fonte Il Fatto Quotidiano di Riccardo Noury | 23 dicembre 2013
Mabna al-Mohafaza (il palazzo del governo), Idarat al-Markabat (l’ex sede del ministero dei Trasporti) e al-Mer’ab (il garage) nella città di al-Raqqa; Sadd al Ba’ath (la diga al-Ba’ath) e l’impianto petrolifero di al-‘Akershi nel governatorato di al-Raqqa; Mashfa al-Atfal (l’ospedale pediatrico, nel quartiere di Qadi ‘Askar) e Maqar Ahmed Qaddour (nel quartiere di al-Haidariya) ad Aleppo.
Sono sette centri di detenzione gestiti dallo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), il gruppo armato sunnita qaedista che controlla ampie zone del nord “liberato” della Siria. Qui, secondo un rapporto di Amnesty International, nell’aprile 2013 si è passati dal terrore di Bashar al-Assad al terrore della shari’a e dei suoi emiri: sequestri di persona, prigionia, torture, frustate, uccisioni sommarie.
Gli ex detenuti intervistati da Amnesty International hanno fornito un quadro sconvolgente di abusi: estenuanti sessioni di interrogatorio condotte da marocchini e ceceni, frustate con cavi elettrici e cinghie dei generatori, le scariche elettriche e la tortura dello “scorpione” in cui il detenuti viene immobilizzato in una posizione estremamente dolorosa, con entrambi i polsi legati dietro una spalla.
Molte persone vengono imprigionate per aver messo in discussione il comando dell’Isis o perché appartengono a gruppi armati rivali nell’ambito dell’opposizione al governo siriano. L’Isis è sospettato anche di aver sequestrato e imprigionato cittadini stranieri, giornalisti inclusi.
Altri detenuti nelle mani dall’Isis sono accusati di furto o altri reati comuni, di “crimini” contro l’Islam come fumare sigarette o di “zina” (rapporti sessuali al di fuori del matrimonio):
“Hanno frustato Khalil fino a quando non ha confessato il numero di volte in cui aveva commesso zina. Ha ammesso che l’aveva fatto più di 10 volte. Allora il giudice della shari’a ha detto: ‘Per te ci sarà la pena prevista dalla shari’a”. Un mercoledì gli hanno detto di prepararsi, perché lo avrebbero portato dalla donna con cui aveva fatto zina per regolarizzare la sua posizione sposandola. ‘Non c’è bisogno che ti metta le scarpe, stai andando dalla tua famiglia’, hanno aggiunto. Due ore dopo, i carcerieri sono tornati e ci hanno comunicato che l’avevano ammazzato”.
Secondo le testimonianze ottenute da Amnesty International, neanche ai bambini vengono risparmiate le frustate. Un padre ha raccontato il tormento di aver dovuto ascoltare le urla di suo figlio, torturato nella stanza accanto. Due detenuti hanno visto un ragazzo di 14 anni subire oltre 90 frustate durante un interrogatorio nella prigione di Sadd al-Ba’ath, nel governatorato di al-Raqqa. Un altro 14enne, accusato del furto di una motocicletta, è stato frustato ripetutamente per diversi giorni.
Parecchi ex detenuti hanno riferito ad Amnesty International di essere stati sequestrati da uomini a volto coperto, che li hanno portati in località sconosciute, dove sono rimasti anche per 55 giorni. Alcuni di loro non hanno mai capito dove sono stati trattenuti.
La prigione di Sadd al-Baa’th, alle spalle di una diga sul fiume Eufrate, nei pressi di al-Mansura, è uno dei luoghi più temuti. Qui, il giudice del tribunale locale della shari’a, un emiro che appare “in aula” invariabilmente addobbato con una cintura imbottita di esplosivo, ha istituito il regno del terrore sui detenuti. Ex detenuti lo accusano di aver presieduto “processi” grottescamente iniqui, della durata di pochi minuti e alla presenza di altri prigionieri, terminati con condanne a morte eseguite di lì a poco o con sessioni interminabili di frustate; in almeno un caso, l’emiro vi ha direttamente preso parte.
Nell’impianto petrolifero di al-‘Akershi, che l’Isis ha utilizzato anche come centro d’addestramento militare, viene praticata la tortura dello scorpione. Un ex detenuto ha trascorso 40 giorni in isolamento, parte dei quali incatenato in una piccola stanza piena di apparecchi elettrici e col pavimento bagnato di benzina.
Amnesty International ha sollecitato gli stati del Golfo persico a non rendersi più complici di crimini di guerra, sospendendo immediatamente i rifornimenti di armi e di altro equipaggiamento, e il governo turco a impedire che il suo territorio venga usato dall’Isis per trasferire armi e reclute in Siria.
(la riproduzione dell’articolo è stata concessa dal Fatto Quotidiano tramite http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ )
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