Srebrenica quindici anni dopo – la questione delle prove

di George Bogdanich e Jonathan Rooper – fonte Saker

La condotta dei recenti processi internazionali per i crimini di guerra della ex Jugoslavia rivela che le considerazioni politiche tendono a sopprimere i fatti dimostrabili. L’arresto dell’ex leader serbo-bosniaco Radovan Karadžić lo scorso anno è stato commentato da entrambe le sponde dell’Atlantico come se fosse stato chiaramente stabilito che fu lui la “mente” degli eventi sanguinosi a Srebrenica, e che circa “7.000-8.000” uomini e ragazzi in età da combattimento sono stati uccisi dalle forze bosniaco-serbe nel luglio del 1995. Molti dei commenti implicavano che il processo sarebbe stato una semplice formalità che avrebbe ostacolato una rapida giustizia. Ma negli ultimi quattordici anni è emersa una buona quantità di prove, che mette in dubbio la versione ufficiale, il numero delle vittime e la capacità del Tribunale penale internazionale per la Jugoslavia (TPIJ) a emettere sentenze giuste in un caso che ha attirato l’interesse di tutto il mondo.

Vale la pena notare che l’incriminazione di Karadžić nel luglio 1995 da parte del Tribunale penale internazionale per la Jugoslavia (TPIJ) è stata emessa prima che fosse stata compiuta un’indagine ufficiale e molto prima che i fatti fossero stati stabiliti. Così pure lo è stato l’uso ripetuto della cifra di 7.000-8.000 vittime da parte del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti in un momento in cui i profughi musulmani di Srebrenica continuavano ad arrivare al centro rifugiati delle Nazioni Unite presso l’aeroporto di Tuzla.

La natura apertamente politica delle azioni del TPIJ è venuta alla luce quando i primi atti d’accusa contro Karadžić e il generale dell’esercito bosniaco-serbo Ratko Mladić sono stati annunciati il ​​27 luglio 1995 (due settimane dopo la cattura di Srebrenica dell’11 luglio): Antonio Cassese, nominato Presidente del TPIJ dagli Stati Uniti, ha applaudito l’azione come “un grande risultato politico”[1] aggiungendo: “L’accusa significa che questi signori non saranno in grado di partecipare a negoziati di pace”.
L’inviato Usa Richard Holbrooke è stato ugualmente schietto circa l’utilità politica del Tribunale da allora in poi, quando ha detto alla BBC “il Tribunale per i crimini di guerra è stato uno strumento
enormemente prezioso. Lo abbiamo utilizzato per mantenere i due più ricercati criminali di guerra in Europa al di fuori del processo di Dayton e lo abbiamo utilizzato per giustificare tutto ciò che ne è seguìto”[2].

Nel suo libro di memorie[3] pubblicato lo scorso anno, l’ex procuratore capo del TPIJ Carla Del Ponte riconosce che il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, che faceva inesorabili pressioni per l’incriminazione dei leader serbi, ha mostrato poco interesse o cooperazione nel perseguire gravi crimini di guerra da parte delle forze croate e musulmane contro civili serbi in Croazia, Bosnia e Kosovo. Del Ponte è stata bruscamente rimossa dalla sua altra posizione come procuratore capo del Tribunale internazionale i crimini di guerra del Ruanda, quando ha informato il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti della sua intenzione di investigare i crimini del Fronte patriottico ruandese sostenuto dagli Stati Uniti. Apparentemente è stata castigata dall’esperienza. Al pubblico non sono mai state raccontate le indagini del TPIJ sulla responsabilità per crimini di guerra autorizzati dal presidente croato Franjo Tudjman e dal presidente bosniaco Alija Izetbegović fino a dopo la loro morte, quando ormai i casi erano stati secretati.

In questo contesto, non è sorprendente che anche un critico feroce dei bosniaco-serbi, l’ex giornalista della BBC Martin Bell, abbia dichiarato che lo stesso TPIJ, così come il signor Karadžić, dovrà essere processato. “Il tribunale di crimini di guerra è la corte di un pubblico ministero”, ha osservato, “più interessato a ottenere condanne che a fornire giustizia”[4].

