Sotto elezioni, negli USA emergono dossier sulla ‘disinformazione russa’…

Sotto elezioni, negli USA emergono dossier sulla disinformazione russa, ma tutti dimenticano che l’unica risposta alla ‘disinformazione’ è educazione e trasparenza

Prima di affrontare il dossier dell’FBI, che evidenzia la diffusione sistematica della propaganda russa nel contesto della guerra dell’informazione, ampiamente condotta sia in Occidente che su altri fronti, ritengo sia importante chiarire alcuni punti fondamentali.

In Occidente si sta manifestando una preoccupante tendenza a etichettare come “disinformazione” qualsiasi notizia o opinione che si discosti dalla narrativa dominante. La risposta corretta, invece, dovrebbe consistere nel garantire un’informazione accurata e trasparente, permettendo ai cittadini di sviluppare un senso critico autonomo, capace di riconoscere da sé la disinformazione. Non è forse pericoloso per la democrazia e la libertà di pensiero ridurre anche il dissenso a una forma di disinformazione, come sta accadendo?

E’ il caso di evidenziare alcuni punti:

1. Propaganda e legittimità

È del tutto comprensibile che la Russia, come qualsiasi altro Stato, cerchi di difendere la propria posizione politica e militare agli occhi del mondo. Questo tipo di comunicazione fa parte della diplomazia pubblica e della proiezione di potere. Gli Stati Uniti, i Paesi europei e potenze regionali come la Cina fanno esattamente lo stesso, utilizzando la diplomazia, il soft power e il controllo dei media. Tuttavia, la disinformazione vera e propria deve essere intesa come una distorsione intenzionale della realtà, non come l’espressione di opinioni diverse sugli eventi. La distinzione fondamentale è quindi tra propaganda legittima e disinformazione, con quest’ultima che implica un’alterazione deliberata dei fatti, con l’intento di ingannare il pubblico.

La differenza cruciale tra disinformazione e propaganda legittima risiede nella volontà deliberata di falsificare o manipolare i fatti, creando narrazioni ingannevoli per influenzare l’opinione pubblica. La Russia è stata spesso accusata di usare tecniche di disinformazione non solo per orientare le opinioni globali a proprio favore, ma anche per destabilizzare le democrazie occidentali. Esempi di queste accuse includono l’uso di fake news durante le elezioni presidenziali statunitensi del 2016 (accuse ritenute poi false) e, più recentemente, in relazione alla guerra in Ucraina, con l’obiettivo di alimentare “divisioni politiche” ( ovvero di alimentare un dissenso verso la guerra infinita a vantaggio della diplomazia e della pace).

Tuttavia, questo pone una domanda importante: l’Occidente potrebbe sfruttare la minaccia della disinformazione russa per limitare opportunisticamente la libertà di informazione? Esiste il pericolo che la narrativa della “minaccia russa” venga utilizzata come giustificazione per adottare misure censorie o per ridurre il pluralismo informativo. Tale scenario diventa particolarmente preoccupante quando le politiche governative sono oggetto di contestazione e vi è la necessità di mantenere il consenso popolare. Restringere la libertà di espressione in questo contesto rischierebbe di soffocare il dibattito pubblico e la critica legittima, compromettendo le fondamenta stesse della democrazia.

In breve, la domanda chiave è se le misure per contrastare la disinformazione siano sempre proporzionate o se possano essere usate per reprimere opinioni legittime che mettono in discussione le narrazioni governative dominanti.

2. Il pluralismo informativo in Occidente

Se i media occidentali promuovessero un autentico pluralismo informativo, favorendo un dibattito libero e aperto, sarebbe legittimo criticare duramente chi non osservi tali principi. Ma, di per sé, la scelta di fornire un pluralismo informativo e la libertà di parola e di pensiero, fornirebbe ai cittadini gli antidoti per discriminare il vero ed il falso. Ma così non avviene.

Un’informazione pluralistica e trasparente permette ai cittadini di formarsi un’opinione critica, ma quando i media si allineano prevalentemente con le narrative governative, il rischio di manipolazione cresce. Questo non si limita solo alla copertura della guerra, ma si estende a molte altre questioni di politica interna ed estera. La concentrazione dei media nelle mani di pochi gruppi e il controllo degli algoritmi sui motori di ricerca rendono più difficile l’emergere di opinioni divergenti o critiche.

