SREBRENICA 1995-2015: Solo i fatti, senza propaganda o abbellimento

SREBRENICA 1995-2015: Solo i fatti, senza propaganda o abbellimento

Questo breve info-libro si basa sul lavoro di vari esperti americani, britannici, olandesi, bosniaco-musulmani e bosniaco-serbi impegnati nell’analisi o delle indagini dei fatti di Srebrenica nel corso degli ultimi 20 anni, dei rapporti dei media, e della testimonianza di persone direttamente coinvolte o interessate.

Editori:

Stefan Karganović

Aleksandar Pavić

Introduzione

Il ventesimo anniversario della caduta dell’enclave di Srebrenica in Bosnia-Erzegovina, nel luglio 2015, è un’occasione importante. Questo breve libro infatti è dedicato a tutti coloro che sono interessati alla verità, piuttosto che alla politicizzazione. Dopo 20 anni, è il momento di dare un serio sguardo ai fatti, e solo ai fatti. Ciò è particolarmente importante non solo dal punto di vista della ricerca della verità, ma anche perché gli eventi di Srebrenica non sono diventati solo un problema locale, o anche regionale, ma un problema di importanza globale, che attira sempre un’ampia copertura dei mass-media, suscita polemiche politiche e serve come strumento di destabilizzazione politica.

L’intento di base di quest’opuscolo è di fornire agli esperti e al più vasto pubblico una panoramica di tutti i fatti noti relativi a Srebrenica che sono stati stabiliti sulla base delle sentenze emesse dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (TPIJ), la corte ad hoc istituita dalle Nazioni Unite nel 1993, al culmine della guerra civile in jugoslava, su insistenza degli Stati Uniti. Tuttavia, un compito altrettanto importante è dimostrare ciò che non è stato stabilito ma continua a essere presentato (falsamente) come fatti, e sulla cui base di prendono valutazioni e decisioni politiche di vasta portata.

Quali sono i principi fondamentali che stanno dietro questa pubblicazione?

– La verità è sempre necessaria, sia per le vittime sia per gli imputati e i condannati, per gli storici interessati ai fatti piuttosto che alla propaganda, e per i personaggi pubblici che desiderano veramente operare nell’interesse pubblico; tuttavia, per quanto riguarda Srebrenica, la verità non è stata servita bene finora, come verrà illustrato;

– Anche se ancora non si può affermare con certezza ciò che è avvenuto esattamente a Srebrenica nel 1995, si è accertato abbastanza nel corso degli ultimi 20 anni per essere in grado di affermare con sicurezza ciò che non è accaduto – eppure è proprio questo che viene presentato come la verità. Le cifre che sono presentate costantemente e acriticamente nei media locali, regionali e internazionali, forum, istituzioni e strutture politiche – basate sull’affermazione che “le forze serbe” hanno commesso un “genocidio” di oltre 7.000-8.000 prigionieri di guerra bosniaco-musulmani – semplicemente non reggono all’esame, e non sono supportate da alcuna evidenza finora comprovata;

– Numeri arbitrari e accuse di fatto infondate, “risoluzioni” parlamentari e internazionali insieme a condanne del TPIJ, sono (ab)usati per avvelenare relazioni sociali, politiche, interreligiose, interetniche e internazionali, per seminare divisioni e instabilità, per approfondire le tensioni e fomentare l’estremismo nei Balcani e non solo. Questo serve solo gli interessi di coloro che traggono profitto dalla destabilizzazione permanente, dalle turbolenze, dalle divisioni artificiali e dagli “scontri di civiltà”;

– La tragedia di Srebrenica è stata (ab)usata più volte, e continua a essere (ab)usata, come pretesto per organizzare un intervento politico e/o militare contro stati sovrani, o intromettersi nei loro affari interni e fomentare turbamenti interni per motivi “umanitari”. “Dobbiamo evitare un’altra Srebrenica!” è un grido di guerra che è stato ascoltato spesso negli ultimi dieci anni o giù di lì, come prefazione a interventi militari occidentali in Jugoslavia (Kosovo), Congo, Macedonia, Iraq, Siria, Libia. Srebrenica è anche un pilastro importante nell’ideologia dietro la dottrina della cosiddetta “responsabilità di proteggere” (R2P), costruita per legalizzare l’interventismo istigato globale dall’Occidente. Questo è il motivo per cui la verità su Srebrenica, non importa quanto spiacevole o incriminante per coloro che vi sono coinvolti, è una questione di importanza e ramificazione globale;

– Dopo quasi 20 anni di lavoro, rinvii a giudizio, testimonianze, processi e milioni di pagine di “prove”, il TPIJ non è ancora riuscito a stabilire la verità. Praticamente l’unico successo che il TPIJ può vantare è che è riuscito, con mezzi discutibili, a etichettare gli eventi di Srebrenica come “genocidio” – senza prove adeguate, e usando ragionamenti giuridici molto discutibili.

Così, dopo due decenni di inutilità, offuscamento intenzionale e giochi politici su una tragedia umana, è il momento di provare con qualcosa di nuovo. Per fare finalmente un tentativo credibile di accertare ciò che è accaduto realmente a Srebrenica nel luglio 1995, il modo migliore e più legittimo sarebbe quello di stabilire una Commissione internazionale per la verità su Srebrenica, veramente indipendente. Questo sarebbe il modo migliore per fermare ulteriori brutte politicizzazioni e (ab)usi di questo tragico evento, e per portare finalmente pace alle sue vere vittime, da tutte le parti del conflitto, e soddisfazione alle famiglie delle vere vittime, di cui tutte le persone benintenzionate condividono il dolore. Infatti, ha avuto certamente luogo un crimine a Srebrenica, e solo la sua risoluzione piena e completa permetterebbe a tutti di affrontare apertamente e pienamente il passato, riconciliarsi e, infine, andare avanti.

Questa pubblicazione è un contributo in tale direzione, un tentativo di facilitare la creazione di tutta la verità riguardo a ciò che è accaduto a Srebrenica, e non solo nel 1995, con la speranza che possa essere utile ai media, all’opinione pubblica, ai politici e a tutti coloro che hanno il potere di adottare misure idonee ad affrontare finalmente questo problema internazionale e a metterlo nella sua giusta prospettiva – senza manipolazioni, abusi dei fatti o secondi fini.

Srebrenica: fatti, presupposti, incognite

1. In base alle sentenze emesse dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (TPIJ), quante persone sono state uccise a Srebrenica nel luglio 1995?

Il Centro memoriale di Potocari, vicino a Srebrenica, elenca il numero di 8.372 vittime.

Secondo il “Bosnian Atlas of Crime”, edito dal Centro per la Ricerca e Documentazione di Sarajevo, 6.886 persone sono state uccise a Srebrenica e nei dintorni nel luglio 1995; tuttavia, una tabella separata pubblicato dal Centro elenca 4.256 morti e 2.673 dispersi bosniaco-musulmani (qui è evidente che i conti non tornano).

