L’analista politico e storico russo Sergey Shakaryants ha fatto un interessante intervento sulla rivista online ‘Iarex’ in merito alle attuali vicende siriane ed alle interazioni Usa- Turchia.
Egli sostiene che ciò che sta accadendo in Siria “si qualifica pienamente come un inizio di una nuova guerra non dichiarata” di tutti contro tutti.
Ma contrariamente a quando si può immaginare, “il suo inizio non è coinciso con gli attacchi dei velivoli senza pilota (UAV) contro le basi militari russe in Hmeymim e Tartous, e neppure con l’offensiva nel sud della Siria, o “nella zona turca di de-escalation” situata in provincia di Idlib, che da tempo è diventato un luogo di concentrazione di terroristi di ogni colore e nazionalità”.
Invece – secondo l’analista – la decisione di avviare una guerra in Siria sarebbe avvenuta nel mese di novembre 2017, quando “il ministro degli Esteri turco M. Cavusoglu ha assicurato Ankara continuerà ad assicurare l’Alleanza con la Nato”. In tale occasione il ministro degli Esteri turco ha anche detto che “la Turchia non si sta avvicinando alla Russia. Questa dichiarazione ha sconfessato le intenzioni di Ankara di rivedere la sua alleanza con la NATO”.
Tale orientamento si era evidenziato quando durante una delle ultimissime esercitazioni Nato erano apparse come immagine nemica, Recep Tayyip Erdogan e il padre della nazione turca moderna Ataturk. Come reazione a quell’increscioso episodio l’Assistente del presidente turco Yalcin Topcu aveva minacciato di “riconsiderare la questione dell’adesione alla NATO”, però successivamente il portavoce del presidente turco Ibrahim Kalyn, ha ritrattato, dicendo che Ankara non ha intenzione di fare alcun “divorzio” con la NATO.
Successivamente, “il 28 novembre, Erdogan alla direzione del Partito di governo Giustizia e Sviluppo (AKP), ha però comunicato che “per la prima volta negli ultimi anni” la Turchia e gli Stati Uniti “sono sulla stessa lunghezza d’onda , e che “il dialogo tra i due paesi continuerà”. In sostanza – ha riferito la Reuters – il presidente turco commentava molto positivamente la sua conversazione telefonica con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump tenutasi il 24 novembre (cioè, dopo il vertice dei presidenti di Russia, Iran e Turchia a Sochi).
Sempre secondo Shakaryants “è facile immaginare che Trump abbia offerto a Erdogan di farsi da parte riguardo ai curdi (ha promesso di interrompere loro il sostegno militare), e abbia fatto concessioni su Gulen, ma – sempre secondo l’analista russo – “in cambio è probabile che abbia chiesto come contropartita alcune condizioni anti-iraniane e forse anche anti-russe”.
Shakaryants così prosegue “Tuttavia, la Casa Bianca successivamente ha fatto parziale marcia indietro: la promessa di cessazione degli USA di supporto ai curdi, è stata corretta da Trump con ‘riduzione’ dell’appoggio militare”.
Inoltre, è necessario ricordate che “gli Stati Uniti e la Turchia hanno cominciato la guerra contro la Siria come fedeli alleati e che i presidenti della Turchia e degli Stati Uniti hanno comunicato spesso tra di loro. Infatti Erdogan ha dichiarato che ” tutti i problemi attuali sono stati negoziati”.
Secondo l’analista russo, a seguito del citato accordo tra Trump ed Erdogan, “tra Ankara e Washington esiste un nuovo ceppo di rapporti per quando riguarda i curdi siriani, per cui le ultime decisioni degli Stati Uniti. Il fatto è venuto alla luce durante l’inchiesta di attacchi contro le basi militari russe in Kmeymim e Tartus in cui è emerso non solo che i lanci di UAV, così come il fuoco dei mortai su Kmeymim, erano stati portati dalla zona turca di de-escalation in provincia di Idlib, ma anche che poco prima degli attacchi alle basi russe, la zona è stata sorvegliata da un aereo americano Poseidon”.
