Lettera di un pediatra agli insegnanti
“Sono un medico e, confesso, mi è impossibile capire il senso di quel che accade. Ho appena terminato di vedere un video dove si mostrano gli spazi per i bambini del nido e della materna per un prossimo eventuale anno: bambini che dopo aver superato con successo la barriera della pistola termometrica alla fronte ed aver disinfettato le manine con sostanze chimiche per nulla salutari, saranno accolti ognuno nel proprio esclusivo spazio isolato e recintato, con il personale tavolino di plastica, i propri giochi a loro volta disinfettati e con la maestra che lo guarda a distanza protetta da occhiali e mascherina.
La riprogrammazione neurologica che il Covid 19 sta manifestando parte da qui: dai bimbi più piccoli che invece di socializzare attraverso il contatto con gli altri, la vicinanza, l’attaccamento fisico, gli scambi percettivi sensoriali, il gioco comune, l’imitazione spontanea, saranno costretti a subire le ammonizioni per il distanziamento, la lontananza fisica, l’impossibilità di vedere l’espressione del volto di chi lo educa e lo accompagna pedagogicamente, ormai ridotto a ruolo di secondino.
Non ci metteranno molto i bambini a diventare capaci di distanziarsi, ad avere paura della vicinanza dell’altro, a rifugiarsi nel gioco isolato che non è più possibile chiamare tale ma solo ripetizione autistica del nulla, a cadere nella depressione della mancanza di senso. Ma anche a rischiare di diventare fobici e ossessivi, compulsivi della ripetuta pulizia e della disinfezione che ha come corollario il non toccare, non sporcarsi, in ultimo non giocare, che per il bambino equivale al non essere.
“L’uomo è uomo solo quando gioca” ci ricorda Schiller in un saggio sull’educazione dove si sottolinea la profonda natura sociale e creativa dell’uomo che emerge dall’incontro ludico tra anime che si conoscono e riconoscono giocando insieme, creando e ricreando forme, spazi, dimensioni, ove la fantasia trova un filo diretto con il Divino, fuori e dentro di noi. Il bambino che gioca non sta trascorrendo il suo tempo trastullandosi; è impegnato mente, cuore, e volontà̀ in un’attività̀ serissima paragonabile ai più̀ meritori lavori che impegnano noi adulti. La sua salute fisica, psichica ed emotiva traggono beneficio dal gioco, il quale consente la strutturazione di apprendimenti comportamentali duraturi e utili per l’equilibrio individuale della sua crescita futura.
Il bambino che gioca mai si stanca, ma rigenera le sue forze di vita attraverso il gioco ponendosi in una ritmica relazione interiore tra sé e il mondo fuori di sé, ripetendo il gesto instancabile del nostro ritmo respiratorio o del pulsare del nostro cuore.
Impedire tutto questo è ben più grave che confinare i bambini in casa, dove almeno con la fantasia erano liberi nell’immaginazione: vedere l’altro ma non toccare l’altro è una vera tortura dell’anima oltre che del fisico.
Sappiamo che i bambini in questa nuova sindrome virale sono stati i meno colpiti.
Perché allora separarli? Chi e cosa potranno mai imitare i bambini nel recinto?
Così piccoli avranno istruzioni verbali dall’insegnante di turno, con un precoce richiamo a forze di coscienza, disconoscendo totalmente le leggi dell’apprendimento intrinseco proprio di questa fase evolutiva basato sull’attività̀ imitativa spontanea non verbale, dalla vicinanza fisica, dal contatto e dallo spontaneo esprimersi di forze di simpatia che li avvicinano a ciò cui si vogliono legare e fare proprio.
Veramente dobbiamo assecondare tutto questo? A quali tipi di malattie psichiche dovremo far fronte nell’immediato futuro per le nuove generazioni? Ci sentiamo davvero più sicuri noi adulti dopo aver isolato i bambini, o sentiamo di proteggere i nostri figli mandandoli in un nido/asilo del genere? Di cosa abbiamo veramente paura immaginando possibile e salutare tutto ciò per i nostri bambini?”
Dr.ssa Valeria Vincenti (Pediatra)
Source: Pedicinaantroposofica.it.