La sentenza del TPIJ nel caso del generale bosniaco-serbo Radislav Krstić cita la cifra di “7.000-8.000 persone” (sentenza del processo, par. 487).

La sentenza del TPIJ nel caso del colonnello bosniaco-serbo Vujadin Popović, afferma: “Il tribunale ha scoperto che, dal 12 luglio fino alla fine di luglio del 1995, diverse migliaia di uomini bosniaco-musulmani sono stati giustiziati” (sentenza del processo, par. 793). Il tribunale ha inoltre dichiarato che “ha scoperto che almeno 5.336 individui identificati sono stati uccisi nelle esecuzioni a seguito della caduta di Srebrenica, e questo numero potrebbe arrivare fino a 7.826” (sentenza del processo, nota 2.862).

Nella sentenza del TPIJ nel caso del generale serbo bosniaco Zdravko Tolimir, si fornisce la cifra di “4.970 vittime” (sentenza d’appello, par. 426).

Pertanto, non solo le cifre fornite e presumibilmente accertate dal TPIJ variano costantemente, ma confondono anche comodamente tra quelli che sono a) di fatto vittime di esecuzioni, b) morti per altre cause, sia in combattimento con le forze serbe, per cause naturali, a causa di un suicidio, battaglia o lotte intestine tra le forze musulmane stesse, e c) ancora dispersi e il cui destino esatto non è noto. Solo quelli sotto la voce a) possono essere considerati vittime di crimini di guerra. Eppure, tutte queste categorie di vittime sono ammassate insieme in una cifra comune al fine di gonfiarla a sufficienza per giustificare l’affermazione “genocidio”.

Conclusione: né il TPIJ, né qualsiasi altra istituzione ha, a partire dal luglio 2015, determinato con precisione il numero dei prigionieri giustiziati. Inoltre, le vittime di esecuzioni, le vittime di guerra, di lotte intestine, di suicidio, i morti per cause naturali e i dispersi sono stati costantemente accomunati assieme. Il numero preciso delle vittime giustiziate deve essere ancora stabilito – e solo oro in questa situazione possono essere classificate come vittime di un crimine di guerra.

2. Quante persone sono state effettivamente condannate dal TPIJ come esecutori diretti o complici di esecuzioni dei prigionieri a Srebrenica e nei dintorni nel luglio 1995?

L’unica persona condannata dal TPIJ come diretto autore di un crimine a Srebrenica non è un serbo, ma un bosniaco-croato, Drazen Erdemović, identificato come un membro della “10a unità di sabotaggio” all’interno dell’esercito serbo-bosniaco, che è stato condannato nel 1998 per la partecipazione “alla morte di centinaia di civili maschi bosniaco-musulmani, dei quali il numero esatto non è stato accertato” (sentenza di condanna, 5 marzo 1998) – e condannato esattamente a 5 anni. Questa sentenza assurdamente bassa è stata decisa dopo che Erdemović ha fatto un accordo con l’Ufficio del Procuratore del TPIJ, sulla base della sua testimonianza, da lui cambiata più volte, e a condizione che egli testimoniasse contro gli imputati serbi ogni volta che il TPIJ lo convocava. Un’altra parte del patto era che a Erdemović fosse concesso lo status di testimone protetto, in base al quale gli è stata data una nuova identità e la residenza in un ignoto Paese occidentale.

Per sua stessa ammissione, Erdemović aveva combattuto su tutti i tre lati del conflitto bosniaco: l’esercito bosniaco-musulmano, l’esercito bosniaco-croato e l’esercito bosniaco-serbo. Inoltre è dannoso per la sua credibilità il fatto che, dopo un esame psichiatrico, il TPIJ ha dichiarato Erdemović mentalmente compromesso e non idoneo a un ulteriore processo il 27 giugno 1996. Tuttavia, solo alcuni giorni dopo, il 5 luglio 1996, Erdemović, ancora formalmente sotto accusa, è apparso come testimone della Procura nel processo contro il leader serbo bosniaco Radovan Karadžić e il comandante dell’esercito bosniaco-serbo, il generale Ratko Mladić. Anche se il TPIJ aveva appena ritenuto Erdemović “inadatto a essere interrogato”, la “testimonianza non verificata e incontrastata (e incontrastabile) di questo uomo malato e assassino di massa che doveva ancora affrontare il suo processo e sua la condanna” (Prof. Edward Herman) è stata utilizzata per spiccare mandati di arresto per Karadžić e Mladić.

Erdemović è stato inizialmente arrestato dalle autorità jugoslave, il 3 marzo 1996 e quasi subito accusato, ma è stato consegnato al TPIJ sotto pressione e insistenza degli Stati Uniti il 30 marzo 1996.

La testimonianza contraddittoria e incoerente di Erdemović è stata analizzata ed esposta in dettaglio nel libro “Il testimone stellare” di Germinal Chivikov, giornalista bulgaro che ha riferito sul processo al TPIJ alla radio di Stato tedesca Deutsche Welle.

Una delle questioni chiave che screditano Erdemović è il fatto che, sul luogo stesso in cui ha testimoniato di aver partecipato all’esecuzione di “circa 1.200 prigionieri,” le squadre forensi del TPIJ hanno portato alla luce un totale di 127 resti di vittime potenziali, di cui 70 con bende sugli occhi e/o legacci, il che indicherebbe una morte per esecuzione. Tuttavia, questa incoerenza lampante non ha impedito al TPIJ di continuare ad utilizzare Erdemović come suo “testimone” per quanto riguarda Srebrenica.

Inoltre, Erdemović non è stato nemmeno in grado di confermare davanti al TPIJ la data esatta del “massacro” a cui egli avrebbe partecipato, parlando in alternativa del 16 luglio e del 20 luglio 1995 come possibili date.

Erdemović non è riuscito nemmeno a offrire una testimonianza coerente per quanto riguarda il rango che ricopriva al momento del suo presunto crimine, sostenendo in alternativa di essere un sergente o di essere stato retrocesso a soldato semplice.

Infine, fino ad oggi, Erdemović “non riesce a ricordare” chi ha dato l’ordine delle esecuzioni in cui egli avrebbe preso parte. Nella sua versione, era “una specie di tenente colonnello”, che non è ancora stato identificato, dopo quasi 20 anni.

Alcuni complici, non ma tutti, nominati da Erdemović sono stati in seguito condannati, ma non dal TPIJ, bensì dalla Corte della Bosnia-Erzegovina per i crimini di guerra nel 2012.