La versione ufficiale del TPIJ sugli eventi di Srebrenica – i serbi che entrano in una “zona di sicurezza” delle Nazioni Unite e massacrano musulmani innocenti mentre un battaglione delle Nazioni Unite non è riuscito a proteggerli – ha effettivamente servito gli scopi politici degli Stati Uniti, che erano quelli di preparare l’opinione pubblica per l’operazione Deliberate Force, una lunga campagna pianificata di bombardamento statunitense contro obiettivi bosniaco-serbi due settimane dopo la cattura dell’enclave. A questa sarebbe seguita nove giorni dopo il massiccio attacco dell’esercito croato con appoggio statunitense conosciuto come operazione Storm, che ripulì 200.000 persone di etnia serba che vivevano nelle zone protette dalle Nazioni Unite nella regione della Krajina in Croazia.

Le incursioni Terra Bruciata del 1992-1993 e il ciclo della violenza

Per coloro che volevano vedere, però, non ci volle molto per intravedere la verità dietro l’immagine manichea dei musulmani innocenti e dei serbi cattivi promossa dai politici statunitensi e dei sedicenti “giornalisti di complemento” come Martin Bell. Il documentario della BBC “Lies and Allies” (Bugie e alleati) descrive in dettaglio come gli Stati Uniti hanno contribuito a facilitare le spedizioni di armi in grandi aerei cargo C-130 alle forze musulmane all’aeroporto di Tuzla. Queste spedizioni sono poi volate in elicottero a Zepa e Srebrenica secondo l’ex comandante generale dell’esercito musulmano Halilović e hanno trasformato le presunte “zone sicure”, come Srebrenica e Gorazde, in aree di partenza per gli attacchi dei musulmani contro i vicini villaggi serbi, progettati per provocare una reazione della Serbia che avrebbe portato agli attacchi aerei della NATO.
Nella testimonianza davanti all’Aia nel 2001, il generale Sefer Halilović, ex comandante dell’esercito musulmano della Bosnia Erzegovina, ha riconosciuto che l’Alto Comando del governo bosniaco ha dato “un gran numero di ordini per operazioni di sabotaggio a partire dalle aree di sicurezza” contro i villaggi serbi[5].

Poco dopo lo scoppio della guerra in Bosnia, la popolazione serba di Srebrenica ha cominciato ad essere scacciata dal signore della guerra musulmano Naser Orić, che da allora in poi ha guidato la 28° divisione in raid di terra bruciata contro numerosi villaggi serbi, uccidendo i civili, il loro bestiame, e guadagnandosi una reputazione di estrema brutalità.
A Orić era chiaro che, con il sostegno acritico degli Stati Uniti al governo Izetbegović, avrebbe potuto agire impunemente. Ha perfino videoregistrato alcuni dei suoi massacri, comprese le teste mozzate dei serbi, mostrando queste videocassette a John Pomfret del Washington Post e a Bill Schiller del Toronto Star. Schiller scrive che Orić era “uno dei più sanguinari guerrieri ad aver mai attraversato un campo di battaglia”[6] e poi racconta una visita alla casa del signore della guerra nel gennaio 1994:

In una notte fredda e nevosa, mi sono seduto nel suo salotto a guardare una scioccante versione video di quello che potrebbe essere stato chiamato “I più grandi successi di Nasir Orić”. C’erano case in fiamme, cadaveri, teste mozzate, e persone in fuga. Orić ha sorriso per tutto il tempo, ammirando la sua opera. ‘Li abbiamo presi in un’imboscata,’ ha detto quando un certo numero di serbi morti è apparso sullo schermo.
La successiva serie di cadaveri era stata fatta a pezzi con esplosivi: ‘Abbiamo lanciato quei ragazzi fin sulla luna,’ si vantava. Quando sono apparse le riprese di una città fantasma colpita da proiettili ma senza corpi visibili, Orić si è affrettato ad annunciare: ‘Là abbiamo ucciso 114 serbi’.
In seguito ci sono stati festeggiamenti, con cantanti con voci traballanti che cantavano le sue lodi”[7].

Il comandante generale delle Nazioni Unite Phillipe Morillon, che ha prestato servizio nel 1992 e nel 1993 nel corso di questi massacri, ha detto al procuratore del TPIJ: “Naser Orić compiva attacchi durante le feste ortodosse e distruggeva villaggi, massacrando tutti gli abitanti. Questo ha creato un livello di odio piuttosto straordinario nella regione”[8].
Un rapporto del ricercatore di Belgrado Milivoje Ivanisević, che ha documentato le violazioni dei diritti umani contro i civili bosniaco-serbi dal 1992, osserva che “sui 93 insediamenti serbi nei distretti di Srebrenica e Bratunac, 82 sono stati distrutti”[9]. Nel 2005, il Centro di inchiesta sui crimini contro il popolo serbo ha pubblicato una lista di 3.262 serbi della regione che sono stati uccisi dalle unità di Orić. Di questi, 880 erano membri di organizzazioni militari o di polizia. I restanti 2.382 sono civili e i loro nomi sono stati pubblicati in Vecernje Novosti, un quotidiano di Belgrado, nel 2005.
Ivanisević ricorda che non un solo nome è stato contestato durante l’anno e mezzo prima del rilascio del rapporto completo nel 2007.

