Come avevamo notato ieri, la posizione statunitense sull’offensiva lanciata ieri dalle forze siriane e russe contro Tharir al Sham (al Qaeda in Siria) sembra essere cambiata.
Infatti Michael Mulroy, vice segretario alla Difesa del Medio Oriente, questa settimana nel corso di una conferenza al Centro per Nuova Sicurezza a Washington, ha detto che “Idlib è essenzialmente la più grande collezione di affiliati di al-Qaida al mondo in questo momento”.
Ed ha aggiunto: “Abbiamo intuizioni molto limitate su ciò che sta accadendo”.
Certo è un po’ poco, spesso negli Stati Uniti non si capisce chi comanda e siamo abituati a cambiamenti repentini di direzione (e quasi sempre peggiorativi). Ma Michael Mulroy è il vice segretario alla Difesa degli Stati Uniti (DASD) per il Medio Oriente, cioè le questione inerenti al medioriente sono per lui di prima mano.Tra l’altro ha lavorato presso la CIA( ora è in pensione), quindi in materia di informazioni è ben attrezzato.
Una simile lettura tra l’altro non trova conforto solo per mezzo della dichiarazione Mulroy ma esiste documento della Center of Amricam Security in cui viene spiegato perché gli USA hanno deciso di rimanere a nord dell’Iraq e di lasciar perdere Idlib.
Lo riporto qui di seguito integralmente:
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Solving the Syrian Rubik’s Cube
An Instruction Guide for Leveraging Syria’s Fragmentation to Achieve U.S. Policy Objectives
A otto anni dall’inizio della crisi siriana, il conflitto in Siria è passato da una guerra tra il governo del presidente Bashar al-Assad e i suoi oppositori (ribelli) in una competizione interstatale tra diversi attori stranieri che sono intervenuti nella guerra. Gli Stati Uniti sono parte di questa competizione perché, attraverso la campagna per contrastare il gruppo dello Stato Islamico noto come ISIS, Washington e i suoi partner di coalizione hanno preso il controllo di una area nella Siria settentrionale e orientale che comprende quasi un terzo del territorio del paese . Attraverso questa zona di coalizione, gli Stati Uniti hanno una forte influenza sulla distribuzione di diverse risorse naturali chiave – petrolio, terra agricola, acqua e produzione di elettricità – che sono essenziali per stabilizzare la Siria e che sono ambite dal regime di Assad e dai suoi alleati.
Questa potenziale leva sarebbe un potente complemento all’attuale strategia americana di lavorare verso il progresso irreversibile del processo di Ginevra attraverso sanzioni e il mantenimento di un consenso internazionale per negare l’assistenza alla ricostruzione del regime di Assad. Attualmente, gli Stati Uniti si sono impegnati a mantenere una residua presenza militare nella Siria settentrionale e orientale per combattere il riemergere dell’ ISIS o di un’organizzazione successiva [con le stesse caratteristiche], ma senza gli Stati Uniti che investono finanziariamente nella riabilitazione e stabilizzazione di quelle aree , ciò non sarebbe possibile. Allo stesso tempo, Washington cerca di forzare cambiamenti nel comportamento, nelle politiche o nella composizione del regime di Assad applicando pressioni economiche attraverso le sanzioni statunitensi e chiudendo l’accesso del regime ai finanziamenti per la ricostruzione.
Questo studio esamina come gli Stati Uniti possano sfruttare la frammentazione della Siria per raggiungere gli obiettivi politici degli Stati Uniti attraverso diverse opzioni politiche. Le opzioni si basano su due parametri chiave: in primo luogo, il livello degli investimenti statunitensi in Siria e, in secondo luogo, se gli Stati Uniti dovesserro cercare di cambiare il comportamento di Assad, rimuovere Assad o rassegnarsi alla realtà che rimanga e a riconciliarsi con lui. Sulla base di questi due criteri, lo studio offre sei opzioni politiche:
- Pressione su Assad con investimenti limitati nella Coalition Zone: questa è la politica americana attuale, in base alla quale gli Stati Uniti conservano una residua presenza militare nella Siria settentrionale e orientale per combattere il riemergere di ISIS o di un’organizzazione successiva, senza investire finanziariamente nel riabilitazione e stabilizzazione di quelle aree, mentre allo stesso tempo si utilizzano le sanzioni e la sospensione dei finanziamenti per la ricostruzione per cercare di forzare i cambiamenti nel comportamento del regime di Assad.[su_spacer]
- Pressione Assad ed espansione degli investimenti USA nella Coalition Zone: con un significativo aumento del sostegno economico degli Stati Uniti per la riabilitazione delle aree devastate dalla guerra della Siria settentrionale e orientale e della missione di stabilizzazione oltre alle sanzioni, questa opzione continuerà anche ad evitare di cercare di cambiare Assad regime con la forza ma cambiare il suo comportamento (e potenzialmente creare uno stato post-Assad) facendo leva sul potere geopolitico ed economico degli Stati Uniti.[su_spacer]
- Ritirarsi dalla Coalition Zone e lasciar riprendere lentamente il regime di Assad: gli Stati Uniti smetteranno di impedire che i finanziamenti per la ricostruzione entrino in Siria, per avviare il processo di ricostruzione del paese, anche se Washington e i suoi partner non incoraggiano attivamente l’impegno con il regime di Assad .[su_spacer]
