fonte : http://www.confronti.net/SERVIZI/siria-una-rivolta-spontanea-o-eterodiretta autore: Patrick Boylan
Così posta, la domanda è fuorviante: la realtà è più complessa e sfaccettata, come spiega a Confronti Patrick Boylan, che fa parte della Rete NoWar e dell’organizzazione Statunitensi per la pace e la giustizia. Di seguito, all’interno del servizio, altri interventi di testimoni diretti di ciò che sta avvenendo in Siria.
La rivolta in Siria, che tanto spazio occupa nella stampa e nei telegiornali da oltre un anno, è spontanea (voluta e condotta dal popolo siriano) o eterodiretta (istigata e orientata da potenze straniere, come quelle che hanno orchestrato le «rivoluzioni colorate» in Georgia e nell’Ucraina nel 2003-4)? Ecco la domanda che fa scorrere in questo periodo fiumi d’inchiostro elettronico nei forum internet e nei blog. Ma, posta in questi termini semplicistici («o…o»), la domanda non può che dare risposte di parte, quindi parziali e fuorvianti.
«Si tratta di una sollevazione popolare interamente spontanea e disarmata (almeno nei primi sei mesi), che uno spietato dittatore reprime nel sangue!», è il mantra dell’opposizione minoritaria siriana, il cosiddetto Consiglio nazionale siriano (Cns). Pur non essendo la forza d’opposizione più grande o rappresentativa in Siria, per le cancellerie occidentali il Cns costituisce l’opposizione «ufficiale» ed è facile capire perché. Formato in buona parte da siriani reclutati all’estero, il Cns rifiuta ogni dialogo con il presidente siriano al Assad, auspica un intervento armato Nato nel conflitto in atto e, in politica estera, promette l’adesione al Dialogo Mediterraneo della Nato, la sudditanza al Consiglio di Cooperazione del Golfo, il divorzio con Iran, Hezbollah e Hamas e, infine, la chiusura della base navale russa a Tartus (unico suo porto nel Mediterraneo). Il Cns è stato «benedetto» (il termine è de «La Stampa»: www.tinyurl.com/ hillary-benedice) dal segretario di Stato Usa Hillary Clinton a Parigi e a Ginevra e dal ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi a Roma. Neanche a dirlo, la sua narrazione dei fatti siriani è quella propagandata dai mass media italiani e occidentale, per i quali l’opposizione maggioritaria in Siria non sembra nemmeno esistere.
«Si tratta di un’insurrezione che, poggiandosi su un malessere diffuso nel Paese, viene orchestrata dall’estero – ossia dagli Stati Uniti in combutta con l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia – per poter insediare in Siria un governo amico, come l’Occidente ha appena fatto in Libia!», è invece il mantra del governo siriano. Un mantra simile è anche quello dell’opposizione maggioritaria in Siria, la quale – pur volendo cacciare il presidente al Assad con mezzi pacifici – accetta che rimanga momentaneamente in carica per scongiurare l’intervento armato straniero. Si chiama Coordinamento nazionale siriano per il cambiamento democratico (Cnscd): il mantra del Cnscd si distingue da quello del governo perché invece di «malessere diffuso» parla di «voglia diffusa di rivoluzione» contro l’autoritarismo e la corruzione del governo e contro la brutalità della repressione del dissenso in Siria. «Ma non possiamo stare a fianco del Cns, il quale devia la voglia di rivoluzione in voglia di lotta armata», dice il Coordinamento. E aggiunge: «La lotta armata non può riuscire senza l’appoggio Nato – e poi, dopo, chi se ne libera più? Ma è proprio questo ciò che vuole il Cns». Vedi le posizioni del Cnscd in questa breve intervista (www.tinyurl.com/op-magg) e su Wikipedia inglese: www.tinyurl. com/op-magg2.
Il mantra del governo siriano viene ripetuto in Italia da gruppi della nuova destra, che elogiano l’autoritarismo di al Assad e condannano l’imperialismo americano – non perché è sfruttamento, ma perché rivale nei progetti di sfruttamento cui aspirano le aziende italiane. Invece il Cnscd – che vuole rimuovere al Assad tramite le elezioni, non tramite la guerra civile, e quindi dialoga con lui per ora – viene sostenuto da esponenti della sinistra non-parlamentare italiana. Come il Cnscd, questi esponenti della sinistra accettano il dialogo con al Assad, chiedono la fine della repressione e, neanche a dirlo, si oppongono all’imperialismo americano in quanto sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Questa presa di posizione è, come si vede, nettamente distinta dall’autoritarismo e dal nazionalismo del governo siriano e della destra italiana. Recentemente, invece, alcuni blogger hanno cercato di accomunare le due prese di posizione sotto l’improbabile etichetta di «rossobrunismo», allo scopo di polarizzare strumentalmente il dibattito: «Chi parla di rivoluzione pilotata dagli americani e non esige la rimozione immediata di al Assad sta con i fascisti!» – proprio come i mass media per i quali o sei con il Cns interventista o sei con il dittatore al Assad. Due aut-aut pretestuosi che tanto ricordano l’ultimatum usato per zittire chiunque si opponeva alla guerra in Iraq: «Bush o Saddam, tertium non datur».