Orić non era un comandante canaglia che agiva di propria iniziativa.
Come ha testimoniato Morillon: “Il regno di Naser Orić implicava una conoscenza approfondita del territorio tenuto dalle sue forze. Mi sembrava che stesse seguendo istruzioni politiche provenienti dalla presidenza [bosniaca]”[10]. Nonostante le responsabilità della sua 28° divisione in massacri ben documentati di abitanti serbi[11], molti dei quali erano residenti anziani che non potevano fuggire, il governo di Izetbegović gli ha conferito il Giglio d’Oro, la più alta decorazione militare della Bosnia. Quando i serbi hanno formato il corpo della Drina nel 1993 per fermare gli attacchi, Morillon ha aiutato a negoziare un accordo che avrebbe dovuto smilitarizzare Srebrenica, ma l’ONU non ha mai dato al battaglione olandese che sovrintendeva l’enclave l’autorità di mettere in pratica i termini dell’accordo.
La 28° divisione Orić non solo è rimasta nel luogo in violazione dell’accordo, ma ha ricevuto aerei interi di armi illegali dall’Iran e da altri Paesi del Medio Oriente, facilitato dalla Defense Intelligence Agency degli USA[12].

Il Rapporto del governo olandese in contrasto con la versione ufficiale

Il presidente bosniaco-serbo Radovan Karadžić è stato la “mente” della carneficina in seguito alla presa di Srebrenica nel luglio del 1995? Il completo rapporto del governo olandese del 2002 su Srebrenica, i cui autori hanno avuto accesso a tutti i documenti pertinenti dell’intelligence – americana, serba, bosniaco-musulmana, tedesca, olandese – ha prodotto una grande quantità di informazioni, ma nessuna che colleghi Karadžić alle atrocità in seguito alla cattura di Srebrenica.

Il rapporto del governo olandese rileva che Karadžić aveva autorizzato una piccola unità dell’esercito bosniaco-serbo a ridurre la sacca di Srebrenica occupando la parte meridionale della zona di sicurezza per prevenire gli attacchi in corso da parte delle forze musulmane a Srebrenica contro i vicini villaggi serbi come Visnica, che era stato aggredito la settimana prima. L’ex Comandante Generale musulmano Sefer Halilović conferma che circa 200 soldati serbi sostenuti da cinque carri armati erano entrati nella sacca il 6 luglio 1995[13]. L’unità bosniaco-serba era stata sorpresa di trovare resistenza da parte della ben armata 28° divisione (che, secondo la testimonianza di un altro comandante musulmano, il generale Enver Hadzihasanović, alloggiava da 5.500 a 6.000 soldati in città).

Le forze musulmane avevano un vantaggio numerico di 25 a 1. Ma entro il 9 luglio, alla 28° divisione e alla maggior parte dei civili maschi di Srebrenica in età da combattimento era stato ordinato di lasciare la città.
L’analista militare britannico Tim Ripley ha scritto che le truppe olandesi dell’ONU, sorprese, “hanno visto truppe bosniache in fuga da Srebrenica muoversi oltre i loro punti di osservazione, portando armi anticarro nuove di zecca, ancora nelle loro confezioni di plastica. Questo e altri rapporti simili hanno insospettito molti ufficiali delle Nazioni Unite e giornalisti internazionali”[14]. Gli uomini musulmani si sono raggruppati il ​​giorno successivo nel vicino villaggio di Susnjari. Intanto donne, bambini e uomini per lo più anziani sono partiti per il villaggio di Potočari.