3. L’importanza del dibattito pubblico

Un dibattito pubblico aperto e pluralista è fondamentale per una democrazia sana. Quindi criticare questo stato di cose è corretto: la diversità delle opinioni è il cuore della democrazia. Quando una società reprime o marginalizza opinioni divergenti, si mette a rischio la libertà di pensiero. Se ogni visione alternativa viene immediatamente bollata come “disinformazione”, si cade nel rischio di censura, dove non c’è spazio per il dibattito libero e critico. In questo contesto, l’Occidente deve prestare attenzione a non cadere nello stesso errore che accusa di fare la Russia: cioè, reprimere voci critiche.

4. La risposta alla disinformazione: educazione e trasparenza

La soluzione migliore alla disinformazione non è la censura, ma un’educazione mediatica solida e l’accesso a una vasta gamma di fonti. I cittadini ben informati e abituati a confrontarsi con opinioni diverse possono sviluppare un pensiero critico e riconoscere da soli cosa sia disinformazione e cosa no. Se i media offrissero un vero pluralismo di opinioni, sarebbe più facile per il pubblico riconoscere narrazioni manipolative.

5. Rischi per la democrazia

Infine, è da evidenziare come sia alquanto pericoloso etichettare automaticamente come “disinformazione” qualsiasi opinione diversa dalla narrativa dominante. Questo atteggiamento può portare a un restringimento del dibattito democratico e, nel lungo periodo, minare la fiducia del pubblico nei media. Se l’unica voce ammessa è quella ufficiale, si perde la diversità di opinioni che è essenziale per una democrazia vivace. Come ho detto, fornire informazioni corrette e pluralistiche è la chiave per garantire che il pubblico possa formarsi un’opinione critica e indipendente.

La notizia del coinvolgimento di Sergei Kirienko nelle operazioni di disinformazione russa è emersa attraverso diverse indagini condotte sia da organi investigativi russi che occidentali, in particolare dall’FBI. I dettagli sono stati resi noti tramite la diffusione di documenti interni e verbali di riunioni tra funzionari russi, che sono stati intercettati e analizzati da agenzie investigative.

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L’indagine dell’FBI

La figura centrale dell’indagine resa pubblica dell’FBI è Sergei Kirienko. Questi è un politico e burocrate russo di lunga data, che attualmente ricopre la posizione di Primo Vice Capo dell’Amministrazione Presidenziale della Russia, un incarico che detiene dal 2016. Nato nel 1962, Kirienko è entrato alla ribalta nel 1998, quando fu nominato Primo Ministro della Russia da Boris Eltsin, anche se il suo mandato durò solo pochi mesi a causa della crisi finanziaria che colpì il paese nello stesso anno.

Prima di questo incarico, Kirienko aveva lavorato nel settore bancario e industriale, e successivamente servì come Ministro dell’Energia e del Combustibile. Nonostante il suo breve mandato come Primo Ministro, si è reinventato come figura chiave nel Cremlino sotto Vladimir Putin. Kirienko ha guidato l’Agenzia per l’Energia Atomica della Russia (Rosatom) per diversi anni, contribuendo alla modernizzazione del settore nucleare russo.

Nel suo ruolo attuale nell’amministrazione di Putin, Kirienko è responsabile di numerose questioni interne, comprese le politiche di propaganda e informazione. È considerato un attore centrale nelle operazioni di disinformazione orchestrate dalla Russia a livello internazionale, come illustrato dall’articolo che descrive il suo coinvolgimento nella guerra informativa contro l’Occidente​

Le prove principali diffuse dall’FBI collegano Kirienko alla ‘disinformazione’ derivano da verbali di riunioni interne del Cremlino, che sono stati acquisiti durante un’indagine dell’FBI. Questi documenti includono i cosiddetti “Minutes of the Meeting”, ossia rapporti dettagliati di incontri tra Kirienko e altri funzionari russi, come Sofia Zakharova, sua stretta collaboratrice. Nei verbali si fa riferimento alla creazione di campagne mediatiche ritenute false, incluse narrazioni che sarebbero costruite ad hoc per danneggiare l’immagine di Stati Uniti e alleati, in particolare in Germania e altri Paesi europei.

Uno dei verbali rivelati, risalenti a gennaio 2023, ad esempio, cita esplicitamente il piano di diffondere notizie false attraverso una rete di siti web e influenzer con lo scopo di manipolare l’opinione pubblica. Secondo l’FBI, tra le operazioni più discutibili, ci sarebbe l’idea di creare una falsa notizia su un soldato americano che avrebbe violentato una donna tedesca, con lo scopo di minare i rapporti tra Germania e Stati Uniti​.

Le attività di disinformazione (nell’ambito della cosiddetta  guerra di propaganda)  sono costate al governo russo 3 milioni di dollari e a RT 10 milioni dollari.