Franc Kos, Stanko Kojić, Vlastimir Golijan e Zoran Goronja sono stati condannati a pene detentive variabili per esecuzioni alle fattorie di Branjevo. Ciò che è particolarmente interessante è il fatto che né loro né nessuno degli altri sette complici, né i due superiori della catena di comando nominata da Erdemović, sono stati mai incriminati dal TPIJ o anche solo chiamati a testimoniare, probabilmente perché il TPIJ non voleva correre il rischio di sentire testimonianze che sarebbero state in contraddizione con quella del suo “testimone stellare”. Pensateci: i complici in quello che è accusato come “il delitto più grave in Europa dopo la seconda guerra mondiale” – non sono mai stati oggetto di interesse come “testimoni” al tribunale internazionale incaricato del caso. Questo sarebbe simile a un tribunale penale che ignora tutti i partecipanti in un omicidio di gruppo, ed emette un solo mandato d’arresto e interroga un solo membro del gruppo, senza essere interessato a sentire le testimonianze degli altri complici.

Erdemović e i suoi complici erano membri di un’unità militare bosniaco-serbo, la “10a unità di sabotaggio”, un’unità multi-etnica di serbi, croati, musulmani e sloveni, la cui catena di comando di legame con l’esercito bosniaco-serbo non è mai stata stabilita, e i cui membri erano stati, secondo la testimonianza dinanzi al TPIJ, da dieci giorni in congedo dal servizio, al momento in cui le presunte esecuzioni hanno avuto luogo. Un certo numero di membri dell’unità erano chiaramente mercenari, passati al servizio di interessi francesi in Africa dopo la guerra in Bosnia-Erzegovina. Erdemović stesso ha testimoniato di aver ricevuto fino a 12 chili di oro per alcuni “servizi resi”, cosa che non segue proprio il modo in cui operano le unità militari regolari.

3. Quali sentenze ha comminato il TPIJ contro gli altri condannati per crimini o “genocidio” a Srebrenica?

Dragan Obrenović (2003), condannato a una pena detentiva di 17 anni per la persecuzione della popolazione musulmana di Srebrenica, dopo un patteggiamento con la procura.

Vidoje Blagojević (2005), per omicidio, persecuzione e trattamento inumano, condannato a 15 anni di carcere.

Dragan Jokić (2005), per complicità nello sterminio e in crimini contro l’umanità, condannato a 9 anni di carcere.

Vujadin Popović (2010), per genocidio e crimini contro l’umanità, all’ergastolo.

Ljubiša Beara (2010), per genocidio e crimini contro l’umanità, all’ergastolo.

Drago Nikolić (2010), per comnlicità in genocidio e in crimini contro l’umanità, condannato a 35 anni di carcere.

Radivoje Miletić (2010), per crimini contro l’umanità e violazione delle leggi e delle consuetudini di guerra, condannato a 18 anni di carcere.

Vinko Pandurević (2010), per crimini contro l’umanità e violazione delle leggi e delle consuetudini di guerra, condannato a 13 anni di carcere.

Ljubiša Borovčanin (2010), per crimini contro l’umanità e violazione delle leggi e delle consuetudini di guerra, condannato a 17 anni di carcere.

Nessuno dei soggetti di cui sopra è stato accusato o condannato per l’esecuzione di prigionieri di guerra, ma sulla base di “responsabilità di comando” e della “Joint Criminal Enterprise” (JCE), controversa dottrina sviluppata dal TPIJ, per la quale gli esperti giuridici hanno adottato un’efficace sinonimo: “Just Convict Everybody” (condannare proprio chiunque). Usando questo comodo dispositivo legale, il TPIJ è stato in grado di condannare anche persone che non erano a conoscenza di reati commessi, e tanto meno vi avevano partecipato a loro, o avevano dato ordini a proposito.

4. Dopo quasi 20 anni di procedimenti giudiziari, il TPIJ ha accertato chi ha dato gli ordini per l’esecuzione dei prigionieri di guerra?

No. Nel suo parere separato e in parte dissenziente nella sentenza d’appello nel caso Tolimir (Aprile 2015), il giudice d’appello Jean-Claude Antonetti ha scritto che, se qualcuno dei familiari delle vittime gli avesse chiesto chi ha ordinato le esecuzioni e perché , egli non sarebbe stato in grado di rispondere (sentenza d’appello, pag. 400). Nessun altro giudice del TPIJ ha contestato tale valutazione.

In aggiunta a questo, c’è un’altra testimonianza ampiamente pubblicizzata che semplicemente non deve essere ignorata se si vuole situare l’intera tragedia di Srebrenica in un contesto appropriato, e provare, in buona fede, a giungere alle sue cause principali.

In diverse occasioni e per mezzo di vari media, Hakija Meholjić, ex capo della polizia di Srebrenica e membro della sua presidenza in tempo di guerra, ha citato le parole di Alija Izetbegović, presidente bosniaco-musulmano del tempo di guerra, pronunciate in presenza di Meholjić a una riunione a Sarajevo nel 1993, e che sono state riassunte nel seguente Rapporto delle Nazioni Unite:

Alcuni membri superstiti della delegazione di Srebrenica hanno dichiarato che il presidente Izetbegović ha anche detto di aver appreso che un intervento della NATO in Bosnia Erzegovina sarebbe stato possibile, ma avrebbe potuto avere luogo solo se i serbi avessero fatto irruzione, uccidendo almeno 5.000 dei suoi abitanti. Il presidente Izetbegović ha categoricamente negato di aver fatto una simile dichiarazione”. [La caduta di Srebrenica (A / 54/549), Rapporto del Segretario Generale ai sensi della risoluzione dell’Assemblea Generale 53/35, 15 novembre 1999, par. 115.] Meholjić continua a sostenere fino a oggi di essere stato uno dei nove testimoni che udirono Izetbegović dire questo, e che questa era un’offerta comunicata direttamente a Izetbegović dall’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Forse è per questo che un altro leader di Srebrenica del tempo di guerra, Ibran Mustafić, in occasione della visita a Srebrenica di Clinton del 2003, ha dichiarato che si trattava di un caso di “ritorno del criminale sulla scena del delitto”.

5. Quanti corpi sono stati sepolti finora al Centro memoriale di Potočari vicino a Srebrenica, il cimitero riservato alle vittime musulmane dal luglio 1995?

Nel 2015, circa 6.300 “nomi” sono stati sepolti nel cimitero (facendo progressi sostanziali verso il numero di 8372 iscritti sul monumento commemorativo, anche se la base per questo dato non è chiaro). La procedura di sepoltura è completamente controllato dall’Istituto della Bosnia-Erzegovina per le persone scomparse, con sede a Sarajevo, e dalle autorità religiose musulmane, che, con il pretesto di rispetto delle regole e delle prescrizioni religiose, non hanno consentito alcun accesso di terzi ai contenuti delle bare, così come non hanno consentito alcuna verifica indipendente dei resti sepolti. Ciò significa che persino ai team di difesa degli imputati al TPIJ è stato negato l’accesso a conferme indipendenti dell’identità del resti umani sepolti a Potočari.