Secondo il rapporto del governo olandese, il fatto che che la numerosa 28° divisione musulmana aveva abbandonato la sua posizione sicura a Srebrenica, ha incoraggiato i bosniaco-serbi a catturare la città, cosa che hanno deciso di fare la sera del 9 luglio La relazione olandese sottolinea che in un ordine scritto del Generale Tolimer: “Karadžić aveva stabilito che la sicurezza dei soldati della UNPROFOR e della popolazione doveva essere garantita. Ordini in tal senso dovevano essere forniti a tutte le unità partecipanti. La sicurezza della popolazione dovrebbe essere garantita anche nel caso in cui tentasse di attraversare il territorio della Republika Srpska.
Gli ordini non facevano menzione di un trasferimento forzato della popolazione. Alle unità VRS [esercito bosniaco-serbo] doveva essere ordinato di non distruggere alcuna struttura civile a meno che non incontrassero resistenza. Gli edifici non dovevano essere messi a fuoco. Un’istruzione finale, anche questa significativa, era che la popolazione e prigionieri di guerra dovevano essere trattati in conformità con la Convenzione di Ginevra
[15].

L’11 luglio, questa piccola unità di bosniaco-serbi entrò nella città di Srebrenica quasi vuota. Il battaglione olandese delle Nazioni Unite (DutchBat) aveva richiesto in precedenza quel giorno un attacco aereo della NATO contro obiettivi serbi, ma con scarsi risultati, perché i difensori musulmani avevano lasciato la città. I rapporti ufficiali notano che è stato inflitto poco danno fisico alla città e che l’unico soldato dell’ONU ucciso a Srebrenica era stato colpito da un membro in ritirata della 28° divisione musulmana.

Sotto lo sguardo di osservatori internazionali, le forze bosniaco-serbe fornirono autobus a Potočari per almeno 25.000 donne e bambini di Srebrenica che volevano andare a Tuzla, tenuta dai musulmani. Un piccolo gruppo di uomini per lo più anziani – meno di un migliaio, secondo fonti delle Nazioni Unite – è stato brevemente incarcerato dopo un interrogatorio su un possibile coinvolgimento in crimini di guerra della 28° divisione. Circa 796 uomini musulmani sono stati autorizzati a recarsi a Zepa, vicino al confine con la Serbia, che a sua volta è stata in seguito catturata dai bosniaco-serbi[16].

La stragrande maggioranza della popolazione maschile musulmana di Srebrenica ha rifiutato le offerte di resa. Si erano trasferiti a Susnjari il 9 e il 10 luglio, confidando che i serbo-bosniaci fornissero un passaggio sicuro per la popolazione civile. Questi soldati musulmani e i maschi di età militare hanno scelto di farsi strada attraverso il territorio tenuto dai serbi per arrivare a Tuzla. Molti sono morti combattendo in una serie di scontri e su numerosi campi minati sulla strada per Tuzla, secondo la testimonianza sia musulmana sia serba.

Da mercenario sanguinario a testimone stellare

Drazen Erdemović, uno di sei croati insieme a un musulmano e uno slovena in una unità di mercenari di otto uomini che era diventata vagamente attaccata all’esercito bosniaco-serbo, è stato consegnato al Tribunale per i crimini di guerra nel 1996, quando è stato arrestato in Serbia dopo essere stato ferito in una sparatoria tra ubriachi con i suoi ex compagni.

Gli psichiatri del Tribunale per i crimini di guerra hanno valutato l’idoneità mentale di Erdemović e il TPIJ ha deciso che la sua testimonianza non poteva essere utilizzata nel processo a suo carico. Eppure, questa stessa testimonianza molto dubbia è stata utilizzata secondo la controversa regola 61 degli atti del Tribunale penale – una sorta di “processo a mezzo stampa” che ha permesso ai pubblici ministeri di far apparire ogni sorta di accuse non documentate contro Karadžić e Mladić senza alcuna possibilità di contro-interrogatorio da parte degli avvocati della difesa, al fine di esercitare una pressione pubblica per l’arresto dei leader serbo-bosniaci. Anche se aveva ammesso di aver partecipato a reati gravi, Erdemović ha ricevuto una mite condanna a cinque anni (di cui tre e mezzo già scontati), perché, secondo un funzionario del tribunale, egli “aveva contribuito al clamore pubblico per l’arresto di Radovan Karadžić”. Il TPIJ non è riuscito fino ad oggi a perseguire altri membri del gruppo omicida di Erdemović, che avrebbero potuto contraddire la testimonianza di Erdemović o far luce sugli eventi.

