Siria: la sfida tra modelli e la posta in gioco della Via della Seta

Un articolo di Damir Nazarov apparso su Southfront dal titolo “Tahrir Al-Sham Will Be In Big Geopolitics For Four Years” . offre un interessante spunto  per comprendere le dinamiche della crisi siriana. Con un’analisi dettagliata si presenta Tahrir al-Sham (HTS) e il suo impatto sugli equilibri geopolitici, aprendo a riflessioni stimolanti su scenari ancora in divenire.

Pur essendo necessario contestualizzare il punto di vista della fonte (vicina alla Russia), diversi punti sollevati meritano attenzione, tanto per la loro plausibilità quanto per le implicazioni geopolitiche di lungo termine.

Il ruolo di Tahrir al-Sham nello scenario siriano

Nella suddetta valutazione, Tahrir al-Sham si configura come un attore transitorio ma determinante nello scenario siriano. La sua leadership, rappresentata da Ahmed al-Sharaa, adotta una retorica apertamente anti-iraniana e favorevole al sionismo, un elemento che sorprende se si considera l’origine jihadista del gruppo. Se ci distacchiamo per un attimo dagli eventi rapidi che stanno sconvolgendo la società civile e osserviamo le prospettive per il futuro, emerge che la Cina sembra uscire vincitrice da questa situazione, con il progetto della “Via della Seta” che prosegue grazie alla stabilità garantita dalla Turchia. Quest’ultima, con un occhio alla propria sicurezza (lotta contro il PKK e altre minacce curde), sta avanzando con piani ambiziosi come il ripristino della ferrovia dell’Hijaz.

La ferrovia dell’Hijaz: simbolo e opportunità strategica

La ferrovia dell’Hijaz, costruita all’inizio del XX secolo dall’Impero Ottomano per collegare Damasco a Medina, aveva un ruolo fondamentale nel facilitare il pellegrinaggio verso i luoghi santi dell’Islam e nel rafforzare il controllo ottomano sulla regione. Se ripristinata oggi, potrebbe diventare un’infrastruttura chiave sia per i collegamenti regionali sia per il progetto della Belt and Road Initiative cinese. Questa ferrovia non solo migliorerebbe i trasporti tra Siria, Giordania e Arabia Saudita, ma potrebbe anche integrarsi in una rete più ampia che collegherebbe il Levante con i paesi del Golfo e l’Iraq, creando un ponte tra il Mediterraneo orientale e la Penisola Arabica. In questo contesto, la ferrovia dell’Hijaz rappresenterebbe un asse strategico per il commercio globale e per il rafforzamento dei legami economici nella regione, contribuendo al rilancio della connettività infrastrutturale in un’area di cruciale importanza geopolitica.

La Siria come crocevia di interessi globali

In un Medio Oriente in continua trasformazione, la Siria si conferma un crocevia dove si intrecciano interessi, ambizioni e ideologie di portata globale. Tra gli attori più attivi in questo scenario troviamo Arabia Saudita, Emirati Arabi e Bahrein, che contrastano il modello turco di sufismo politico, mentre la Cina prosegue con il suo ambizioso progetto della “Via della Seta”, incrociando inevitabilmente le strategie di Stati Uniti e potenze regionali. Questi conflitti multipli, sebbene apparentemente disconnessi, sono il riflesso di un confronto ideologico e strategico di enorme portata.

La rivalità ideologica tra Turchia e monarchie del Golfo

La Turchia, sotto la guida di Recep Tayyip Erdoğan, ha cercato di promuovere un modello politico che mescola Islam moderato e strutture democratiche, prendendo spesso ispirazione dal sufismo. Questo modello, basato sull’inclusività religiosa e politica, rappresenta una narrazione alternativa rispetto alle rigide autocrazie del Golfo, che trovano nel wahhabismo il loro pilastro ideologico. Per Arabia Saudita, Emirati e Bahrein, il sufismo politico rappresenta non solo un’eresia religiosa, ma anche una minaccia diretta al loro controllo sulle popolazioni arabe.

Le monarchie del Golfo vedono questo approccio come destabilizzante. Un modello politico che incoraggia una maggiore partecipazione popolare e un Islam pluralista potrebbe ispirare movimenti simili all’interno delle loro società. Riyadh, Abu Dhabi e Manama temono che il successo turco possa ridimensionare la loro influenza non solo in Medio Oriente, ma anche nel mondo islamico in generale. Non sorprende, quindi, che questi stati si oppongano con forza alle iniziative turche in Siria e altrove.

D’altro canto, la Turchia considera il suo approccio una via per stabilizzare il Medio Oriente, arginando le derive estremiste e rafforzando il ruolo del paese come ponte tra Oriente e Occidente. Questo dualismo ideologico si traduce in un confronto geopolitico che si manifesta in Siria, ma le cui ripercussioni si estendono ben oltre.

