Solidarietà alla Siria ed alla Chiesa siriana

Solo qualche osservazione per esprimere, per quanto vale, la mia più totale stima e tutto l’affetto possibile per suor Yola Girges, che in queste ore è esposta alle infamie di un ben noto circolino di miserabili per aver criticato la ricostruzione della realtà damascena comparsa qualche giorno fa sulle colonne di Avvenire.

Non mi soffermo sui giudizi personali espressi che sono frutto delle impressioni di una giovane collega incontrata laggiù, ed evidentemente ben diverse dalle mie per quanto – caso curioso – abbiamo frequentato gli stessi posti a una settimana di distanza.

Da par mio non posso non rilevare quanto mi sembri grottesca la descrizione di una città dove “il centro si finge turistico: traffico anarchico, caffè pieni, vietato parlare di politica in pubblico. Orecchie ovunque. Ma quando il “visitatore straniero” passa tra le macerie ad est, chi lo accompagna mostra un’orgogliosa indifferenza. Oppure, con la morte addosso, tace e indica i peggiori palazzi capovolti”.

Che fosse vietato parlare di politica in pubblico davvero non me ne sono accorto dato che in due settimane di politica ho parlato e sentito parlare con autisti, taxisti, camerieri, negozianti, religiosi, militari, studenti, un ex direttore del teatro nazionale di Aleppo, una psicologa che cura i bambini disabili traumatizzati dalla guerra e una quantità di altre persone. Chi pagherà la ricostruzione, cosa succederà a chi adesso è mobilitato nell’esercito, che accade a est dell’Eufrate, quando si potrà sperare che l’embargo venga tolto o almeno alleggerito sono questioni che stanno sulla bocca di tutti: c’è chi te ne parlerebbe per ore e chi non è granché interessato, chi è leggermente più assadista di Assad e chi ha legittime critiche sulla gestione della cosa pubblica o sulla corruzione (stiamo pur sempre parlando di un Paese mediorientale) – e peraltro non di rado i più smaliziati sono proprio i più militanti e non è un controsenso, considerando che l’alternativa era finire sotto il giogo di autentiche bestie dell’abisso, che ammazzano e stuprano in base al credo religioso o nella migliore ipotesi comminano fustigazioni ai ragazzini per essersi seduti vicino a una donna (roba di una settimana fa, ricordatevelo quando fra poco sentirete la grancassa savianoide riaccendersi su Idlib: https://www.facebook.com/NotoISIS/videos/2149719855264249/ ).

Al di là del giudizio che si può dare sulle parti in causa, ribadisco, certi affreschi stile Pyongyang o Berlino Est con la ronda dei vopos dal bavero alzato fanno ridere i polli e fanno seriamente dubitare che chi li traccia possa aver passato nella Damasco di oggi, agosto 2018, non dico una settimana ma un quarto d’ora.

Sorvolando sulle altre amenità mi soffermerò solamente sul fatto che a quanto pare “si paga il pedaggio ai checkpoint: 200 lire siriane da infilare con un certo stile sotto la carta d’identità”.
A parte il fatto che ai controlli veniva chiesto il passaporto con il visto e non la carta d’identità, anche in questi casi devo essere stato proprio fortunato. Levando i due giorni a Slunfeh e i due interi ad Aleppo, dove curiosamente non ho visto un posto di guardia, ho oltrepassato non meno di cento checkpoint sia sulle strade a scorrimento veloce (Beirut-Damasco, Damasco-Saydnaya, Latakia-Aleppo, la M5 da Aleppo a Damasco) sia a Damasco. E non solo nella città vecchia e nel nuovo centro ma pure in periferia e nelle zone più disastrate, compresa Yarmouk – l’ultima sacca dell’Isis a Damasco – che è anche l’unico posto dove i militari mi hanno impedito di proseguire, ma per la buona ragione che oltre il posto di blocco c’era tutta l’area dell’ex campo profughi che non hanno ancora sminato (aggiungo per dovere di cronaca che sono stati gentilissimi e ci hanno pure riaccompagnati in macchina).

In tutto questo girovagare sia a piedi, sia in taxi, sia in pullman, sia in auto con gli autisti o con amici (e quindi in situazioni dove nulla poteva identificarmi a prima vista come straniero) non ho trovato UN checkpoint dove mi sia stato imposto, chiesto o velatamente suggerito di pagare qualcosa a qualcuno, e infatti non ho pagato nessuno a parte naturalmente gli autisti privati e i 60 dollari per l’ingresso nel Paese alla dogana.

[inciso finale: non so se sia un refuso, ma “200 lire siriane” aggiunge ridicolo al ridicolo. Al cambio corrente, in media, un dollaro vale 425 lire siriane.
Una corsa in taxi a Damasco costa mille lire, una bella cena può venire quattromila a testa. Duecento lire è il prezzo di una bottiglia d’acqua minerale. Per taglieggiare gli stranieri a un checkpoint sarebbe una ben misera somma. Anche se visto il misto di dabbenaggine, malafede e orientalismo deteriore di taluni c’è da rimpiangere che non ci provino davvero e non gliene chiedano ventimila]

Andrea Cascioli

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