Tre estremizzazioni fuorvianti
Dunque tre mantra molto divergenti: quale corrisponde al vero? A ben guardare, ci sono fondati motivi per affermare che nessuna delle tre dà pieno conto della complessità dei fatti. Le polarizzazioni sono necessariamente fuorvianti. Vediamo in che maniera, partendo dalla pretesa «assoluta spontaneità» della rivolta siriana tanto strombazzata dal Cns, dal ministro Terzi, dai mass media e anche, per fierezza, da moltissimi siriani nei loro forum internet e blog.
L’«assoluta spontaneità» della rivolta in Siria viene smentita dai documenti Wikileaks che attestano come, sin dal 2006, un programma americano (cinque milioni di euro in finanziamenti iniziali dallo State department) ha creato in Siria una quinta colonna per fomentare l’insurrezione, un’emittente Tv satellitare che da anni irradia programmi 24 ore al giorno promuovendo l’insurrezione (visibile anche in internet: www.livestream. com/baradatv) e una rete di siriani all’estero pronti a formare un governo alternativo e a fornire ai mass media informazioni unicamente pro-insurrezione, usando i video e le fotografie fornite anche dalla quinta colonna americana in loco. Questo programma, del tutto simile alle «rivoluzioni colorate» promosse dagli Stati Uniti nell’ex-Unione Sovietica (www.tinyurl.com/riv-colorate), ha stentato a decollare per ben due anni: i siriani temevano che fosse un trucco del governo per saggiare la loro lealtà! Ma nel 2009 è entrato a regime – e poi è esplosa la «Primavera araba».
A conferma di tutto ciò, vedi l’articolo di tre pagine sul Washington Post del 18 aprile 2011, con link ai documenti originali Wikileaks: http://www.washingtonpost.com/world/us-secretly-backed-syrian-opposition-groups-cables-released-by-wikileaks-show/2011/04/14/AF1p9hwD_story.html . In Italia, questo scoop ha avuto pochissimo risalto nei media istituzionali: per esempio, RaiNews24 condensa tre pagine di documentazione in poche righe (www.tinyurl.com/rainews1). Di questa vicenda, Confronti invece ha parlato nel mese di giugno 2011 a pagina 12. Più spazio è stato accordato dai giornali alternativi on-line come Contropiano (www. tinyurl.com /contropiano1) e Megachip (www. tinyurl. com/megachip1). L’autenticità delle rivelazioni Wikileaks è stata indirettamente confermata la settimana successiva, il 26 aprile 2011, da un colonnello dell’intelligence americano che ha dichiarato come questa grave fuga di notizie renda urgente una legge severa contro le talpe: www.tinyurl. com /segreto-svelato. Del resto, non dovrebbe sembrare fantascienza che gli Stati Uniti creino una loro quinta colonna in un Paese terzo: l’Italia ne ha avuta una fino al 1990 (Gladio, P2) e chissà oggi (www.tinyurl.com /gladio-p2); grazie di nuovo a Wikileaks, poi, abbiamo appena appreso che persino il Tibet ha avuto la sua: www.tinyurl.com/cia-tibet.
Quindi, sin dal primo mese della rivolta siriana, i media italiani e mondiali sapevano (ma quasi sempre tacevano) che era in atto un tentativo di approfittare della Primavera araba per fomentare in Siria un’insurrezione già pianificata; che quella insurrezione era armata e che usava violenza terroristica sin dall’inizio; che quella insurrezione era diretta dall’ambasciatore americano in Siria (Robert Stephen Ford, colui che, in precedenza, aveva organizzato gli squadroni della morte in Iraq, vedi Confronti 10/2011 a pagina 14); e, infine, che un gruppo di specialisti israeliani, giordani, sauditi (in seguito qatarioti e turchi) si riuniva in permanenza nell’ambasciata saudita in Belgio per coordinare i disordini in Siria (vedi anche: www. tinyurl. com/terroristi-usa). Ma di tutto ciò neanche una parola ai telespettatori o sulle prime pagine dei giornali, che invece portavano ogni giorno immagini di manifestanti disarmati falciati dalle truppe di al Assad assetate di sangue. Neanche una volta i media hanno fatto vedere chi stava sparando contro quelle truppe. Dopo mesi di questa narrazione bugiarda (la parola non è troppo forte perché i caporedattori non potevano non sapere delle rivelazioni di Wikileaks), i media hanno cominciato a parlare di spari sì da dietro i manifestanti, ma da parte di disertori dell’esercito siriano che volevano «proteggere i civili». Affermazione ridicola: innestare una sparatoria durante una manifestazione è suicida e non può non provocare ancora più morti. Ma col senno di poi ora ci rendiamo conto che proprio questo è stato l’obiettivo: produrre atrocità da sbattere in prima pagina ogni giorno, attribuendo le colpe alle truppe siriane (certamente ree anche loro, ma non solo).