Ma il coinvolgimento turco-americano non si evidenzia solo in queste particolari circostanze, anche “nel gennaio di quest’anno, la Turchia ha sostenuto il contro-attacco dei militanti contro le truppe governative nella provincia meridionale di armi Idlib e persino gli ha fornito autoblindo” Su questi ultimo episodio, l’11 gennaio su Twitter , Charles Lister , un importante analista del Middle East Institute di Washington ha scritto: “Le fonti dicono, che la Turchia ha fornito ai ribelli auto blindate, lanciagranate anticarro, mortai, missili Grad e altri loro sistemi di lancio, nonchè proiettili per carri armati, armi leggere e molto altro ancora” Ed ha aggiunto che “Tutto questo è stato ricevuto dai gruppi che non erano collegati con l’HTS, per lanciare oggi un’offensiva contro Assad, Iran e Russia a sud di Idlib e Hama settentrionale. Nell’attacco sono stati coinvolti i gruppi “Ahrar al-Sham”, “Legione di Sham” ( “Failak al-Sham”), “Nur al-Din al-Zin”, “esercito libero di Idlib”, “Jaish al-Nasr,” “Secondo esercito” , “Jays al-Izza” e altri. ”
In definitiva “gli Stati Uniti e la Turchia, negli attacchi alle basi militari russe, hanno agito esattamente come Erdogan ha detto a novembre “con gli USA siamo sulla stessa lunghezza d’onda”. Ciò naturalmente è da intendersi non solo contro la Siria e il suo presidente, ma anche contro specificatamente contro la Russia e il suo esercito (come è noto, nel bombardamento sono stati uccisi due soldati e due piloti di un Mi-24).
Questa valutazione è coerente con il fatto che dopo la citata conversazione telefonica di Trump e Erdogan, il presidente turco ha improvvisamente riabbracciato pubblicamente la vecchia retorica anti-Assad ed ha di nuovo sostenuto che “Assad è un terrorista” , sostenendo che non avrebbe mai negoziato con lui. Inoltre, il presidente turco ha ricordato che il vero scopo dell’operazione turca “Eufrate Shield ” è stata la lotta contro ISIS ma piuttosto l’operazione è stata lanciata per la necessità di “porre fine al dominio di un tiranno crudele come Assad”.
Queste parole sono importanti: Erdogan ha apertamente detto che ciò a cui mirava quell’operazione era il rovesciamento del governo siriano. Non per nulla dopo questa dichiarazione di Erdogan il ministro degli esteri siriano ha lucidamente commentato la cosa dicendo: “Erdogan ha esposto gli obiettivi perseguiti dalla l’aggressione turca contro la Siria”.
Allo stesso modo ha reagito anche la diplomazia di Mosca. Il segretario stampa del presidente Putin , Dmitry Peskov ha commentato: “Questa è una dichiarazione molto grave, che richiede spiegazioni ed è discordante con le precedenti dichiarazioni e con la nostra stessa comprensione della situazione.”
Le “spiegazioni” richieste da Peskov sono arrivate abbastanza rapidamente. Una fonte anonima dell’amministrazione presidenziale di Erdogan ha dichiarato a RIA” Novosti: “Questa affermazione è stata fatta ieri dal presidente, ma non dovrebbe essere presa alla lettera. Spero che l’incomprensione sorta sorta in relazione a questo equivoco sarà superata rapidamente”. Evidentemente una dichiarazione non ufficiale ma di prammatica. Commentando questa debole presa di distanza, l’analista russo su Iarex considera che “la partecipazione militare turca che sia stata più o meno diretta o indiretta in relazione all’attacco alla base militare russa, nega le richieste di Ankara di voler “superare le incomprensioni”.
Shakaryants così prosegue: “Inoltre, quando le forze armate siriane, tra cui le forze speciali, Tiger Force, le milizie sciite e iraniane, in accordo con il comando militare russo, hanno iniziato le loro operazioni anti-terrorismo nella provincia di Idlib, è diventato chiaro che la Turchia è stata ed è dietro le azioni di tutte le bande terroristiche che operano nel nord della Siria, come del resto come è continuamente riportato dai media in Turchia e dai blogger pro-terroristi “.