- Accettare Assad ma usare la zona della coalizione per far pressione su un risultato che interessa Damasco: gli Stati Uniti continuerebbero la missione ancti-ISIS della coalizione e a trattenere le risorse nella zona della coalizione, mentre potrebbero usare il desiderio della Russia e del regime di Assad di riconquistare l’accesso a queste risorse per impegnarsi direttamente in un negoziato ad alto livello con la Russia sul futuro della Siria.[su_spacer]
- Ritirarsi ma continuare una campagna di massima pressione: l’amministrazione Trump avrebbe annunciato pubblicamente che sta tornando a una politica che ricerca di costruire un ordine post-Assad come obiettivo importante dello stato finale dopo il conflitto siriano. Gli Stati Uniti cercheranno di esercitare pressioni sul regime di Assad, e attraverso di esso sulla Russia, attraverso mezzi pacifici, vale a dire mantenendo sanzioni e un consenso internazionale contro la normalizzazione del regime di Assad, per ottenere un cambio di regime.[su_spacer]
- Facilitare il cambiamento del regime attivo: basandosi sull’attuale strategia statunitense, gli Stati Uniti fornirebbero un sostegno economico crescente per la riabilitazione delle zone devastate dalla guerra della Siria settentrionale e orientale e della missione di stabilizzazione, unitamente alla decisione di intervenire militarmente o attraverso azioni segrete per rovesciare Assad.Centro per la Nuova Sicurezza[/su_quote]
In definitiva, possiamo notare che in nessuna delle ipotesi IDLIB viene citata. Quindi è plausibile l’ipotesi che gli USA lasceranno fare.
Circa le 6 opzioni scelgo di non commentare le farneticanti ipotesi di questo ‘Centro’ statunitense. Noto però che le opzioni che vengono proposte possono esistere innanzitutto in base ad una menzogna voluta. Naturalmente mi riferisco a quel ‘regime’ detto e ripetuto ogni qualvolta si tratta di indicare Assad o lo stato siriano. Se gli USA non usassero questa menzogna per indicare il presidente Assad non sarebbe possibile per loro agire, non sarebbe possibile fare nulla, e molti Think Thank statunitensni potrebbero chiudere.
Sappiamo infatti quale è stata la politica USA negli ultimi decenni e che essa non ha portato affatto un mondo più sicuro. Addirittura hanno voluto ristabilire la cortina di ferro. Anche in questo caso per un profitto finale che è quello di tenere in piedi il mastodontico apparato militare e l’industria delle armi.
E’ di questo tipo il motore che ha portato gli USA a partecipare attivamente campagna contro lo Yemen ( arrivata già a 63.000 morti). Il compiacimento del ricco e strategico alleato saudita – che equivale a più commesse- è stato sufficiente per superare qualsiasi remora.
Negli ultimi decenni gli Stati Uniti hanno sempre attuato una politica basata su scelte di questo tipo. In tutti i casi (Libia, Iraq, Siria…) varie opzioni sono state scelte ma partendo da un presupposto sbagliato.
In definitiva la costante è stata sempre non le motivazioni ma quella del risultato prima di tutto. Dove il “risultato” equivale al desiderio di un profitto. E per raggiungere il quale è ormai abitudine avvalsa mentire.
Per raggiungere il profitto cambiare le carte in tavola è consuetudine. Cosicché tutto ciò che agli altri non sarebbe lecito, quando si tratta degli USA , tutto diventa lecito.
Tutto diventa lecito perché in fondo la sofferenza inflitta ai siriani, in questo mondo non mondo che esiste solo grazie ad ingenti flussi di denaro non generato dall’onesto lavoro – è risolvere il cubo di Rubik siriano.
Ciò che viene fatto fuori – come è chiaro – è che nella vita le opzioni non sono intercambiabili: nella vita degli uomini, si sceglie ciò che più è morale ovvero ciò che corrisponde al cuore. Solo così la vita ha senso. Ed anche per gli stati è così. Perché anche se non se lo ricordano , i politici – ovvero chi è al servizio del popolo USA – devono rispettare un desiderio di pace ed agire in verità. Innanzitutto.
patrizio ricci by vietato parlare
[su_panel]Cos’è il Centro per una nuova sicurezza americana ( CNAS ) è un think tank bi-partisan basato a Washington, DC , fondato nel 2007 dai co-fondatori Michèle Flournoy e Kurt M. Campbell . E ‘specializzata nel Stati Uniti ‘ sicurezza nazionale problemi. La missione dichiarata del CNAS è “sviluppare politiche di sicurezza e difesa nazionali forti, pragmatiche e di principio che promuovano e proteggano interessi e valori americani”. [3] Il CNAS si concentra sul terrorismo e la guerra irregolare , il futuro delle forze armate statunitensi , l’emergere dell’Asia come un centro di potere globale e le implicazioni sulla sicurezza nazionale del consumo di risorse naturali . L’ex vice segretario di stato James Steinberg ha definito il CNAS “una caratteristica indispensabile nel panorama di Washington”. [4] Parlando alla conferenza annuale del CNAS nel giugno 2009, il comandante del comando centrale degli Stati Uniti GEN David Petraeus ha osservato che “il CNAS si è affermato in pochi anni come una vera forza nel campo dei think tank e dei policy-making”.
Da Wikipedia-[/su_panel]