La dimensione economica della Via della Seta

Parallelamente a questa competizione ideologica, si gioca una partita cruciale sul fronte economico. La Cina, con il suo progetto della Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative, BRI), punta a trasformare il Medio Oriente in un nodo strategico per i flussi commerciali globali. La Siria, in particolare, rappresenta un passaggio chiave per collegare l’Asia all’Europa attraverso il Mediterraneo.

Per Pechino, la stabilità regionale è essenziale. La Cina ha adottato un approccio pragmatico, cercando di dialogare con tutti gli attori coinvolti nel conflitto siriano. Anche la presenza di Turchia e Iran, partner chiave della Cina, rafforza l’idea di un Medio Oriente integrato nella rete economica globale promossa da Pechino. Tuttavia, questo progetto si scontra con una serie di ostacoli. L’instabilità politica cronica della regione, la presenza di gruppi jihadisti e le rivalità tra potenze regionali rendono la realizzazione della Via della Seta in Siria un obiettivo complesso.

La Turchia come partner strategico della Cina

La Turchia, dal canto suo, si è posta come partner strategico della Cina. Il suo posizionamento geografico, che offre un accesso diretto al Mediterraneo e all’Europa, la rende un tassello cruciale del progetto cinese. Questo spiega il supporto implicito di Pechino alle azioni turche nel nord della Siria, nonostante la presenza di militanti uiguri – spesso nemici dichiarati della Cina – tra le fila jihadiste. Per la Turchia, l’adesione alla BRI è un’opportunità per rafforzare la propria influenza economica e politica nella regione.

L’opposizione saudita e americana

Non tutti gli attori vedono di buon occhio il progetto della Via della Seta. L’Arabia Saudita, pur partecipando in alcune aree al progetto cinese, considera la crescente influenza turca e cinese come una minaccia ai propri interessi strategici. Riyadh teme che la Turchia possa diventare il fulcro economico e politico della regione, riducendo l’importanza del Golfo Persico come snodo commerciale globale. Per questo motivo, l’Arabia Saudita ha adottato una strategia ambigua: collaborare economicamente con la Cina, ma contrastarne le implicazioni politiche in Siria e altrove.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, vedono la Belt and Road Initiative come una sfida diretta alla loro egemonia globale. La presenza americana in Siria, ufficialmente giustificata dalla lotta all’ISIS, rappresenta una leva per rallentare i progressi cinesi nella regione. Attraverso alleanze con gruppi locali e il mantenimento di basi militari strategiche, Washington mira a limitare la penetrazione cinese e turca in Medio Oriente.

Le sfide future della Via della Seta in Siria

Nonostante il potenziale trasformativo della Via della Seta, il progetto cinese si scontra con diverse contraddizioni. La stabilità necessaria per sviluppare infrastrutture su larga scala è ancora lontana. I conflitti locali e le rivalità tra Turchia, Arabia Saudita e Iran rendono difficile una collaborazione regionale. Inoltre, le pressioni americane continueranno a rappresentare un freno per il consolidamento della Belt and Road Initiative in Siria.

La presenza di militanti jihadisti, tra cui uiguri del Partito Islamico del Turkestan, aggiunge un ulteriore livello di complessità. Sebbene il loro numero sia limitato, il loro simbolismo è potente: rappresentano una sfida diretta alla Cina e un elemento di instabilità utilizzabile dagli Stati Uniti e dai loro alleati per indebolire le ambizioni cinesi nella regione.

Un futuro sospeso tra caos e opportunità

La Siria continua a essere un teatro complesso, dove ideologie, interessi economici e ambizioni geopolitiche si intrecciano in modi spesso imprevedibili. Il confronto tra il modello turco di sufismo politico e le autocrazie del Golfo rappresenta solo una delle molteplici dimensioni di questo conflitto. Allo stesso tempo, il progetto della Via della Seta offre opportunità straordinarie, ma anche sfide enormi. Il successo di questi progetti dipenderà dalla capacità di Ankara di consolidare il controllo in aree chiave e superare l’opposizione interna ed esterna.

Resta da vedere se gli attori coinvolti riusciranno a superare le divisioni ideologiche e strategiche per costruire una Siria più stabile e integrata. Nel frattempo, la regione rimane sospesa tra caos e opportunità, un equilibrio fragile che riflette le tensioni di un mondo in trasformazione.

È realistica un’evoluzione dalla Siria attuale a una Siria prospera, almeno dal lato economico e di stabilità politica? Per Southfront si passerà comunque verso una fase di caos che durerà circa 4 anni per poi vedere una situazione che si sviluppi chiaramente in un senso o nell’altro, aprendo la strada a un futuro più stabile.

L’analisi di Southfront è ricca di spunti interessanti ma presenta anche evidenti limiti. Se da un lato offre una prospettiva coerente sulle priorità degli attori coinvolti (Russia, Turchia, Cina e USA), dall’altro tende a sovrastimare il controllo e la legittimità di HTS come nuovo attore dominante. Inoltre, la plausibilità di questo scenario dipende dalla reale capacità di HTS di stabilizzare il controllo sulla Siria settentrionale. I lettori sono invitati a considerare criticamente questi scenari, valutandone la plausibilità alla luce degli sviluppi futuri.

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