Fortunatamente, un autore tedesco di origine bulgara di nome Germinal Chivikov ha indagato su Erdemović e recentemente ha colmato le cruciali lacune informative con il suo libro in tedesco “Srebrenica: Der Kronzeuge (il testimone stellare)” (Wien: Promedia 2009) un resoconto meticolosamente documentato e persuasivo delle attività di questa unità mercenaria. Una delle scoperte principali è che l’unità di Erdemović era in realtà in congedo a seguito della cattura di Srebrenica quando Erdemović avrebbe sostenuto di aver eseguito condanne a morte.
Chivikov conclude che il racconto fatto da Erdemović delle esecuzioni, incluso il numero delle vittime, è fisicamente impossibile. Erdemović ha sostenuto che la sua piccola unità ha ucciso 1.200 uomini in cinque ore allineando dieci uomini per volta e sparando loro[17]. Ma, per farlo, la sua piccola unità di otto soldati avrebbe avuto solo 2,5 minuti per mettere in fila dieci uomini e ucciderli. Se ci volessero solo 10 minuti per allineare e uccidere 10 detenuti, ci sarebbero volute 20 ore per uccidere 1.200 uomini nel modo che Erdemović aveva rivendicato.
Non a caso, i pubblici ministeri del TPIJ hanno parlato nel procedimento giudiziario di “centinaia” di persone uccise da Erdemović e dai suoi sette compagni sanguinari alle fattorie di Branjevo nei pressi di Pilica. Anche questa descrizione esagera il numero delle persone giustiziate da questa unità, perché gli investigatori hanno trovato i resti di 153 persone sul luogo dell’uccisione[18]. Chivikov ha anche osservato che Erdemović aveva detto a un giornalista di War Report di essere stato coinvolto anche in omicidi a Nova Kasaba, ma poi aveva cambiato la sua storia, quando si è scoperto che sosteneva di essere altrove nello stesso giorno in un altro racconto.

La testimonianza di Erdemović smontata dai testimoni

Erdemović dice di aver partecipato alla cattura di Srebrenica l’11 luglio e riconosce che alla sua unità era stato detto dal loro superiore Milorad Pelemis, Comandante del 10° distaccamento di sabotaggio dell’esercito bosniaco-serbo, di non far del male ai civili.
Davanti al Tribunale, ha testimoniato:

Sì, c’era un ordine che non dovevamo far del male ai civili, che i soldati non dovevano far del male ai civili. Quindi, come ho potuto vedere in quel momento, i soldati non sparavano sui civili che si erano arresi[19].

Erdemović ha anche testimoniato che Pelemis non era presente durante le atrocità di cinque giorni dopo, ma sostiene di aver visto Pelemis alla vicina base di Vlasenica un certo numero di volte prima delle uccisioni alle fattorie di Branjevo. Questo, tuttavia, sarebbe stato materialmente impossibile, perché Pelemis era rimasto gravemente ferito il 12 luglio in un incidente in un veicolo di trasposto truppe che aveva ucciso il suo passeggero Dragan Koljivrat. Pelemis è stato portato in un ospedale militare a Belgrado, dove è rimasto fino al 22 luglio. Nel 2004 il superiore di Pelemis, il colonnetto Petar Salapura, un testimone della difesa in un altro caso, ha testimoniato che aveva chiamato il campo di Vlasenica il 13 Luglio e gli era stato detto che Pelemis era in ospedale e gli altri soldati erano in congedo.

Cercando di legare le azioni della sua unità all’Alto comando dell’esercito bosniaco-serbo e di fare la propria parte nel suo accordo con i procuratori del TPIJ, Erdemović ha offerto una storia incredibile; che era stato un soldato semplice della sua unità, di nome Brano Gojković, a dare gli ordini di esecuzione. Secondo questo resoconto, Erdemović, che allora era sergente, Franc Kos, un sottotenente, e altre cinque persone stavano prendendo ordini da questo soldato semplice per effettuare esecuzioni di massa!
Come ha fatto il soldato semplice Gojković a prendere il comando del gruppo e a ordinare a soldati di livello più alto di uccidere soldati prigionieri? Erdemović testimonia che “Egli [Gojković] ha detto che Pelemis era venuto e aveva detto di prepararsi, così concludo, in base a quello, che Pelemis abbia detto a Brano ciò che doveva essere fatto”[20].

Quando era un giovane avvocato che difendeva un sospettato di omicidio, Abramo Lincoln una volta definì il caso del procuratore “più sottile della zuppa ottenuta facendo bollire l’ombra di un piccione morto di fame”. Si potrebbe dare una descrizione simile della testimonianza in continuo cambiamento di Erdemović. Ci sono poche possibilità che sarebbe sopravvisuta in un normale procedimento giudiziario. Per la costernazione dei pubblici ministeri del TPIJ, ma inosservato dai giornalisti, un testimone d’accusa in un caso successivo, chiamato Dragan Todorović, fa a pezzi la testimonianza di Erdemović. Todorović ha testimoniato che Franc Kos, sottotenente di origine slovena, era il comandante dell’unità di Erdemović. Infatti, i giudici del TPIJ avevano in loro possesso di una ricevuta che dimostra che Kos aveva firmato per l’attrezzatura che l’unità avrebbe usato, perché lui solo aveva l’autorità per farlo.