Per illustrare la natura opaca del Centro memoriale di Potočari e i giochi oscuri che lo circondano, è istruttivo leggere le parole di Haša Omerović, una donna bosniaca-musulmana che ha perso il marito, il padre e il fratello intorno a Srebrenica nel luglio 1995, ma che ha rifiutato di far seppellire il marito nel cimitero del Centro memoriale di Potočari:

Ci sono altre famiglie che hanno evitato di parlarne in pubblico, ma che hanno sepolto in silenzio, a proprie spese, i loro cari in altri luoghi, al di fuori di Potočari. Ci sono anche persone sepolte a Potočari, che non sono state uccise nel 1995, che erano soldati o comandanti. Sono sepolti a Potočari, e loro monumenti sono gli stessi di quelli delle persone che erano state effettivamente uccise nel luglio 1995. Inoltre vi sono sepolte persone uccise in lotte intestine o in altri tipi di battaglie. Quella erano le guerre più sporche, condotte da mafiosi, non da gente normale”.

(“Haša Omerović – un altro Volto di Srebrenica“, rivista Novi Reporter, Banja Luka, Bosnia-Erzegovina, 2 marzo 2011.)

E uno dei fondatori del principale partito politico bosniaco-musulmano, e da lungo tempo membro del Comitato organizzatore per il ricordo di Srebrenica, Ibran Mustafić, dice:

Per molto tempo Srebrenica è stato un oggetto di manipolazione, e il manipolatore capo è Amor Masović (presidente della Commissione per la ricerca dei dispersi della Federazione di Bosnia-Erzegovina), il cui piano era di vivere di rendita sulle vittime di Srebrenica per i prossimi 500 anni. Ci sono anche molti altri, che erano vicini a Izetbegović, che già nell’estate del 1992 avevano iniziato il progetto di pompare al massimo il numero delle vittime bosniache“.

(“Mustafić: Più di 500 musulmani bosniaci a Srebrenica sono stati uccisi dai musulmani bosniaci,”, quotidiano Politika, Belgrado, Serbia, 20 febbraio 2013. )

6. È stato definitivamente accertato che tutti i corpi sepolti presso il Centro memoriale di Potočari sono “vittime di Srebrenica”?

No. A parte il personale forense del TPIJ e dell’ICMP (Commissione internazionale per i dispersi) di Tuzla, sotto il controllo del governo degli Stati Uniti, nessuno ha accesso ai corpi o ha un diritto di verifica indipendente.

I dati demografici e le sentenze del TPIJ non menzionano le perdite in combattimento nella 28° divisione dell’esercito bosniaco-musulmano – che aveva avuto sede nella “zona demilitarizzata” di Srebrenica nel corso degli ultimi tre anni – durante il suo sfondamento attraverso le linee dell’esercito bosniaco-serbo verso la città bosniaca settentrionale di Tuzla a metà luglio 1995. In media, i rapporti delle Nazioni Unite e di altre fonti competenti stimano il numero di queste vittime in battaglia a circa 3.000. Va sottolineato che queste morti, pur senza dubbio tragiche, sono vittime di guerra e non possono essere classificate come vittime di crimini di guerra.

Mirsad Tokača, direttore del Centro di informazione e documentazione di Sarajevo, ha dichiarato nel 2010 che “circa 500 residenti viventi di Srebrenica”, precedentemente classificati come “dispersi”, sono stati ritrovati, insieme a “70 persone sepolte presso il Centro memoriale di Potočari, che non sono state uccise a Srebrenica. “

Ibran Mustafić, un funzionario bosniaco-musulmano di Srebrenica, ha dichiarato che circa 1.000 persone sono state uccise in scontri intestini durante il loro ritiro da Srebrenica nel luglio 1995.

Nel suo libro, “Srebrenica testimonia e accusa” (1994, pp. 190-244), il comandante delle forze musulmane a Srebrenica, Naser Orić, ha pubblicato i nomi di 1.333 uomini della presunta smilitarizzata enclave di Srebrenica che sono stati uccisi negli scontri prima della caduta di Srebrenica nel luglio 1995, quando le unità di Orić lanciavano regolarmente incursioni omicide contro i villaggi serbi circostanti. Tuttavia, molti di questi nomi sono stati coperti da segreto e sepolti come “vittime di genocidio.”

Il direttore del Centro memoriale di Potočari, Mersed Smajlović, e il direttore del Centro per le persone disperse della Bosnia-Erzegovina, Amor Masović, hanno ammesso che circa 50 persone che sono state uccise nel 1992, ma che sono “strettamente legate” alle persone classificate come vittime di esecuzioni, sono sepolte nel cimitero del Centro memoriale di Potočari.

L’ex capo della polizia di Srebrenica Hakija Meholjić ha dichiarato che è “arrabbiato con tutti” quei responsabili per la sepoltura nel cimitero del Centro memoriale di Potočari di 75 persone che non furono uccise nel luglio 1995.

L’americano Philip Corwin, l’ufficiale civile di più alto rango delle Nazioni Unite in Bosnia-Erzegovina nel luglio del 1995, ha costantemente sostenuto nel corso degli anni che “700-800” persone sono state giustiziate in prossimità di Srebrenica a quel tempo.

Yossef Bodansky, direttore della Task Force del Congresso sul terrorismo e la guerra non convenzionale della Camera dei Rappresentanti dal 1988 al 2004, ha fatto riferimento alla cifra di 7.000 vittime di Srebrenica come a una “disinformazione”, aggiungendo che “tutte le prove forensi indipendenti parano di vittime musulmane nell’ordine delle centinaia, forse di poche centinaia. La continua enfasi su questi presunti numeri elevati di morti musulmani a Srebrenica offusca anche i precedenti omicidi di civili serbi da parte di musulmani in quella città”.

(Relazione speciale della International Strategic Studies Association, “Osama bin Laden si concentra sui Balcani per la nuova ondata di terrorismo anti-occidentale”, il 29 agosto 2003).

7. Quante persone sono state uccise negli scontri intorno a Srebrenica nel luglio 1995?

Il testimone esperto del TPIJ Richard Butler ha stimato che siano stati uccisi circa 2.000 combattenti bosniaco-musulmani; l’ufficiale portoghese e osservatore delle Nazioni Unite Carlos Martins Branco, fornisce una stima di 2.000 combattenti bosniaco-musulmani uccisi; l’analista John Schindler della National Security Agency fornisce una stima di 5.000 combattenti bosniaco-musulmani uccisi; l’ex inviato delle Nazioni Unite e alto funzionario dell’Unione Europea Carl Bildt dà nelle sue memorie una stima di 4.000 combattenti bosniaco-musulmani uccisi; le Nazioni Unite hanno stimato il numero di combattenti bosniaco-musulmani uccisi a circa 3.000. Tutte queste stime indicano invariabilmente il fatto che un numero significativo di persone scomparse di parte bosniaco-musulmana – che sono tuttavia costantemente etichettati dai funzionari occidentali e dai media come “vittime del genocidio” – è costituito da uomini uccisi in battaglia, come legittime perdite di guerra, e non vittime di esecuzioni “genocide”.

