amore tra un uomo e una donna, la società civile, l’esercizio del potere politico, insomma, tutte le grandi esperienze umane c’entrano con la fede.
Ecco perché Giovanni Paolo II ha detto quelle parole: la fede non è un fatto privato.
Siate ben vigilanti perché oggi vi è il grande tentativo di ridurre la fede al fatto privato. Questa tendenza è molto forte. Non accettatelo!
La Chiesa non ha mai scelto volontariamente di andare nelle catacombe. C’è andata e c’è stata nelle catacombe, ma quando l’hanno mandata, con la forza. Con la forza! Ma di propria scelta mai!
Perché il suo Sposo fondatore, Gesù, aveva detto: «predicate sui tetti ciò che io vi ho detto segretamente. Predicatelo sui tetti». Oggi si tende a tacere, sulla base del fatto che così si può andare d’accordo: ma il presupposto non è quello di andare d’accordo. Uno dei segni che la fede è viva è che genera fatti culturali straordinari.
Penso a certi momenti della vita e dello spirito, e mi stupisco: che cosa la fede non ha generato! Questa è cultura. San Basilio Magno, per esempio, è stato il primo ad organizzare una città della carità dove, da grande pastore che era, accoglieva gli ammalati nei primi ospedali. Pensiamo a tutto ciò che è seguito da quella prima esperienza. C’era la cultura e parliamo del modo con cui va trattato l’ammalato e la malattia. Vi erano due concezioni antiche della malattia: una che la concepiva quale castigo degli Dei, l’altra che identificava come un fenomeno da studiare sulla base dei principi causa-effetto e che è all’origine dell’attuale scienza medica.
Quando venne annunciato il Vangelo la Chiesa si trova di fronte a queste due concezioni e non ha dubbi: sposa la seconda e quindi genera.
Abbiamo visto cosa è successo in Francia, dove questa erosione è in uno stadio molto più avanzato.