Todorović conferma anche che Pelemis non era a Vlasenica – come sosteneva Erdemović – nei giorni precedenti agli omicidi. Todorović è accorso sul posto dell’incidente di Pelemis il 12 luglio e ha contribuito a portare il corpo del soldato morto a casa dei suoi genitori a Trebinje. Al suo ritorno, Todorović ha cercato di portare dei regali da parte dei genitori del soldato a Pelemis alla base di Vlasenica, ma gli è stato detto che Pelemis non c’era. Todorović testimonia: “Ho chiesto a un soldato alla porta dov’era il signor Pelemis, e lui mi ha detto che [Pelemis] era o a Bijeljina o presso l’ospedale di Belgrado” e gli altri membri del gruppo erano in congedo[21].

La questione per chi lavoravano davvero Erdemović e le sue coorti il 16 luglio, mentre la sua unità era in congedo, è centrale per il caso. Erdemović ha riconosciuto alla corte che il suo gruppo era stato pagato l’equivalente di 1 milione di euro in oro, ma non ha potuto o non ha voluto dire al tribunale che li ha pagati. I procuratori del TPIJ non hanno mostrato alcun interesse nella questione critica del denaro, che è la motivazione principale dei mercenari, presumibilmente perché ciò avrebbe potuto distrarre dal tentativo di collegare questi sanguinari soldati di fortuna al Comando bosniaco-serbo.

Tutto ciò pone la domanda: cui bono? Chi trarrebbe beneficio dalla notizia di un folto gruppo di soldati musulmani giustiziati? Certamente non i bosniaco-serbi. Se o Karadžić o il generale Mladić nutriva il desiderio di compiere un massacro di prigionieri musulmani (con tutto il mondo a che stava a guardare), quant’è probabile che avrebbero affidato il compito a un’unità di mercenari guidati da personalità instabili che aveva combattuto in precedenza sia con le forze governative musulmane sia con la milizia bosniaco-croata HVO? Non è mai stata presentata alcuna prova fisica che lega i leader bosniaci a questa unità mercenaria.

Piuttosto, è stata la testimonianza di un soldato di ventura di nome Drazen Erdemović che ha permesso al TPIJ di condannare il generale Radislav Krstić per genocidio e portare accuse contro Karadžić, il generale Mladić, il presidente serbo Milosević, nonché il generale Vujadin Popović e sette altri leader principali dell’esercito bosniaco-serbo.

In “Srebrenica: il testimone stellare”, Chivikov sostiene che, omettendo di incriminare i sette partner di Erdemović nel crime – o addirittura di farli testimoniare, il TPIJ ha mostrato una straordinaria mancanza di interesse per un resoconto completo di ciò che il Tribunale ha definito ‘la peggiore atrocità in Europa dalla seconda guerra mondiale’. Se il soldato semplice Brano Gojković ha dato l’ordine di esecuzione, perché non è stato arrestato e interrogato? Quando uno dei compagni carnefici di Erdemović, un altro bosniaco-croato chiamato Marko Boskić, è stato arrestato a Boston nel 2004 per non aver rivelato alle autorità di immigrazione degli Stati Uniti il ​​suo servizio in una unità collegata con l’esercito bosniaco-serbo, il Tribunale ha deciso di non estradarlo, anche se Boskić, come è stato riferito, ha ammesso all’FBI di aver preso parte alle esecuzioni alle fattorie di Branjevo. Quando i giornalisti hanno chiesto perché Boskić non veniva estradato, Anton Nikiforov, il portavoce per l’Ufficio del Procuratore, ha risposto che il procuratore doveva concentrarsi a perseguire il “pesce grosso”[22].

Se mai ci fossero stati ordini di effettuare esecuzioni all’unità di Erdemović dai capi dell’esercito bosniaco-serbo, Milorad Pelemis, comandante della 10° divisione di sabotaggio, sarebbe stato il legame con i superiori, come il comando bosniaco-serbo a Han Pijesak. Ma in 12 anni il TPIJ non ha mostrato alcun interesse per far testimoniare Pelemis, mentre la testimonianza di Erdemović ha consentito al TPIJ di condannare un leader bosniaco-serbo dopo l’altro. Perché correre il rischio che altri testimoni più credibili minassero la testimonianza di Erdemović? Tutte le preoccupazioni assillanti di scoprire la verità per quanto riguarda i fatti di sangue alle fattorie di Branjevo – un prerequisito per una vera giustizia – sono state spazzate via dai pubblici ministeri nello sforzo di condannare “pesci grossi”, come Karadžić e Mladić.