8. Secondo le prove forensi raccolte sotto la supervisione del TPIJ, quante persone sono state identificate come vittime indiscutibili di esecuzioni effettuate nel luglio 1995?

L’esumazione di resti umani da varie tombe che potrebbero, anche se non necessariamente, essere collegate con gli eventi di Srebrenica nel luglio 1995, è stata sotto il controllo del TPIJ solo tra il 1996 e il 2001. In quel periodo, un totale di 3.568 “casi” è stato elaborato e classificato. Tuttavia, va notato che un “caso” non coincide necessariamente con un corpo, ma può rappresentare solo una parte del corpo. Infatti, quasi il 44,4% dei “casi” si riferisce a una sola parte del corpo, spesso solo un osso. L’analisi forense di questi “casi” ha dato i seguenti risultati:

– Solo 442 corpi riesumati potrebbero essere classificati come vittime di esecuzione indiscutibili, poiché erano bendati o legati;

– 627 corpi avevano schegge o altre lesioni da frammenti di metallo, che indica una morte in combattimento piuttosto che un’esecuzione;

– 505 corpi avevano ferite da proiettile, che possono indicare morte per esecuzione, ma anche morte in battaglia;

– Non è stato possibile determinare la causa della morte per 411 corpi;

– 1.583 “casi” rappresentavano solo frammenti il ​​corpo e gli esperti di medicina legale del TPIJ hanno concluso che non era possibile determinare la causa della morte per 92,4% di loro;

– Al fine di ottenere la stima più vicina del numero di organi tra i 3.568 “casi”, è stato utilizzato un metodo con cui le ossa di destra e di sinistra della coscia (femori) sono stati abbinati, per un totale di 1.919 femori destri e di 1.923 femori sinistri, il che significa che il numero totale dei corpi era al di sotto dei 2.000.

Per riassumere: i rapporti forensi originali, realizzati sotto la supervisione e il controllo del TPIJ tra il 1996 e il 2001, indicano la presenza di meno di 2.000 corpi. Tuttavia, dopo un esame più approfondito, è chiaro che la maggior parte dei corpi rappresenta vittime di battaglia o altre cause indeterminate di morte – piuttosto che “vittime di esecuzioni”.

Dal 2002, l’esumazione e l’identificazione di corpi da fosse comuni è stata sotto il controllo esclusivo della Commissione Internazionale per le persone disperse (ICMP), fondata e finanziata in Occidente dal Dipartimento di Stato, e della Commissione della Bosnia-Erzegovina per le persone scomparse. A nessuno da parte del pubblico, dei media indipendenti o di qualsiasi organizzazione esperta indipendente è mai stato consentito l’accesso indipendente alla zona di lavoro del principale laboratorio di medicina legale a Tuzla, dove i dati vengono “trattati”, né il lavoro che vi è svolto è trasparente e aperto a una verifica internazionale indipendente.

Il personale di queste organizzazioni ha ampliato radicalmente la portata del proprio lavoro di esumazione dal 2002, estendendolo a una vasta area regionale intorno a Srebrenica, senza distinzione tra le tombe di potenziali vittime di esecuzione e quelle contenenti i resti di vittime di guerra sostenute dalla 28° divisione dell’esercito bosniaco-musulmano nelle battaglie contro le forze bosniaco-serbe, durante la loro avanzata verso il territorio controllato dai bosniaco-musulmani.

Infine, con grande enfasi dei media, è stato adottato nel corso degli ultimi anni un altro metodo studiato per arrivare alla cifra ampiamente pubblicizzata di “8.000 vittime del genocidio” – lo sforzo di abbinare campioni di DNA delle vittime esumate e dei loro familiari. Di conseguenza, le tombe contenenti resti umani di vario tipo e origine, spesso ben lontane da qualsiasi tipo di “crimine di guerra”, ora vengono utilizzate come depositi illimitati di “vittime del genocidio” i cui resti sono sepolti solennemente a centinaia ogni 11 luglio al cimitero del Centro memoriale di Potočari.

Questo è altamente fuorviante. La corrispondenza del DNA non può determinare il tempo, la causa e il metodo della morte, ma solo l’identità del corpo. Ciò è stato confermato anche dal direttore dell’ICMP Thomas Parsons, sotto controinterrogatorio, al processo Karadžić il 22 marzo 2012:

L’ICMP non si occupa di ipotesi – della questione giuridica di come queste persone sono state uccise – in particolare, dell’ipotesi se le loro morti siano state legittime o meno. Io sto testimoniando sulle identificazioni che sono state fatte per quanto riguarda i resti mortali recuperati da queste tombe” (processo Karadžić, trascrizione, pag. 26633).

Dal momento che è un dato di fatto che, insieme alle esecuzioni che hanno avuto luogo, sono state combattute aspre battaglie, nelle immediate vicinanze, lungo un percorso di 60 chilometri tra Srebrenica e Tuzla, è ovvio che la semplice identificazione dei corpi trovati nella zona, sia essa basata sul DNA o su qualsiasi altro metodo, è inutile ai fini delle indagini penali e, in particolare, della qualificazione giuridica della causa della morte. Nulla può sostituire solide e responsabili indagini forensi verificabili in modo indipendente.

L’ICMP ha sostenuto che un totale di circa 6.600 persone scomparse è stato identificato per nome, attraverso il metodo della corrispondenza del DNA. Da parte sua, il TPIJ ha implicitamente accettato che questo numero rappresentasse il numero delle vittime delle esecuzioni. Se un tale elenco di nomi esiste, a nessuno è stato dato di vederlo o è stato permesso di risalire alle sue origini. Ai team di difesa degli imputati di Srebrenica davanti al TPIJ è stato negato il diritto di verificare in modo indipendente l’esistenza di tali persone, e di verificare se queste persone siano in realtà decedute, o se possano ancora essere vive.

Indipendentemente da tutte queste considerazioni, i media occidentali e gli interessi politici hanno continuato a cercare di imporre l’equazione: identificazione basata sul DNA = “vittima di genocidio”. Questo semplicemente non è vero.

9. Quanti serbi da Srebrenica e dai suoi dintorni sono stati uccisi dalle forze bosniaco-musulmane che hanno operato a Srebrenica tra la primavera 1992 e il luglio 1995?

Secondo i dati forniti nello studio Le vittime serbe di Srebrenica tra il 1992 e il 1995, condotto sotto criteri rigorosi in conformità con gli standard giuridici internazionali accettati per la definizione di vittime civili, e pubblicato dalla ONG “Progetto storico Srebrenica” con sede in Olanda, 705 civili serbi sono stati uccisi sul territorio di Srebrenica durante quel periodo di tempo. Va sottolineato che questo numero non è definitivo.

