SIRIA, dove anche i bambini muoiono di cancro e sanzioni

Alla fine di aprile è morto il piccolo Jad, malato di leucemia. Suor Yola ha fatto di tutto per farlo curare e sullo sfondo le inique sanzioni non hanno certo aiutato. Aleppo aveva prima della guerra, uno dei migliori ospedali oncologici in tutto il medioriente, l’ospedale al Kindi. E’ stato distrutto dai miliziani supportati dall’occidente.

Oggi la UE e gli USA mantengono inique sanzioni che colpiscono anche e soprattutto i malati cronici e di cancro.

Aveva solo quattro anni e mezzo, era un bimbo cristiano incontrato in Siria tre anni fa. E morto una settimana fa stroncato da una malattia impossibile da curare in un paese prostrato dalle restrizioni internazionali che rendono impossibile l’arrivo delle medicine indispensabili per la chemioterapia.

Ma oltre a lui rischiano di non farcela migliaia di altri bambini ricoverati negli ospedali di Damasco.
Jad se n’è andato in cielo martedì 19 aprile. Aveva solo quattro anni e mezzo. Non proprio l’età giusta per quell’ultimo viaggio. L’avevo conosciuto tre anni fa al Memoriale di San Paolo a Damasco. Stava già male. “Leucemia” – aveva spiegato Yola Girges, la suora francescana che gestiva l’asilo del Memoriale e ospitava lui e la sua famiglia.

Gian Micalessin

JAD non ce l’ha fatta ma l’appello di suor Yola scuote ancor oggi la mia coscienza ed è un monito per tutti …

da Ora Pro Siria sulle sanzioni:

Il primo giugno scadono le sanzioni previste dell’Unione europea contro il regime siriano. Tutto fa pensare, purtroppo, che la misura verrà riconfermata. Le sanzioni Ue contro la Siria sono la fotocopia del cosiddetto Caesar Act, il pacchetto di sanzioni firmato da Donald Trump nell’ultimo scorcio del suo mandato e destinato a restare in vigore (a meno di ripensamenti) fino al 2025. Secondo le intenzioni dell’Unione europea e dell’amministrazione americana, le sanzioni dovrebbero colpire «i membri del regime siriano, i loro sostenitori e imprenditori che lo finanziano e beneficiano dell’economia di guerra». Il Caesar Act blocca ogni tipo di transazione economico-finanziaria-commerciale con Damasco, prevede un embargo sul petrolio, il congelamento dei beni della banca centrale siriana, restrizioni all’esportazione di attrezzature e tecnologie, blocco dei capitali privati nelle banche fuori dal Paese (solo nelle banche libanesi giacciono circa 42 miliardi di dollari). In pratica le sanzioni bloccano l’industria energetica e ogni tentativo di ricostruzione.

Vista nel concreto, la realtà siriana è completamente diversa. Sappiamo infatti che le sanzioni colpiscono alla fine, soprattutto, la povera gente. E solo una buona dose d’ipocrisia può portare a dire, come ha fatto l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell, che Occidente resta al fianco del popolo siriano e continua nel suo impegno «a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per cercare una soluzione politica al conflitto a beneficio di tutti i siriani e porre fine alla repressione in corso».

In Siria, denunciava a febbraio l’arcivescovo greco-melchita di Aleppo, monsignor Jean-Clément Jeanbart «la gente non ha più cibo, elettricità, carburante e gas sufficienti per riscaldare le case. Non riesce a ottenere prestiti e andare avanti». Chi vuole il bene della Siria e del suo popolo, oggi, non può non chiedere ad alta voce che vengano revocate le misure coercitive che gravano sulla vita quotidiana dei siriani. «Se vogliono aiutarci – diceva monsignor Jeanbart – ci aiutino a rimanere dove siamo e a continuare a vivere nel Paese in cui siamo nati».

Il 21 gennaio scorso i vescovi cattolici e patriarchi ortodossi della Siria avevano indirizzato al neo-eletto presidente Joe Biden un appello affinché rivedesse il regime delle sanzioni. Finora sembra che la richiesta sia caduta nel vuoto. E sempre da Aleppo arrivava, nei giorni di Pasqua, la testimonianza fra Ibrahim Alsabagh, frate minore siriano e parroco della comunità cattolica latina di Aleppo: «La sofferenza è il nostro pane quotidiano. Il costo della vita aumenta e il reddito delle famiglie diminuisce. Molte delle nostre donne sono cadute in depressione. Molti padri si sono suicidati per la disperazione».

Cosa serve ancora per ascoltare il grido del popolo siriano?

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