L’articolo di Iarex ricorda anche che l’11 gennaio al-Qaeda e i ribelli che hanno contrattaccato nel sud Idlib e nel nord di Hama “sono stati fermati dall’esercito governativo e da Hezbollah, il cui attacco di rappresaglia hanno permesso di riconquistare l’80% dei territori persi e di poter proseguire “.
Le circostanze di quell’attacco sono chiare, sono state confermate da più fonti compreso il direttore del dipartimento internazionale del quotidiano kuwaitiano Al Rai Ellia Magniere, da altri media e da blogger governativi. Le relazioni dei blogger sono state confermate anche dai video dei primi trofei di armi, che sono stati forniti dai militanti in Turchia. A loro volta, i sostenitori delle forze speciali siriane “Forces of the Tiger” hanno pubblicato le foto di un fuoristrada corazzato catturato del tipo Panther F9. (questa foto è stata pubblicata dal blogger militare siriano Qalaat al Mudiq). Comunque, le contromisure prese dalla Siria, da Hezbollah e da altre milizie sciite, nonchè dalla Russia e dall’Iran hanno fatto sì che tutti i tentativi di terroristi e della ” opposizione siriana moderata” nel nord e nel sud della Siria (East Gouta, Harasta, ecc.) sono stati respinti. E in Idlib l’esercito siriano e i suoi alleati hanno liberato la città di Abu al-Ḑuhūr e epoi l’ex base aerea delle forze armate della Siria, che dal 2015 è stato mantenuta da militanti islamici radicali”
Proseguendo, la connivenza turca è confortata anche da altre evidenze: “(…) a metà dicembre, il ministero degli Esteri turco ha espresso dubbi sul fatto che il presidente russo Vladimir Putin dalla base aerea di Kmeymim ha ufficialmente annunciato l’inizio del processo di pace. Confrontando l’intero gioco di parole nelle dichiarazioni di Erdogan con i fatti che hanno avuto luogo dopo il “dubbio” il Ministero degli Esteri turco, si giunge alla conclusione che gli Stati Uniti e Ankara hanno deciso di minare non solo il significato e il formato del “Processo di pace di Astana” (vale a dire la preparazione per il processo di pace in Siria ), ma anche i risultati del vertice di Sochi dei presidenti di Russia, Iran e Turchia.
In effetti ce n’è abbastanza per associarsi alla perplessità di Shakaryants: “Tutto ciò cos’è se non l’onda scaturita dall’accordo tra la Turchia e gli Stati Uniti? “
Difficile immaginare ora cosa riserverà quest’anno. l’articolo conclude dicendo che l’attività militare turca ai confini della Siria potrebbe scomparire non solo per il fatto che gli Stati Uniti non vogliamo salvare integrità territoriale della Siria, ma anche perchè gli USA non protesteranno in relazione all’annunciato bombardamento delle posizioni dei curdi siriani da parte dei turchi.
Esistono però alcuni segnali precisi e non buoni: il segretario di Stato USA Tillerson in questi ultimi giorni, ha ripetutamente detto che gli USA non rinunceranno ad una loro presenza in Siria, anzi la amplieranno.
Ciò vuol dire in primo luogo dividere parte dei territori al confine, ovvero l’annessione di alcune regioni della Siria settentrionale. Il secondo obiettivo degli USA è premere per un confronto tra Turchia e Iran, sfruttando la volontà iraniana espressa dal presidente Rounai a fine 2017 che “la protezione del Libano, la Siria e l’Iraq equivale a proteggere l’Islam e l’Iran.”
In proposito, l’analista russo considera anche che “qualsiasi sarà lo sviluppo che da adesso in poi ci sarà, esso porterà ad un aumento della presenza militare turca in Siria. Di conseguenza l’Iran non rimarrà in silenzio”.
Non è sfuggito che “gli ambasciatori della Federazione Russa e dell’Iran furono chiamati al Ministero degli Esteri turco dopo le battaglie nella provincia di Idlib e l’attacco alla base aerea Abu-ad-Duhur. In quell’occaione l’esercito russo in risposta ha mostrato sia alla Turchia che agli Stati Uniti le proprie contro-accuse”.
