Si scrive USAID contro la disinformazione, si legge censura “bella e buona”

L‘articolo intitolato “USAID Internal Documents Reveal Government Plot To Promote Censorship Initiatives” pubblicato dalla Foundation for Freedom Online, il cui direttore è MIke Benz (ex responsabile Dipartimento di Stato Cyber), rivela come l’US Agency for International Development (USAID) abbia creato un “Disinformation Primer” interno. Sta a dire che USAID, ha incoraggiato e proposto pratiche di censura online, soprattutto per influenzare aziende tecnologiche e organizzazioni mediatiche.

Foundation for Freedom Online rivela che l’USAID – un ramo del governo federale statunitense con l’obiettivo dichiarato di “rafforzare società democratiche resilienti ” ed esportare all’estero gli ideali democratici americani – ha operato in modo silenzioso, ma deciso, per incoraggiare l’adozione di pratiche di censura sui social media da parte di tecnologie private, media, istituzioni educative, governi nazionali e organi finanziatori, come rivelato da documenti interni recentemente emersi.

Uno degli aspetti più allarmanti svelati dall’articolo è che l’USAID prende di mira in modo specifico le persone che esprimono dubbi sulla credibilità dei media tradizionali, vedendo questa diffidenza come un ostacolo ai propri piani. Per contrastare questa situazione, l’agenzia propone di utilizzare ciò che chiama “alfabetizzazione mediatica” – un eufemismo per la censura -, che in realtà si rivela essere una forma modificata di censura diretta, con l’obiettivo di mantenere inalterato il potere e l’influenza dei media tradizionali.

La Foundation for Freedom Online è venuta in possesso di una copia del “Disinformation Primer” dell’USAID, ovvero un sorta di manuale contrassegnato come “solo per uso interno” e lungo 97 pagine. Tale documento è stato ottenuto attraverso America First Legal (AFL), uno studio legale d’interesse pubblico impegnato in numerose indagini e cause contro l’industria della censura e le sue agenzie governative partner, dopo che una richiesta di Freedom of Information Act (FOIA) al Dipartimento di Stato USA è rimasta senza risposta, costringendo alla consegna dei documenti governativi a seguito di un’azione legale vinta dall’AFL.

Nel manuale “Disinformation Primer”  si desume in dettaglio, che l’USAID ha cercato di esercitare pressioni sulle entità interessate affinché limitassero o eliminassero i contenuti considerati indesiderabili, come certe notizie o opinioni su Internet. Una delle tattiche proposte includeva la persuasione delle aziende che investono in pubblicità online a ritirare il loro sostegno economico da siti web o account social che diffondono informazioni non gradite dall’agenzia. Questo avrebbe reso più difficile per tali fonti divulgare le loro narrazioni o idee.

L’articolo affronta anche il concetto diprebunking” indicato nel “Disinformation Primer” , un metodo volto a influenzare le persone affinché riconoscano e rifiutino le informazioni considerate false o dannose dall’USAID, prima che queste possano diffondersi.

il PREBUNKING è così spiegato dal Disinformation Primer, a partire da pagina 56:

Come misura per contrastare la disinformazione e rendere il debunking più efficace, Donovan raccomanda il prebunking, che lei definisce come “una strategia offensiva che si riferisce all’anticipazione della disinformazione che probabilmente verrà ripetuta da politici, esperti e provocatori durante eventi chiave e avendo già preparato un risposta basata sui fact check passati.” Il prebunking trae spunto dalla teoria dell’inoculazione, che cerca di spiegare come un atteggiamento o una convinzione possa essere protetta dalla persuasione e come le persone possano sviluppare un’immunità alla cattiva/disinformazione.

Altrettanto significativo è il suggerimento di monitorare e, se necessario, censurare i contenuti presenti nei giochi online e nei siti frequentati dai giocatori, con l’obiettivo di controllare le diverse interpretazioni del mondo che emergono lontano dalle fonti d’informazione mainstream.

In definitiva, l’USAID ha dimostrato un’attiva volontà di influenzare e controllare il flusso di informazioni online, favorendo la censura di voci e opinioni non in linea con le proprie preferenze o direttive. Ciò evidenzia che l’azione governativa va oltre il mero ruolo di guardiano premuroso contro la disinformazione , come in genere gli enti governativi – secondo una prassi adottata anche in Europa – si auto dipingono; piuttosto, rivela un intento di sopprimere idee contrarie alla narrativa dominante, che potrebbero interferire con gli obiettivi dell’establishment, che necessitano del consenso pubblico.

Questa dinamica mette in luce che l’approccio del governo va oltre la figura di un ipotetico genitore “benevolo”, intento a salvaguardare i propri cittadini dall’essere esposti a disinformazione potenzialmente dannosa. In realtà, l’idea di avere lo Stato come un genitore iperprotettivo fino al punto di soffocare non è affatto rassicurante e svela che la vera preoccupazione non è tanto la cura dei cittadini quanto il conservare il proprio status quo.

In effetti, ciò che emerge è un’aspirazione governativa ben definita a bloccare la circolazione di idee che possano contrastare con la narrazione dominante, idee che potrebbero mettere in pericolo o sabotare gli obiettivi che l’establishment vuole portare avanti, obiettivi per cui è cruciale avere il consenso della popolazione.

Da notare che spesso vengono etichettati come minacce non solo la cultura, la spiritualità, e il pluralismo informativo, ma anche le libertà politiche stesse, quanto esse esprimono tramite internet una postura diversa nei confronti di determinate scelte governative, come ad esempio la guerra infinita. Un esempio emblematico è la reazione alla dichiarazione del Papa sulla necessità di negoziazione, prontamente ‘corretta’ nonostante rappresentasse un legittimo esercizio del suo magistero.

Questa realtà, che l’USAID tenta di nascondere e screditare, solleva questioni fondamentali sulle vere fondamenta delle nostre democrazie e sulla legittimità di esportare all’estero un simile modello di “democrazia”. Pertanto, non è sorprendente che emergano dubbi sulla coerenza delle nostre democrazie, che mostrano sempre più evidenti contraddizioni nelle decisioni prese e nella direzione seguita, nel tentativo di diffondere a livello mondiale questo tipo di “democrazia”.

La questione di come le nostre democrazie possano rifiutare di riconoscere le elezioni russe o adottare politiche contraddittorie, mentre cercano di esportare globalmente una “democrazia” di questo tenore, suscita legittime perplessità.

L’articolo recensito è visibile sul sito della Foundation for Freedom Online

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