Scrive il giornalista Jhon Helmer: ” Nel secondo atto di accusa, emesso anch’esso il 4 settembre , il Dipartimento di Giustizia ha affermato che “l’emittente statale russa RT ha orchestrato un massiccio schema per influenzare il pubblico americano impiantando e finanziando segretamente una società di creazione di contenuti sul suolo statunitense [e] per creare e distribuire contenuti al pubblico statunitense con messaggi nascosti del governo russo”.  

Secondo i documenti del tribunale statunitense, il governo russo ha speso circa 3 milioni di dollari per l’operazione Kirienko-Kambashidze; 10 milioni di dollari per il piano RT. In termini di esborsi di denaro e dipendenti, questi sforzi del governo russo sono irrisori rispetto alle loro controparti negli Stati Uniti , nell’Unione Europea e nel Regno Unito .  

Mentre procedono le battaglie della guerra di informazione e propaganda degli USA contro la Russia, non c’è nulla di eccezionale nelle ultime operazioni. La nuova dichiarazione giurata dell’FBI e i documenti del Dipartimento di Giustizia riprendono la storia in cui le rivelazioni del Russiagate hanno avuto inizio nel gennaio 2017 con il dossier Golden Showers. Seguite la storia qui .  ”

Le prove sono basate quasi esclusivamente dalla testimonianza di tale Gambashidze, un cittadino russo comparso davanti ad tribunale americano e nel corso delle sue deposizioni ha fatto affermazioni che costituiscono il dossier dell’FBI.

Secondo quando riportato dal quotidiano LA STAMPA, Nel mirino sono i repubblicani americani ; “personalità politiche e influencer legati alla destra repubblicana”. Questi negli USA e negli “altri paesi, Italia compresa” avrebbero il compito di “… dipingere gli USA come «feccia», appoggiare chiunque, «anche per suoi motivi» critichi l’invio di armi in Ucraina o l’uso di armi occidentali in Russia”.

Altre fonti

Ulteriori rivelazioni derivano dall’attività di monitoraggio di “gruppi che seguono da vicino le operazioni mediatiche russe”, confermando che Kirienko supervisiona le attività di disinformazione. Queste includono il supporto a gruppi mediatici che diffondono falsità su vari aspetti della guerra in Ucraina e la promozione di siti web e contenuti pro-Russia. Ad esempio, un’altra riunione discussa nell’articolo riguarda l’inclusione di influenzer stranieri in queste operazioni, per amplificare i messaggi del Cremlino all’estero.

In sintesi, le prove sono costituite da verbali di riunioni interne, documenti strategici intercettati e un’analisi delle operazioni mediatiche attive che collegano direttamente Kirienko alla supervisione di campagne di disinformazione orchestrate dal Cremlino.

A proposito: questo blog è stato inserito dal Corriere della Sera tra i siti che diffonderebbero ‘propaganda russa’ per la sua posizione critica al proseguimento della guerra russo-ucraina, per questo è duramente penalizzato dai motori di ricerca, le visite sono quasi tutte per provenienza diretta e dai social.

Reiterazione del Russiagate, supporto alle campagne contro la disinformazione?

A mio avviso, oggi i governi sembrano considerare quasi una minaccia il fatto che i cittadini si pongano domande. Un esempio emblematico è il caso del Russiagate: l’FBI, infatti, avrebbe costruito da zero l’accusa di una presunta ingerenza russa nella campagna di Donald Trump. Questa accusa ha gravemente ostacolato le politiche che l’allora presidente intendeva attuare, costringendolo a difendersi per gran parte del suo mandato. Alla fine, tutte queste accuse si sono rivelate infondate.

Il sospetto, come giustamente riportato da John Helmer, è che l’operazione dell’FBI, evidenziando in modo tempestivo il piano di Kirienko e Gambashidze sui falsi media statunitensi (“Operazione Doppelganger“, risalente al 2023), faccia parte di un’azione legale più ampia del Dipartimento di Giustizia. Questa operazione di influenza si sarebbe basata su influencer, contenuti generati dall’intelligenza artificiale, pubblicità a pagamento e account sui social media per indirizzare il traffico verso domini cybersquat e altre piattaforme, tutto a beneficio della campagna elettorale della vicepresidente Kamala Harris. Lo scopo sarebbe quello di convincere gli elettori statunitensi che i russi, nemici stranieri, stanno cercando di manipolare i loro voti e sostenendo segretamente Donald Trump in vista delle elezioni del 5 novembre.

Questa in breve la notizia… detta così senza una necessaria premessa , si rischierebbe di vedere il dito e non la luna, oppure – se volete – la pagliuzza e non la trave.

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