L’ “Istituto per la Ricerca sulla sofferenza serba nel XX secolo” ha pubblicato un elenco di nomi di oltre 3.200 vittime serbe delle forze bosniaco-musulmane che operavano sotto il comando del comandante Srebrenica Naser Orić tra il 1992 e il 1995, coprendo l’area dei comuni di Zvornik, Osmaci, Sekovici, Vlasenica, Milici, Bratunac e Srebrenica.

10. È mai stato condannato qualcuno dal TPIJ per questi crimini contro la popolazione serba?

Nessuno è mai stato condannato per i crimini commessi contro i civili serbi nella regione di Srebrenica tra il 1992 e il 1995, quando sono state uccise diverse migliaia di persone, tra cui donne, bambini e anziani, alcuni dopo torture selvagge e massacri. Il TPIJ ha incriminato Naser Orić, comandante delle forze bosniaco-musulmane a Srebrenica, ma questi è stato assolto per “insufficienza di prove”, nonostante il fatto che avesse parlato liberamente dell’uccisione di civili serbi ad alcuni media occidentali prima del 1995. Qui ci sono due di queste relazioni:

1. “SREBRENICA, Bosnia: i trofei di guerra di Nasir Orić non sono appesi alle pareti del suo confortevole appartamento – uno dei pochi con l’elettricità in questa enclave musulmana assediata bloccata nelle impervie montagne della Bosnia orientale. I trofei sono su una videocassetta: case serbe bruciate e uomini serbi decapitati, i loro corpi accartocciati in un mucchio patetico.

‘Abbiamo dovuto usare armi da taglio quella notte’, spiega Orić mentre scene di uomini morti affettati da coltelli rotolano davanti alla sua videocamera Sony da 21 pollici. ‘Questa è la casa di un serbo di nome Ratso,’ spiega mentre inquadra una rovina bruciata. ‘Aveva ucciso due dei miei uomini, così le abbiamo dato fuoco. Che sfortuna’.

Reclinato su un divano troppo imbottito, vestito dalla testa ai piedi in tuta mimetica, un’insergna della US Army in bella mostra sul suo cuore, Orić dà l’impressione di un leone nella sua tana. Di sicuro, il comandante musulmano è il tipo più duro in questa città, che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha dichiarato ‘zona di sicurezza’ protetta”.

(“Weapons, Cash and Chaos Lend Clout to Srebrenica’s Tough Guy”, John Pomfret, Washington Post Foreign Service, The Washington Post, 16 febbraio 1994.)

2. “Orić, uno dei più sanguinari guerrieri ad aver mai attraversato un campo di battaglia, è fuggito da Srebrenica prima della sua caduta. Alcuni credono che stia conducendo le forze musulmane bosniache nelle vicine enclavi di Zepa e Gorazde. Ieri sera queste forze si sono impadronite di corazzati da trasporto truppa e di altre armi dei caschi blu al fine di proteggere meglio se stesse.

Orić è un uomo terribile, ed è fiero di esserlo.

L’ho incontrato nel mese di gennaio del 1994, nella sua casa a Srebrenica circondata dai serbi.

In una notte fredda e nevosa, mi sono seduto nel suo salotto a guardare una scioccante versione video di quello che potrebbe essere stato chiamato “I più grandi successi di Nasir Orić”.

C’erano case in fiamme, cadaveri, teste mozzate, e persone in fuga.

Orić ha sorriso per tutto il tempo, ammirando la sua opera.

‘Li abbiamo presi in un’imboscata,’ ha detto quando un certo numero di serbi morti è apparso sullo schermo.

La successiva serie di cadaveri era stata fatta a pezzi con esplosivi: ‘Abbiamo lanciato quei ragazzi fin sulla luna,’ si vantava.

Quando sono apparse le riprese di una città fantasma colpita da proiettili ma senza corpi visibili, Orić si è affrettato ad annunciare: ‘Là abbiamo ucciso 114 serbi’.

In seguito ci sono stati festeggiamenti, con cantanti con voci traballanti che cantavano le sue lodi”.

(“Fearsome Muslim warlord eludes Bosnian Serb forces”, di Bill Schiller, The Toronto Star, 16 luglio 1995)

Né queste né altre testimonianze molto più grafiche e dirette sono state giudicate sufficienti perché il TPIJ condannasse Orić.

11. Srebrenica era stata veramente smilitarizzata, in linea con il suo status di area protetta delle Nazioni Unite?

Nonostante l’accordo raggiunto a maggio del 1993, in base al quale l’enclave di Srebrenica era stata dichiarata “zona di sicurezza” delle Nazioni Unite, non è mai stata smilitarizzata, come si evince dalle seguenti dichiarazioni:

1. Rapporto del Segretario Generale delle Nazioni Unite del 30 maggio 1995:

“Negli ultimi mesi, le forze governative hanno notevolmente aumentato la loro attività militare nella maggior parte delle zone di sicurezza e nei loro dintorni, e molte di loro, tra cui Sarajevo, Tuzla e Bihac, sono state incorporate nella campagna militare più ampia da parte del governo… Il governo mantiene anche un numero considerevole di truppe a Srebrenica (in questo caso una violazione di un accordo di smilitarizzazione), Gorazde e Zepa, mentre Sarajevo è la posizione del Comando generale dell’esercito governativo e di altre installazioni militari”.

(documento delle Nazioni Unite S/1995/444).

2. Yasushi Akashi, ex capo delle Nazioni Unite della missione in Bosnia-Erzegovina, in un articolo per il Washington Times del 1 Novembre, 1995, ha scritto:

“È un fatto che le forze governative bosniache hanno utilizzato le ‘zone sicure’ [che avrebbero dovuto essere smilitarizzate] non solo a Srebrenica, ma a Sarajevo, Tuzla, Bihac, Gorazde per la formazione, recupero e rimessa a nuovo delle loro truppe.”

3. Rapporto dell’Istituto olandese per la documentazione bellica (NIOD), Srebrenica, una zona “sicura”, aprile 2002:

“La presunta smilitarizzazione nell’enclave è rimasta praticamente lettera morta. L’esercito bosniaco (ABiH) ha seguito una strategia deliberata di compiere azioni militari limitate a legare una parte relativamente importante del personale dell’esercito bosniaco-serbo (VRS) per evitare che si dirigesse a piene forze sulla zona principale intorno a Sarajevo. Questo è stato fatto anche dall’enclave di Srebrenica. Le truppe dell’ABiH non hanno esitato a rompere tutte le regole negli scontri con il VRS. Hanno provocato il fuoco dei bosniaco-serbi e poi hanno cercato la copertura del DutchBat (battaglione olandese), che ha poi corso il rischio di essere preso tra due fuochi”.

12. Qual era la forza comparativa delle forze bosniaco-serbe intorno a Srebrenica e le forze bosniaco-musulmane all’interno della “zona smilitarizzata” nell’enclave di Srebrenica, all’inizio del luglio 1995?