Ora, in queste settimane (di giugno, ndr) assistiamo ad una escalation della violenza: la Cia sta consegnando armi pesanti ai rivoltosi e ai mercenari che la Nato ha portato in Siria dalla Libia e dal Qatar, per innestare una guerra civile su grande scala, con costi altissimi, allo scopo di far fallire il regime economicamente: www.tinyurl.com/cia-siria. Per dare una mano ai rivoltosi, la Nato potrebbe anche approfittare di qualche incidente internazionale (come il caccia turco) per bombardare la Siria «umanitariamente».
Tiriamo ora le somme delle informazioni fornite fin qua. Esse dimostrano forse che la rivolta siriana è eterodiretta – nella fattispecie dagli Stati Uniti? Solo in parte. Gli Stati Uniti sono una potenza in declino e spesso le loro operazioni clandestine falliscono clamorosamente: quindi, per quanto si sforzino di dirigere gli eventi, non è affatto scontato che gli Usa ci riescano. Inoltre ci sono molti altri attori in campo: la Russia che, pur di conservare la sua base navale in Siria, è probabilmente disposta ad offrire al regime siriano crediti illimitati oltre alle armi.
A rimescolare le carte siriane ci sono anche attori meno appariscenti degli americani ma ugualmente influenti, come i cinesi e i tedeschi, nonché convitati di pietra come al-Qaeda e i salafiti. In quanto alle Petromonarchie (Qatar, Arabia Saudita), esse non sono mere esecutrici della politica americana, ma hanno anche agende proprie. Infine l’attore principale, il popolo siriano, è talmente composito ed imprevedibile che qualsiasi tentativo di manipolazione americana è destinato a subire contraccolpi. I siriani soffrono realmente dalla repressione del regime ma non vogliono quella di Washington: si opporranno dunque ad entrambe con una determinazione storicamente comprovata.
Allora, se è difficilmente gestibile, la rivolta siriana sarebbe dunque da considerarsi spontanea? Non proprio, come abbiamo visto. Anche se la rabbia dei giovani siriani e la loro «voglia di rivoluzione» sono reali e vissute soggettivamente come spontanee, sono anche state istigate ed indirizzate ad arte. Che determinati comportamenti possano essere sia spontanei sia eterodiretti è la base stessa della psicologia di massa e spiega, per esempio, fenomeni come la fabbricazione dei consensi elettorali. Se bastassero le crudeltà come quelle praticate da al Assad sul suo popolo per determinare una rivoluzione, ci sarebbero rivoluzioni assai più imponenti in Arabia Saudita (il regime più crudele in assoluto per Amnesty international) o contro l’attuale governo corrotto, repressivo e omicida della Libia, dove i giovani che si ribellavano contro Gheddafi oggi non osano più uscire da casa. Invece non bastano le torture, le uccisioni, le umiliazioni, la corruzione.
Occorre inoltre una convergenza (generalmente fortuita) di fattori obiettivi per produrre una rivoluzione in un regime autoritario, che la teoria della rivoluzione spiega molto bene in termini strutturali e funzionali. Ma, in assenza di alcuni di questi fattori, è a volte possibile supplire artificialmente soffiando sul fuoco con la propaganda e fornendo denaro e mezzi materiali (non solo armi, ma anche e soprattutto mezzi di telecomunicazione, «safe houses», reti estere ecc.) per la creazione di una quinta colonna. È esattamente questo ciò che gli Stati Uniti hanno fatto in passato con le loro «rivoluzioni colorate» nell’ex-Urss (alcune riuscite, alcune fallite), come stanno cercando di fare oggi nel Medio Oriente e come cercheranno di fare prossimamente nei Paesi «troppo di sinistra» in America Latina. Va ricordato ancora una volta che gli Usa non sono onnipotenti; nella maggior parte dei casi i loro tentativi falliscono. Ma nel caso della Siria, come in Egitto peraltro, sembra che ci stiano riuscendo, almeno internamente (all’esterno, la Russia e la Cina ancora fanno muro).