Siria: ipocrisia e (tanti) interessi

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fonte: http://www.geopolitica-rivista.org/18818/siria-ipocrisia-e-tanti-interessi/

Si è parlato più volte del fatto che la Siria non era la Libia, perché alcuni paesi in Libia hanno avuto campo libero, mentre sulla strada di Damasco potenze come la Russia, la Cina e l’Iran non sono disposte a lasciar libero il passaggio. Le possibilità che Bashar lasci il potere sembrano minime e la caduta del suo regime non è prevista in tempi brevi. Al-Asad non getta la spugna e resiste nonostante gli scontri e i profughi, ed è deciso a portare avanti il suo compito nonostante il paese sia nel caos e recentemente ci siano stati attentati che hanno colpito al cuore il regime1, destabilizzandolo.

Le dinamiche non sono ben chiare e non si capisce se sia stato una bomba o un kamikaze. In un primo momento la tv di Stato ha riferito che un kamikaze si è fatto esplodere nel palazzo della Sicurezza, nel quartiere di Abu Roummaneh, dove era in corso un vertice tra i responsabili della sicurezza, le figure più importanti del regime di Al-Asad. Nell’esplosione rimangono uccisi il ministro della Difesa, generale Dawoud Rajha, il suo vice, Assef Shawkat, cognato del presidente siriano, e il generale Hassan Turkmani, capo della cellula di crisi che coordina le azioni contro i ribelli, mentre il capo dei servizi segreti, Hisham Bekhtyar, e il ministro dell’interno, Mohammad Ibrahim Al-Shaar, rimangono feriti. Inoltre si verifica anche una seconda esplosione che ha colpito l’edificio del comando della Quarta divisione dell’esercito siriano. Quello che prima sembrava un kamikaze, secondo altre fonti, sarebbe stato un attentato proveniente dall’”interno”, una bomba piazzata nel palazzo da qualcuno che potesse avervi accesso nonostante i controlli, probabilmente un personaggio appartenente al gruppo ristretto delle guardie del corpo degli alti gerarchi del regime. L’attacco, viene rivendicato un po’ da tutti, dalle milizie anti Al-Asad alle organizzazioni terroristiche. Sicuramente è stato un durissimo colpo messo a segno da “ignoti”2, molto significativo per Al-Asad, ma è proprio qua che il Rais fa vedere la sua forza: immediatamente convoca una riunione, senza scomporsi nomina subito il nuovo ministro della Difesa, Fahd al-Freij3 ,e 5 nuovi ufficiali della sicurezza.
La paura più grande, ovvero quella dello stallo, di una situazione stagnante che avrebbe fatto comodo a “qualcuno”, si è trasformata in realtà e ora ci si può marciare sopra nascondendosi dietro al veto di Russia e Cina, attribuendo la colpa del massacro a loro. Si vuol far credere che il vero problema sia Al-Asad e si cerca un capro espiatorio individuato nelle armi chimiche, il più grosso arsenale del Medio Oriente, come si era fatto in Iraq (però senza averle mai trovate)4. Il motivo è “chiaro”: queste armi chimiche possono essere utilizzate contro obiettivi civili o militari, contro altri paesi, cadere nelle mani di altri paesi come Iran o Libano, o ipotesi ancora peggiore in quelle di organizzazioni terroristiche, una su tutte al-Qaeda5. Riguardo alla prima ipotesi, si prospetterebbe uno scenario sicuramente disastroso, segnando un punto di non ritorno per tutta la regione e non solo per il territorio siriano; ma è abbastanza difficile poiché Al-Asad, nonostante sia inamovibile sulle sue decisioni, è consapevole dei rischi. Il passaggio di armi verso altri paesi amici come il Libano o l’Iran in ottica futura non è cosi improbabile; come riportato da più agenzie, le armi si troverebbero già spostate in siti lungo i confini6, e con un ipotetico crollo del regime o un intervento militare probabilmente verrebbero trasportate al di fuori del territorio siriano. Sicuramente la meno probabile è l’ipotesi che vede le organizzazioni terroristiche,mettere le mani sul “bottino chimico”: Al-Asad combatte da molto tempo queste organizzazioni, tutte di fazione sunnita, e permettere a questi gruppi di impossessarsi dell’arsenale è l’ultimo dei suoi desideri.