I sopravvissuti confermati negano le cifre gonfiate delle vittime

Contrariamente alla versione ufficiale, il conteggio combinato dei sopravvissuti ufficialmente confermati di Srebrenica esclude chiaramente la possibilità che 7.000 o 8.000 uomini siano stati uccisi in battaglia, in campi minati o in esecuzioni. L’accusa del TPIJ al generale bosniaco-serbo Radislav Krstić ha stimato il numero dei residenti di Srebrenica tra 38.000 e 42.000 prima che la città fosse catturata. Sappiamo che l’Onu ha registrato 35.632 rifugiati sopravvissuti all’aeroporto di Tuzla, come riconosciuto dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dal governo bosniaco, secondo il rapporto 1996 di Amnesty International su Srebrenica[23]. Sappiamo anche dalla testimonianza del comandante dell’esercito bosniaco Hadzihasanović, che 3.175 soldati[24] della 28° divisione sono sopravvissuti al combattimento con i bosniaco-serbi attraverso il saliente di Sapna vicino a Tuzla, dove i soldati musulmani si sono raggruppati e sono stati ridistribuiti ad altri teatri di conflitto. Insieme con i 796 soldati musulmani che sono fuggiti a Zepa, che sono stati riconosciuti nella stessa relazione di Amnesty, ci sono stati almeno 39.603 sopravvissuti di Srebrenica ufficialmente confermati.

Anche se si usa la più alta stima fatta dal Tribunale della popolazione di Srebrenica prima della cattura (42.000), sottraendo il numero di sopravvissuti ufficialmente confermati (39.603) si otterrebbero tra 2.000 e 2.400 musulmani uccisi, sia in battaglia, sia a piedi attraverso i campi minati sia per esecuzione.

Gli alti funzionari militari statunitensi, nella posizione migliore per conoscere i fatti, hanno capito fin dall’inizio che i numeri delle vittime di Srebrenica sono stati gonfiati. In un articolo del 1995 su Foreign Affairs, l’ex vice comandante della NATO, Charles Boyd, responsabile dell’intelligence, ha scritto che “fatta eccezione per la quantità di espressioni di panico e di servuizi della CNN”, la portata della violenza intorno a Srebrenica nel 1995 “differiva di poco” dall’attacco croato sostenuto dagli Stati Uniti sulla popolazione serba della zona protetta delle Nazioni Unite nella vicina Slavonia occidentale due mesi prima[25].

Il numero gonfiato di vittime di Srebrenica utilizzato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, tuttavia, è stato fondamentale nella costruzione di un sostegno pubblico per l’intervento militare USA/NATO contro obiettivi serbi verso la fine del luglio 1995. William Perry[26], che ha servito come segretario della Difesa americano durante il conflitto bosniaco, avrebbe osservato anni dopo sul New York Times che “non si va in guerra contro una popolazione a meno di non demonizzarla prima.”

Invece di raccogliere prove preliminari, e decidere quali reati fossero stati commessi, le indagini del TPIJ sono state compromesse dalla necessità di giustificare accuse che erano stata fatte per motivi politici così candidamente offerti da Richard Holbrooke e dal presidente del TPIJ Antonio Cassese. Cinque anni dopo la più grande esumazione di vittime di guerra nella storia, i resti di 2.000 corpi sono stati recuperati in una regione dove per tre anni avevano infuriato aspri combattimenti, e questi risultati sono stati offerti come prova nel processo contro il generale Radislav Krstić, che era a Zepa quando la colonna musulmana con la 28° divisione si è scontrata con le unità bosniaco-serbe del corpo della Drina.

Diverse liste delle vittime ufficiali che utilizzano la cifra da 7.000 a 8.000, tra cui uno redatto dal Comitato Internazionale della Croce Rossa, hanno utilizzato informazioni fornite su questionari compilati da presunti parenti sopravvissuti. Queste informazioni si sono rivelate gravemente carenti, perché includono nomi di persone ancora in vita, persone che sono morte prima della cattura di Srebrenica, e molti altri provenienti da diverse località in Bosnia, così come di 3.000 persone che hanno votato un anno dopo, nel 1996, alle elezioni bosniache sotto le supervisione dell’OCSE[27].