Il documentario norvegese “Srebrenica: una città tradita”, diretto da Ola Flyum e David Hebditch (2011) fornisce la cifra di 400 regolari dell’esercito bosniaco-serbi, oltre a circa 1.600 abitanti armati.

Philip Hammond, “La stampa del Regno Unito su Srebrenica”, Valutazioni dello Srebrenica Research Group:

“Forse la spiegazione più interessante è quella offerta dal corrispondente della difesa del Times, Michael Evans, in un rapporto del 14 luglio in prima pagina dal titolo ‘i soldati musulmani non sono riusciti a difendere la città dai serbi’, che si basava su fonti dei servizi militari e dell’intelligence. L’articolo osserva che le forze bosniaco-musulmane a Srebrenica ‘hanno offerto solo una breve resistenza… e i loro comandanti hanno lasciato la città la sera prima dell’ingresso dei carri armati serbi’. Secondo una ‘fonte dell’intelligence’: ‘La BiH si è sciolta via da Srebrenica e gli ufficiali anziani se ne sono andati la sera prima’. Srebrenica era stata effettivamente abbandonata ‘a una relativamente piccola forza serba che avanzava’. Sfidando altri rapporti che affermano che ‘fino a 1.500 serbi sono stati coinvolti nell’aggressione’, Evans ha citato stime dell’intelligence che ‘l’attacco principale è stato effettuato da una forza di circa 200, con cinque carri armati’. Secondo una delle sue fonti di intelligence anonime: ‘Era una operazione piuttosto di basso livello, ma per qualche motivo che non possiamo comprendere i soldati (del governo) della Bosnia-Erzegovina non hanno fatto molta resistenza’. Questa descrizione di un ‘operazione piuttosto basso livello’ si trova in netto contrasto con la campagna coordinata di genocidio suggerito dalla copertura successiva”.

Per quanto riguarda la consistenza delle forze bosniaco-musulmane, il documentario norvegese parla del loro numero di “circa 5.500 soldati”.

Il generale musulmano Sefer Halilović ha testimoniato presso il TPIJ che c’erano almeno 5.500 soldati bosniaco-musulmani a Srebrenica, dopo aver ottenuto lo status di “zona di sicurezza”, e che aveva personalmente organizzato numerose forniture di armi sofisticate in elicottero.

Questo è confermato da John Schindler, ex analista capo per la Bosnia-Erzegovina presso la National Security Agency (NSA) americana, che ha dichiarato nel documentario norvegese che la “zona demilitarizzata” di Srebrenica era stata armata per mezzo di “voli neri” che le forze delle Nazioni Unite erano state incapaci di fermare, perché lo spazio aereo della Bosnia-Erzegovina era sotto il controllo della NATO, cioè degli Stati Uniti.

Pertanto, le forze bosniaco-musulmane all’interno della “zona demilitarizzata” a Srebrenica erano sia numericamente superiori alle forze bosniaco-serbe, sia molto ben armate, per gentile concessione della NATO che aveva comodamente chiuso gli occhi. Chiaramente, le forze bosniaco-serbe, sia numericamente che tecnicamente inferiori, non potevano realisticamente concepire o effettuare qualsiasi tipo di “uccisione di massa” o di piano “genocida”. Questa è anche la conclusione dell’Istituto olandese per la documentazione bellica (NIOD), “Srebrenica, una zona ‘sicura’ “:

“Con il senno di poi non ci sono indicazioni che l’incremento dell’attività del VRS in Bosnia orientale, all’inizio del luglio 1995, avesse lo scopo di qualcosa di più di una riduzione della zona di sicurezza di Srebrenica e un’intercettazione della strada principale verso Zepa. Il piano di battaglia era stato redatto il 2 luglio. L’attacco è iniziato il 6 luglio. È stato un tale successo e così poca resistenza è stata offerta che è stato deciso in tarda serata del 9 luglio si fare pressione e di vedere se era possibile prendere l’intera enclave “.

13. Qual è l’argomentazione principale dietro l’affermazione di ispirazione occidentale che un “genocidio” ha avuto luogo a Srebrenica?

Il primo grande giudizio del TPIJ, che ha reso il più grande contributo alla costruzione della “versione ufficiale”, secondo la quale è stato commesso un “genocidio” a Srebrenica nel luglio 1995, è stato nel caso del generale dell’esercito bosniaco-serbo Radislav Krstić, processato nel mese di agosto 2001.

Così la professoressa britannica Tara McCormack ha riassunto il giudizio contro Krstić:

“L’impresa criminale congiunta (Joint criminal enterprise) è una nuova categoria che non prevede le prove che l’imputato avesse alcun intento diretto di commettere il crimine, o che ne fosse a conoscenza. Al processo di Krstić si è stabilito che Krstić non era a conoscenza di alcun omicidio che fosse stato commesso, e in nessun modo vi aveva partecipato. Inoltre, il TPIJ ha anche accettato che Krstić aveva personalmente dato ordine che i civili musulmani bosniaci non fossero toccati. La sua condanna è stata motivata dal fatto che aveva partecipato a una ‘impresa criminale’, la cattura di Srebrenica”.

(“Come Srebrenica è riuscita a diventare un racconto morale”, Spiked-online, 3 agosto 2005)

Nelle parole di Michael Mandel, professore di diritto internazionale presso la York University di Toronto:

“Ma se il caso Krstić si distingue per qualcosa, si distingue per il fatto che non è avvenuto alcun genocidio a Srebrenica. E la conclusione della Corte che è stato davvero un genocidio può essere considerata una forma giuridica di propaganda e un altro contributo alla diffusione dell’immagine del Tribunale come ‘strumento politico’ più che come ‘istituzione giuridica’, parafrasando il suo più celebre imputato.

L’affermazione del Tribunale che un genocidio è avvenuto a Srebrenica non è stata sostenuta dai fatti che ha trovato o dalla legge che ha citato. Anche la conclusione del tribunale di primo grado che ‘le forze bosniaco-serbe hanno giustiziato diverse migliaia di uomini bosniaco-musulmani [con il] numero totale delle vittime… probabilmente tra i 7.000 e gli 8.000 uomini’ non è stata sostenuta dai suoi rilevamenti espliciti. Il numero di corpi riesumati ammontava a soli 2.028, e il tribunale ha ammesso che anche un certo numero di questi era morto in combattimento, arrivando di fatto a dire che le prove ‘suggerivano’ soltanto che ‘la maggior parte’ degli uccisi non era stata uccisa in combattimento: ‘I risultati delle indagini forensi suggeriscono che la maggior parte dei corpi riesumati non è stata uccisa in combattimento; è stata uccisa in esecuzioni di massa’.”