Comunque, Bashar o no, la popolazione continuerebbe a combattere avendo buone ragioni, che non svanirebbero eliminando una persona. Ed è molto chiaro che questo conflitto non si risolverà con l’abbandono di Bashar Al-Asad.
Alla base il problema è un altro. Le informazioni sono distorte, filtrate e si cerca di far credere all’opinione pubblica quello che si vuole. Si mettono in risalto le atrocità quotidiane, tutte o quasi attribuite al regime, e si parla delle continue defezioni delle cariche più importanti dello Stato, dai politici ai capi militari, che abbandonano Al-Asad. La maggior parte di queste defezioni, tra conferme e smentite, sono circondate da poca chiarezza. Perche? Secondo il Times statunitensi, inglesi, turchi, sauditi e il solito ricchissimo emiro del Qatar (ma anche l’Italia) starebbero sborsando milioni di dollari per favorire le diserzioni e per convincere i pezzi grossi del regime a disertare7.

Si leggono denunce, appelli per la popolazione siriana perché le informazioni sono distorte, si vuol far credere che la rivoluzione è comandata dall’esterno, cosa non vera, che la rivoluzione è reale e tutta la popolazione siriana sta combattendo per la democrazia e la libertà. Ma è davvero cosi? In Siria più della metà della popolazione, compresi alawiti, cristiani e curdi, continuerebbe ad essere dalla parte del presidente, avrebbe fiducia in lui e paura dell’opposizione. Lo proverebbe la folla che ha partecipato ai funerali dei responsabili della sicurezza uccisi nell’attentato del 18 luglio. Inoltre Al-Asad ha ammesso di avere fatto errori nella gestione della crisi, ma comunque rivendicando l’appoggio popolare8, ha cercato anche di fare passi indietro accogliendo richieste fatte dall’esterno. I passi compiuti dal governo, quali il referendum costituzionale9, dall’esito positivo, che doveva aprire la porta al multipartitismo con il conseguente cambio della costituzione e le annunciate elezioni legislative, non sono stati sufficienti per frenare le violenze e calmare gli animi.

Non sarebbe andato bene comunque, qualsiasi risultato si sarebbe ottenuto si sarebbe dovuto procedere verso una strada ormai decisa. E fondamentalmente quella è la salvezza di alcuni Stati, che possono continuare a fare il loro gioco e continuare le loro strategie fomentando il caos. Questi dettagli vengono spesso tralasciati dando voce alla parte che combatte il regime, in minoranza ma appoggiata da alcuni paesi, poiché gli interessi che ruotano attorno al Bilād al-Shām sono troppo grandi e far crollare il regime per andare a indebolire l’asse Teheran-Damasco-Beirut è troppo importante. Non ufficialmente, ma vari paesi hanno deciso di creare un fondo con centinaia di milioni di dollari per finanziare i ribelli, facendosi carico del rifornimento di armi: scelta che ha contribuito a creare solo confusione e favorire le fazioni più intransigenti. All’opposizione esistono tante fazioni differenti, tra cui partiti di sinistra che prediligono una soluzione politica e pacifica, ma si è deciso di riconoscere a livello internazionale il CNS come rappresentante di tutta l’opposizione.

E come riporta il sito d’intelligence israeliano Debka file10, sono in molti ormai ad aver documentato la presenza di combattenti stranieri che avrebbero largamente ingrossato le fila dei movimenti antigovernativi: combattenti musulmani sunniti e trafficanti d’armi sarebbero entrati in territorio siriano dall’Iraq e altri paesi per sostenere la rivolta contro Bashar Al-Asad; grazie ad accordi tra le tribù, la frontiera si starebbe trasformando in una zona calda che sarà difficile da controllare. Secondo un rapporto del 13 dicembre 2011, un numero imprecisato di truppe USA che sono state ritirate dall’Iraq sono state ridistribuite nelle basi aeree della Giordania e nei villaggi giordani vicino ad Al-Mafrag, lungo la frontiera con la Siria11. Il sito giordano al-Bawaba, la ABC e fonti vicine all’ex primo ministro giordano, riferiscono che oltre 10 mila libici si sarebbero addestrati ai confini con la Siria, nel nord della Giordania, in una zona cuscinetto creata appositamente, pronti per entrare a combattere al fianco dell’opposizione. Addirittura, come riporta recentemente la Cnn12, ex militanti della brigata rivoluzionaria di Tripoli comandata da uno dei combattenti libici più noti, Al-Mahdi al-Harati, hanno raggiunto la Siria per unirsi all’Esercito Siriano Libero. Ma tali combattenti come sono arrivati fino al territorio siriano? A quanto pare questi sembrano dettagli che non hanno infastidito né l’opinione pubblica né la “Comunità Internazionale”, che non sembra preoccuparsene.

