SIRIA – L’insurrezione si preparava da mesi

La Siria rimane intrappolata in un intricato intreccio geopolitico, dove le tensioni latenti si sono nuovamente trasformate in un conflitto aperto.

Segnali allarmanti di destabilizzazione si moltiplicano nel paese, convergendo in un attacco sempre più evidente e coordinato contro il governo siriano e i suoi alleati. Un’aggressione che appare orchestrata con precisione, sfruttando le faglie di divisione interne e la complicità di attori esterni, determinati a mantenere la Siria in uno stato di caos permanente.

Ciò che inquieta ulteriormente è l’apparente erosione non solo della capacità di difesa, ma anche della volontà di reagire. Un vuoto che lascia spazio a un’escalation potenzialmente devastante, mentre chi dovrebbe garantire stabilità sembra arretrare, sopraffatto da pressioni politiche e militari sempre più intense.

Il think thank russo Rybar ha individuato i seguenti elementi di criticità sul terreno già da due mesi:

1. La rivolta armata a Daraa

Daraa, storica culla delle proteste contro il governo siriano, è nuovamente al centro dell’attenzione con una rivolta armata da parte di gruppi militanti. La regione meridionale, in particolare, rappresenta un potenziale fronte caldo: qui, la comunità drusa, già coinvolta in disordini nei mesi scorsi, sembra essere il bersaglio di operazioni di reclutamento e finanziamento, presumibilmente orchestrate dalla coalizione internazionale. Il progetto di un “consiglio tribale armato” potrebbe fungere da leva contro il governo di Damasco.

2. Il ruolo della zona di al-Tanf

La zona di sicurezza di al-Tanf, controllata dagli Stati Uniti, si conferma un epicentro di attività militari contro il governo siriano. Da qui sono partiti recenti raid su Deir ez-Zor, sottolineando il ruolo strategico dell’area come base operativa per gruppi armati addestrati da forze esterne.

3. Le manovre nella zona di Idlib

Nel nord-ovest, la situazione nella zona di de-escalation di Idlib rimane critica. Le formazioni filo-turche, tra cui Hayat Tahrir al-Sham e l’Esercito Nazionale Siriano, sembrano prepararsi a una nuova offensiva. La presenza di armi fornite dalla Turchia, inclusi sistemi mobili di difesa aerea, indica una chiara volontà di intensificare il conflitto. Inoltre, l’evacuazione di civili da alcune aree fa presagire un imminente aumento delle ostilità.

4. Il ritorno dello Stato Islamico

Un ulteriore elemento di instabilità è rappresentato dal parziale ripristino delle capacità operative dello Stato Islamico. Questo gruppo, pur ridotto a nascondersi nei deserti siriani, continua a effettuare attacchi sporadici. La recente fuga di terroristi da una prigione curda ad Al-Baghuz aggiunge un ulteriore elemento di incertezza.

5. Addestramento segreto e operazioni urbane

Il supporto americano ai combattenti locali si è intensificato negli ultimi due anni. Nella zona di al-Tanf, ex membri delle forze speciali di gruppi come Maghavir al-Saura sono stati addestrati per condurre operazioni urbane. La destinazione di questi combattenti rimane un mistero, sollevando interrogativi sulle loro possibili future azioni.

Una Crisi Coordinata?

La convergenza di queste forze potrebbe portare a una nuova offensiva su vasta scala contro il governo siriano. Un attacco simultaneo da parte dei militanti filo-turchi, dei drusi meridionali e dello Stato Islamico, con il coordinamento implicito o esplicito di attori esterni come Israele e Stati Uniti, rappresenterebbe una minaccia senza precedenti.

Se ciò accadesse, le conseguenze sarebbero devastanti: non solo la fragile pace in Siria sarebbe infranta, ma anche la presenza russa nel paese verrebbe seriamente compromessa. Inoltre, tale scenario aprirebbe la strada a un’ulteriore radicalizzazione e frammentazione del conflitto, con implicazioni regionali di vasta portata.

Presenza cristiana ormai sempre più in pericolo 

A questi elementi aggiungo l’enorme rischio di una erosione della presenza cristiana nel paese che potenzialmente appare più che mai all’orizzonte, in questo contesto caotico.

La presenza cristiana in Siria è fondamentale per il suo ruolo storico, culturale e sociale. I cristiani rappresentano una delle comunità più antiche della regione, contribuendo per secoli alla diversità religiosa e culturale del Paese. Essi hanno favorito un equilibrio tra le varie componenti della società siriana, offrendo una visione inclusiva e tollerante che contrasta con la polarizzazione delle ideologie estremiste.

Una vittoria di un governo fondamentalista comporterebbe gravi rischi per la Siria:

1. Erosione della pluralità religiosa: La Siria perderebbe la sua tradizione di convivenza tra diverse religioni ed etnie, con il rischio di persecuzioni sistematiche contro i cristiani e altre minoranze.

2. Distruzione del patrimonio culturale: La ricchezza storica e culturale legata alla presenza cristiana (chiese antiche, monasteri, tradizioni) potrebbe essere cancellata o danneggiata.

3. Radicalizzazione della società: Un governo fondamentalista imporrebbe un’interpretazione rigida della religione, eliminando ogni spazio per la libertà individuale, il dialogo interreligioso e l’apertura culturale.

4. Instabilità regionale: La Siria, già teatro di conflitti, diventerebbe un centro di esportazione dell’ideologia radicale, destabilizzando ulteriormente il Medio Oriente.

Il mantenimento della presenza cristiana non è solo una questione di tutela delle minoranze, ma un pilastro per la costruzione di una Siria stabile, pluralista e aperta al dialogo.

Considerazioni

Purtroppo allo stato attuale la situazione in Siria conferma, ancora una volta, che instabilità e divisioni rimangono una costante, alimentate da una fitta rete di interessi esterni. Ogni movimento sul campo, ogni scossa nel fragile equilibrio di questa terra, lascia intravedere l’ombra di potenze straniere irresponsabilmente pronte a sacrificare la sopravvivenza di questo paese indispensabile per l’equilibrio di tutto il medioriente, sull’altare delle proprie ambizioni  di potere.

Oltre a tutto questo sorprende anche  la cecità delle frange armate anti-statali. Nonostante le lezioni di storia recente — dalla tragedia palestinese alla devastazione del Libano — questi gruppi continuano a concentrare le loro energie contro Assad, un bersaglio che, al confronto, appare una pagliuzza rispetto al macigno rappresentato da Israele e dai suoi alleati destabilizzatori. È un paradosso che non smette di stupire: il nemico più evidente viene ignorato, mentre le divisioni interne vengono abilmente sfruttate da chi ha interesse a mantenere il caos.

Un comportamento che, più che rispondere a logiche locali, sembra orchestrato per servire piani ben più grandi e, soprattutto, estranei al popolo siriano.