Nel mese di ottobre abbiamo fatto un breve viaggio in Siria, allo scopo di portare un po’ di aiuti di benefattori italiani ad alcune realtà cristiane amiche di ‘OraproSiria’.
Ne raccontiamo i passaggi salienti, sotto forma di diario e di impressioni personali raccolte nel dialogo con gli amici incontrati.
L’invito che facciamo da subito è di unirvi a noi per ripetere questi fraterni incontri in futuro: i siriani ribadivano continuamente che la gioia più grande che abbiamo portato non erano quei beni materiali, ma la testimonianza che abbiamo a cuore la loro presenza, che essi non sono dimenticati, che noi desideriamo sostenere il loro restare nella terra che appartiene loro da 2000 anni.
E viceversa, chi si reca in Siria fa l’esperienza di un’accoglienza straordinaria, di un’ospitalità senza misura, della bontà di cuore di tutto un popolo martoriato ma dignitoso, e che non cede.
1 Arrivando a Beirut, naturalmente la prima desiderata tappa è stata la Porta Santa del Giubileo di Nostra Signora del Libano ad Harissa: centinaia di giovani inginocchiati in silenzio per ore, hanno sorretto anche la nostra preghiera.
Entrando dalla frontiera a Tartus, ci ha colpito lo scarso traffico sull’autostrada che conduce a Homs verso Damasco, segno che i commerci stentano fortemente a riprendere, mentre i posti di blocco sono diminuiti rispetto allo scorso anno.
Una breve sosta dalle nostre carissime amiche monache Trappiste con una visita al grandioso impianto di pannelli solari che, se Dio vorrà e se i benefattori aiuteranno, darà energia al pozzo del paese e a un piccolo capannone dove le donne del villaggio possano svolgere attività lavorative e produrre marmellate, biscotti, oggetti da vendere come fonte di sussistenza per le famiglie.
E qui nel dialogo subito tocchiamo il punto dolente che più volte negli incontri successivi con altre realtà emergerà: nonostante che tutti i siriani ci assicurino con soddisfazione che la guerra ormai è vinta, tanti vogliono partire… Non c’è lavoro, l’economia non riparte, gli stipendi sono fermi mentre i prezzi aumentano e le dinamiche sociali non evolvono.
L’esodo dei Cristiani, inarrestabile, è la preoccupazione maggiore per i nostri amici anche a Damasco. I primi erano già partiti all’inizio della guerra, ora se ne vanno da Qamishli e Hassake per le pesanti discriminazioni a cui sono soggetti da parte dei Curdi; altri da Damasco vanno verso Erbil e da lì in Australia; altri ottengono finalmente il ricongiungimento familiare con i parenti profughi in Germania, Canada, Svezia. I ragazzi fuggono il servizio militare, le ragazze sperano di raggiungere i fidanzati, i giovani in generale hanno il sentimento di un futuro incerto, senza prospettive di una soddisfacente riuscita professionale… E la chimera di un Occidente ricco di opportunità si fa strada.
Così alcuni quartieri di Damasco, prima abitati in grande prevalenza da cristiani, stanno cambiando fisionomia: nelle case lasciate vuote si installano famiglie musulmane, che sono assai più prolifiche di quelle cristiane.
Verso i compatrioti musulmani raccogliamo sentimenti differenti: a Sadad, cittadina interamente cristiana ferocemente massacrata dalle bande del cosiddetto ‘Esercito Siriano Libero’, non è stata accolta dagli abitanti la richiesta di costruirvi una moschea; a Saydnaya si è costituita, allo scopo di proteggere la città dai takfiri, una forte milizia popolare cristiana, memore dell’esperienza della devastazione di Maaloula che ha mostrato amaramente il tradimento dei vicini di casa musulmani; a Mhardeh i cristiani resistono indomiti agli assalti ripetuti dei gruppi armati islamisti di Idlib e Hama… L’amico Khaled ci racconta serenamente di cordiali amicizie con tanti musulmani con cui non ha alcun problema di apertura e condivisione; Joseph invece porta rancore per la dimostrazione di una facile permeabilità delle menti dei musulmani alla predicazione salafita radicale nelle moschee…
I responsabili delle Chiese fanno di tutto per educare i cristiani al perdono e alla fiducia, e per mostrare ai musulmani siriani il volto della carità di Cristo senza discriminazioni.
In particolare abbiamo toccato l’inesausta opera dei monaci di Mar Yacoub di Qara, attorno a cui si raccolgono volontari cristiani e musulmani come in una unica famiglia: ne parleremo diffusamente in un prossimo articolo.
La parola ovunque più ripetuta negli ambienti religiosi e nella società civile è: riconciliazione.
Più di una volta ci sentiamo ridire le parole con cui l’amico Claude Zerez, anni fa, rispose alla nostra domanda: come far sì che la guerra finisca? “L’unico modo per porre fine a questa guerra è favorire il dialogo tra tutti i siriani, fermare i finanziamenti e le armi a quelli che impropriamente ancora chiamate ‘ribelli’, continuare a ripulire il sistema di corruzione, e rimuovere le sanzioni contro il popolo siriano”.
la dottoressa Bassma Sukkarie racconta la resistenza dei cristiani di Mhardeh
Tutti comunque sono certi di una cosa: la Siria ha scampato un pericolo mortale, le orde barbariche scatenate dall’esterno del Paese, ed ha potuto vincere solamente grazie alla unità della popolazione e della Armata siriana attorno al suo Presidente.