Al di la del ‘diplomatichese’ la reale percezione russa traspare: il 10 gennaio in un incontro a Mosca con il suo omologo iraniano, Mohammad Javad Zarif , il ministro degli Esteri russo Lavrov ha sottolineato la necessità di sconfiggere l’opposizione radicale altrimenti il cambio di regime sarà ancora coltivato da parte di coloro che la controllano.
A questa dichiarazione gli USA hanno risposto con lo sbeffeggio della Russia, negando in modo infondato ogni proprio coinvolgimento negli attacchi di droni su Khmeimim e nei bombardamenti di mortai della base russa.
Naturalmente, cosa Erdogan “ha argomentato” personalmente quando ha parlato con Putin, non è noto. Si sa però che “gli attacchi alle basi russe in Siria sono stati oggetto di uno scambio telefonico di opinioni tra i due presidenti russo e turco. I turchi continuano a rimanere in silenzio. E il presidente russo in un incontro con i redattori capo della stampa russa ha dichiarato che gli organizzatori della provocazione con l’attacco di droni sono noti alla Russia: “Ci sono provocatori, ma non sono i turchi. E sappiamo chi sono, sappiamo quanti sono e a chi hanno pagato per questa provocazione “. Putin ha anche sottolineato che la provocazione con i droni è volta a minare le relazioni con i partner della Russia nell’insediamento siriano – Turchia e Iran.
“Cosa valgono queste parole del presidente russo in relazione al fuoco di mortai sulla base russa rimane poco chiaro”. Ma i fatti restano “sappiamo che l’aviazione russa ha attaccato una città di confine, su cui si basava l’opposizione siriana formata da militanti pro-turchia ‘e che le operazioni delle forze speciali uccisi’ hanno ucciso i terroristi che il 31 dicembre hanno sparato contro la base aerea Kmeymim in Siria, e quindi possiamo supporre che I militari russi distrutti al confine con la Turchia sono i turchi o i siriani filo-turchi”.
Pertanto, la visione d’insieme di questo primo scorcio intermedio di gennaio 2018 in Siria non è molto piacevole. Ciò che emerge è infatti che queste “imprese concorrenti” controllano l’esposizione dei militanti e che loro utilizzo avviene dopo aver concordato con gli Stati Uniti l’uso del territorio della provincia di Idlib per provocazioni contro le basi militari russe. E’ in questo modo che i turchi hanno portato sotto attacco la Siria, la Russia e le forze filo-iraniane in tutta la propria “zona di de-escalation “. D’altra parte, ha gli Stati Uniti avevano annunciato una politica tesa alla “separazione del vasto territorio lungo il confine con la Turchia e l’Iraq.
Cosa avverrà nel 2018 si capisce che non avverrà con gli accordi e con la diplomazia, esiste una pervasiva e spregiudicata volontà di guerra che confida su messi finanziari e militari enormi. Le parole dell’Addetto stampa del ministero degli Esteri iraniano Bahram Qassemi 16 gennaio non lasciano ben sperare: ha esortato gli Stati Uniti di voler fermare la propria politica interventista in Siria, affermando che la formazione di una “sicurezza delle frontiere” aggraverà la crisi nel paese devastato dalla guerra. Ha chiamato il piano degli Stati Uniti per stabilire “forze di sicurezza di frontiera” , una palese interferenza negli affari di altri paesi “aggiungendo che” causerà una maggiore instabilità e accendere di nuovo il paese “. Qassemi ha concluso il suo intervento con lo stesso spirito del presidente iraniano Hassan Rouhani che a Sochi ha detto questo (che non si capisce se è un auspicio o una promessa): “Lasciate che sia pure in ritardo, ma gli Stati Uniti dovrebbero al più presto ritirare le loro truppe dal paese per permettere il popolo siriano di decidere il proprio destino e il futuro, sulla base dell’ opinione della maggioranza dei suoi cittadini “.