Il cambio di regime in Siria non è l’unico obiettivo di taluni Stati, poiché dividere la Repubblica Araba Siriana è l’obiettivo finale. Indebolire il paese significa poter ridisegnare l’assetto mediorientale cambiandone gli equilibri. Si sta assistendo alla “balcanizzazione” della regione siriana, dove troviamo i curdi al nord, i drusi nelle colline meridionali, gli alawiti nella regione costiera montagnosa nord-occidentale e la maggioranza sunnita nel resto del paese13. Anche l’organizzazione internazionale Human Rights Watch (HRW) più volte ha accusato in questi mesi i ribelli di aver rapito, torturato e giustiziato sommariamente membri delle forze di sicurezza, mercenari ingaggiati dal regime e altri lealisti. La replica dei membri dell’opposizione non si è fatta attendere e Sheikh Anas Airout, membro del Consiglio nazionale siriano, ha commentato le denunce di HRW affermando che sono “alcune situazioni eccezionali e sfortunate, reazioni agli orrori, ai crimini e atrocità che il regime continua a commettere contro il popolo siriano, anche se sono totalmente inaccettabili e non si vuole ripetere gli stessi errori del regime”. Verità o scuse? Anche i due tecnici italiani dipendenti di due ditte subappaltatrici di Ansaldo Energia che erano impegnati nella costruzione di una centrale termoelettrica, scomparsi lo scorso 18 luglio nella zona di Damasco mentre si dirigevano verso l’aeroporto della capitale, dopo essere stati rapiti da un gruppo di uomini armati e incappucciati, sono stati liberati dall’esercito di Bashar Al-Asad. Cosa forse difficile da digerire, siccome sono stati liberati dai “cattivi”: per questo se n’è parlato così poco?

Vari fattori possono giocare un ruolo sull’attivismo – soprattutto retorico – mostrato dalla diplomazia italiana: la simpatia del ministro Terzi per Israele (paese in cui è stato ambasciatore), la volontà di compiacere la Turchia e i tanti paesi arabi ostili ad Al-Asad. E l’Italia, mancando di strumenti concreti, punta molto sulla dimensione verbale e dell’immagine: ci si prodiga in varie dichiarazioni molto dure per cercare una ribalta, come sostitutivo dell’influenza materiale che altri paesi riescono ad avere sulla crisi siriana14. Si parla della popolazione siriana e del vergognoso massacro che sta subendo, la più grossa crisi che abbia mai visto il territorio siriano. Ma le grandi potenze sono davvero interessate a fermare il massacro? Fondamentalmente gli interessi sono troppo grandi, a quanto pare più importanti di un’intera popolazione. Dall’inizio del conflitto il numero delle vittime è salito a venticinque mila e ogni giorno cresce sempre di più.

Si fanno appelli, riunioni, conferenze inneggiando ai soprusi che ogni giorno le persone civili sono costrette a subire, ma non si vedono azioni concrete che possano andare a fermare questa guerra civile, dove a rimetterci è sempre la popolazione che si ritrova in una situazione surreale. Dopo mesi d’inutili tentativi, anche l’inviato speciale dell’ONU e della Lega Araba ed ex Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan ha deciso sconfortato di dimettersi dall’incarico e rinunciare alla sua missione, che prevedeva sei punti per risolvere il conflitto siriano15. E lo stesso Brahimi, chiamato a sostituire Kofi Annan, si è dimostrato confuso e a disagio16.

Di mezzo ci sono Russia e Cina, e finché saranno presenti sarà impossibile un intervento militare da parte dei paesi “amici della Siria”, nonostante le continue minacce, con riferimenti soprattutto alle armi chimiche, e la gran voglia di intervenire direttamente. Più volte il ministro degli esteri russo Lavrov ha dichiarato che non saranno accettati né interventi esterni né soluzioni che prevedano la caduta del regime, ricordando come certi paesi sin dall’inizio hanno lavorato affinché i piani proposti, soprattutto quello dell’ex Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, fallissero. Anche fonti Fides, che operano senza aderire ad alcuna fazione politica, raccontano di uno scenario completamente diverso da quello presentato dai mass media. Sicuramente non omettono i crimini del regime, ma parlano soprattutto di militanti salafiti e terroristi che bruciano ospedali, case, strutture provocando molte vittime e usando i civili come scudi umani. Anche bande armate fuori controllo continuano a imperversare e colpire civili innocenti, e questo problema sta prendendo il sopravvento. Quindi i finanziamenti che arrivano dall’esterno starebbero supportando e incoraggiando questo tipo di azioni, che mirano a creare scompiglio e sgretolare lo Stato dall’interno?17

Nel frattempo l’ipocrisia non si ferma e mentre gli scontri imperversano per tutto il paese, sono migliaia gli sfollati che sono costretti a scappare per salvarsi dalla guerra e che per vivere hanno bisogno di cibo, acqua, medicine e un posto dove poter alloggiare e ripararsi. Ma la cosa importante è che venga eliminato il regime di Bashar Al-Asad, non salvare i civili.

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