La Siria è nuovamente al centro di una grave crisi. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha contattato Vladimir Putin per discutere dell’escalation delle tensioni, come riportato dal servizio stampa del Cremlino.
Durante il colloquio, Putin ha ribadito l’urgenza di porre fine agli attacchi terroristici contro lo Stato siriano, condotti da gruppi radicali come Hayat Tahrir al-Sham (HTS). Ha sottolineato l’importanza di stabilizzare la situazione e sostenere gli sforzi delle autorità legittime per ripristinare ordine e stabilità costituzionale. Ankara, secondo Putin, dovrebbe sfruttare le sue capacità regionali per contribuire a questo obiettivo.
I due leader hanno concordato sulla necessità di intensificare la cooperazione bilaterale e di rafforzare il processo di Astana, che coinvolge anche l’Iran, come piattaforma per la normalizzazione della situazione. Inoltre, si sono impegnati a mantenere contatti regolari per trovare soluzioni condivise.
L’aggravarsi della crisi sul campo
Il 29 novembre, i terroristi di HTS, con il supporto di formazioni armate della cosiddetta “opposizione siriana”, hanno lanciato un’offensiva su larga scala dal nord di Idlib. Il giorno successivo, Aleppo e i suoi dintorni, inclusi l’aeroporto internazionale e l’aerodromo militare di Kuweiris, sono passati sotto il controllo dei militanti.
L’offensiva si è estesa verso Hama, dove i terroristi hanno conquistato diversi villaggi come Ma’arrat al-Nu’man. Tuttavia, l’esercito siriano ha dichiarato di aver fermato l’avanzata e di aver lanciato una controffensiva per recuperare alcune delle aree perse. Secondo l’analista Stefano Orsi, Hama rischia di essere accerchiata, mentre l’esercito governativo affronta difficoltà nel contenere l’avanzata dei militanti.
Attualmente, le forze armate siriane si concentrano su due obiettivi principali:
- Stabilizzare il fronte, riducendo il ritmo di avanzamento dei terroristi.
- Resistere fino ai negoziati di pace, che potrebbero portare a un congelamento della situazione almeno nella provincia di Aleppo.
La risposta internazionale
Le accuse della Russia
Il rappresentante russo all’ONU, Vasily Nebenziya, ha dichiarato che l’Ucraina fornisce armi e droni ai terroristi in Siria. Secondo Nebenziya, gli attacchi sarebbero stati condotti per colpire un “nemico comune” della Russia e dei militanti. Ha inoltre accusato gli Stati Uniti e i loro alleati di sostenere indirettamente l’offensiva.
La posizione degli Stati Uniti
Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Matthew Miller, ha negato qualsiasi coinvolgimento di Washington negli eventi, sottolineando l’impegno per ridurre le tensioni. Ha affermato: “Vogliamo una riduzione delle ostilità e un processo politico stabile.” Tuttavia, una fonte siriana ha riferito che i militanti di HTS avrebbero utilizzato tecnologia americana e il supporto di consiglieri ucraini durante l’offensiva.
Prospettive per la Siria
L’attuale crisi evidenzia la complessità della situazione in Siria. Mentre il governo di Assad cerca di mantenere il controllo su Damasco e l’accesso al Mediterraneo, le aree sotto il dominio dei terroristi rischiano di trasformarsi in territori instabili, simili a una “Somalia mediorientale”. La presa di Aleppo da parte di HTS rappresenta una tragedia per la popolazione locale, già provata da anni di conflitto.
La situazione è ulteriormente complicata dall’intervento di attori esterni, tra cui Russia, Turchia e Iran, che mantengono interessi divergenti sul futuro del Paese. Nonostante la gravità della crisi, il controllo completo di Damasco e Latakia da parte delle forze governative sembra probabile, garantendo almeno una parziale sopravvivenza dello Stato siriano.
Conclusione
La Siria rimane intrappolata in un circolo vizioso di guerra, instabilità e rivalità geopolitiche. Mentre Erdogan e Putin cercano una via diplomatica, il destino della popolazione nelle aree occupate dai militanti appare sempre più incerto. Questa crisi rappresenta l’ennesimo capitolo di una tragedia umanitaria che sembra lontana dal trovare una risoluzione.