(“Il TPIJ lo chiama ‘genocidio’,” Srebrenica Research Group, 2005)

Efraim Zuroff, direttore del Centro Simon Wiesenthal e certamente una delle principali autorità su ciò che costituisce un genocidio, ha avuto da dire quanto segue circa la qualificazione di Srebrenica come “genocidio”, in una dichiarazione rilasciata nel mese di giugno 2015 al quotidiano belgradese Politika:

“Per quanto ne so, ciò che è successo lì non si adatta alla descrizione o alla definizione di genocidio e credo che la decisione di chiamarla genocidio sia stata adottata per motivi politici”.

14. Una commissione governativa della Republika Srpska ha veramente “ammesso il genocidio” nel suo Rapporto 2004?

No. Nella sua relazione, la Commissione ha usato il termine “genocidio” citando solo il giudizio del TPIJ contro il generale dell’esercito bosniaco-serbo Radislav Krstić. La Commissione non ha accettato la cifra di “8.000 prigionieri giustiziati”, concludendo invece che c’era una lista di 7.108 nomi di persone segnalate come disperse tra il 10 e il 19 luglio 1995. La Commissione, inoltre, non ha affermato che tutte le persone sulla lista sono state uccise o disperse. Invece, ha dichiarato che l’elenco contiene persone uccise in operazioni di guerra prima del 1995, così come morti per cause naturali, mentre altri sono stati trovati dopo aver cambiato la loro identità e il loro luogo di residenza, o stanno scontando pene detentive per attività criminali.

La relazione stessa è stata prodotta in circostanze molto irregolari, sotto pressione diretta dell’Alto rappresentante per la Bosnia-Erzegovina, Paddy Ashdown, come descritto dal professore emerito Edward Herman della University of Pennsylvania:

“I bosniaco-serbi in realtà hanno prodotto un rapporto su Srebrenica nel settembre 2002, ma la relazione è stata respinta da Paddy Ashdown perché non giungeva alle dovute conclusioni. Ha quindi forzato un ulteriore rapporto licenziando un gran numero di politici e analisti della Republika Srpska, minacciando il governo della RS, e, infine, estraendo un rapporto preparato da persone che sarebbero venute alle conclusioni ufficialmente riconosciute. Questo rapporto, pubblicato in data 11 giugno 2004, è stato poi salutato dai media occidentali come una conferma significativa della linea ufficiale – il ritornello era che i serbi bosniaci “ammettevano” il massacro, cosa che dovrebbe finalmente risolvere i problemi”.

(“La politica del massacro di Srebrenica”, 7 luglio 2005, Global Research.org)

Come promemoria, secondo la legge generale e internazionale, gli atti commessi sotto coercizione non possono essere considerati legittimi.

Conclusioni

Dopo 20 anni, con tutta l’attenzione e la ribalta dei media, l’unica conclusione che può essere affermata con certezza è che nulla di certo è stato determinato quando si tratta di Srebrenica. Il numero delle vittime di crimini di guerra è ancora da determinare, come lo è il numero delle vittime totali, sia da parte bosniaco-musulmana sia da parte bosniaco-serba. La ragione principale di questo fallimento sta nel fatto che, nel caso di Srebrenica, la politica e gli interessi pragmatici hanno affossato la giustizia e la ricerca della verità. Solo una commissione indipendente, rappresentativa e internazionale per la verità su Srebrenica potrebbe stabilire la piena verità. È giunto il momento che tale commissione sia istituita.

In sintesi, questo è ciò che è noto su Srebrenica, dopo 20 anni:

– Non vi è alcun collegamento stabilito tra esecuzioni di prigionieri e le strutture ufficiali della Repubblica di Serbia o della Republika Srpska;

– Le esecuzioni di prigionieri che hanno avuto luogo sono state effettuate da un piccolo numero di persone, di varie nazionalità, cosa che azzera le pretese di ogni sorta di “colpa serba” collettiva riguardo a Srebrenica;

– Il numero di prigionieri dei quali si può dire con un alto grado di certezza che siano stati vittime di esecuzione – è da 10 a 20 volte inferiore al numero di “7.000-8.000” continuamente acriticamente promosso nei mass media. L’unica ragione plausibile per questa esagerazione infondata è l’intento di costruire artificialmente un’immagine di “colpa serba” collettiva come giustificazione per un’ingerenza permanente nei Balcani, così come una giustificazione dell’intervento occidentale in tutto il mondo, per “motivi umanitari”, per “prevenire nuove Srebrenica”;

– Il numero finora dimostrato di prigionieri giustiziati, uccisi da persone che sono state o condannate a pene detentive, o sono state in seguito impegnate come mercenari occidentali in Africa, è inferiore al numero di civili serbi uccisi e massacrati a Srebrenica e nei dintorni – un reato del quale nessuno ha risposto, né c’è chi per questo cerca di applicare l’etichetta di “genocidi” ai bosniaco-musulmani.

Pertanto, la Serbia, la Republika Srpska e il popolo serbo nel suo complesso non sono obbligati a chiedere collettivamente scusa per tutto ciò che è accaduto a Srebrenica, e non solo nel luglio 1995, ma durante tutto il tempo della guerra civile in Bosnia-Erzegovina, tra il 1992 e il 1995 .

Se ci sono scuse e ammissioni di colpa dovute, queste sono dovute da parte:

a) dei funzionari degli Stati Uniti che hanno continuamente sabotato gli sforzi per raggiungere una soluzione pacifica in Bosnia-Erzegovina, dal fallito Piano di Lisbona del marzo 1992, nel quale i bosniaco-serbi erano perfino disposti a accettare una Bosnia-Erzegovina indipendente e la separazione dall’ex Jugoslavia, al Piano Owen-Stoltenberg del 1993,

b) della leadership bosniaco-musulmana guidata dall’ex presidente Alija Izetbegović, che ha rifiutato le iniziative di pace di cui sopra, ha fatto attivamente arrivare migliaia di combattenti mujaheddin in Bosnia-Erzegovina durante la guerra, e ha compiuto azioni deliberate che hanno sabotato gli sforzi di pace, al fine di provocare un intervento guidato dagli Stati Uniti in Bosnia-Erzegovina e nei Balcani, e

c) da tutti coloro che hanno ostacolato gli sforzi per arrivare alla verità non adulterata riguardante Srebrenica, come unica strada percorribile per raggiungere la giustizia autentica, punire i veri colpevoli e aprire la strada a una riconciliazione sincera e duratura nei Balcani.

Luglio 2015

Belgrado, Den Haag, Washington

FONTE http://thesaker.is/

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Ho suddiviso (per una migliore leggibilità)  l’articolo originale riportato da  SAKER in 4 parti (compresa questa pagina) di autori diversi:

Rapporto speciale: La verità su Srebrenica 20 anni dopo

SREBRENICA 1995-2015: Solo i fatti, senza propaganda o abbellimenti  (questa pagina)

Srebrenica quindici anni dopo – la questione delle prove

Una sfida responsabile alla narrativa di Srebrenica

Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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