Srebrenica è stata sacrificata?

I funzionari degli Stati Uniti si sono focalizzati sulla responsabilità dei serbi per gli eventi di Srebrenica, ma diversi importanti funzionari hanno musulmani amaramente affermato che Srebrenica è stata “sacrificata” da parte del governo bosniaco per preparare il terreno per l’intervento della NATO.

Uno di loro è Ibran Mustafić, ex sindaco di Sarajevo, che era il capo del partito dominante musulmano SDA a Srebrenica durante la guerra. Era parte del relativamente piccolo numero di uomini di Srebrenica che si erano uniti alle donne e ai bambini a Potočari. È stato interrogato dai bosniaco-serbi, fatto prigioniero e poi rilasciato.

Mustafić, che nel frattempo ha scritto un libro sugli eventi di Srebrenica (“Planned Chaos”) ha detto alla pubblicazione bosniaco-musulmana Slobodna Bosna in una intervista del 1996:

“Lo scenario per il tradimento di Srebrenica è stato consapevolmente preparato. Purtroppo, la presidenza bosniaca e il comando dell’esercito sono stati coinvolti in questo affare; se volete i nomi, dovrete trovarli da soli. Io capivo la situazione a Srebrenica e potete credermi su questo, se non fossi stato prevenuto da un gruppo di criminali, molti più abitanti di Srebrenica sarebbero vivi oggi. Se avessi ricevuto un ordine di attaccare l’esercito serbo dalla zona smilitarizzata, avrei rifiutato di eseguire tale ordine senza pensarci su e avrebi chiesto alla persona che aveva emesso tale ordine di portare la sua famiglia a Srebrenica in modo che io potessi dargli una pistola e lasciarlo a pianificare attacchi dalla zona smilitarizzata. Sapevo che queste mosse vergognose, calcolate, stavano conducendo il mio popolo a una catastrofe”.[28]

Mustafić era sopravvissuto a due tentativi di assassinio da parte di quello che egli chiama il “gruppo di criminali”, guidato da Naser Orić. Ma anche il capo della polizia di Srebrenica, Hakija Meholjić, un sostenitore della linea dura che aveva servito sotto Naser Orić, ritiene che Srebrenica sia stata deliberatamente sacrificata dal governo Izetbegović e dall’alto comando dell’esercito bosniaco per consentire alle forze della NATO di intervenire.

In un’intervista con la pubblicazione bosniaco-musulmana Dani, Meholjić ricorda che in occasione della conferenza bosniaca a Sarajevo nel settembre 1993, Izetbegović aveva affermato di aver discusso vari scenari per Srebrenica con il presidente Clinton. Secondo Meholjić, un alleato di Naser Orić:

Siamo stati ricevuti là dal presidente Izetbegović, e subito dopo l’accoglienza ci ha chiesto: “Cosa ne pensate di scambiare Srebrenica per Vogosca [un sobborgo di Sarajevo]?” C’è stato silenzio per un po’ e poi io ho detto: “signor presidente, se questa è una cosa fatta, allora non avrebbe dovuto invitarci qui, perché dobbiamo tornare e affrontare la gente e accettare personalmente il peso di questa decisione.” Poi lui ha detto: “sapete, mi è stato offerto da Clinton nell’aprile 1993 di lasciare che le forze dei cetnici [un termine derisorio per i serbi] entrino a Srebrenica, compiano un massacro di 5.000 musulmani, e poi ci sarà un intervento militare”.[29]

Meholjić, che è stato scioccato da questa rivelazione di Izetbegović, ha successivamente ripetuto questo resoconto ai produttori di un documentario olandese, che è stato mostrato come prova al Tribunale per i crimini di guerra.[30] Secondo il film, il presidente Izetbegović è stato interrogato dagli investigatori dell’ONU e ha negato di avere detto queste cose. Mentre non vi è alcuna prova, né alcun modo di confermare che il presidente Clinton abbia fatto veramente una tale proposta, per quanto ipotetica, a Izetbegović, ci sono almeno otto testimoni superstiti che confermano ciò che Izetbegović ha dichiarato alla delegazione di Srebrenica.

Nei negoziati tra leader musulmani e bosniaco-serbi, figure anzioane dell’amministrazione Clinton, tra cui Madeleine Albright e Alexander Vershbow, avevano sempre sostenuto che Srebrenica e altre enclavi musulmane isolate come Gorazde dovevano essere scambiate con territori tenuti dai serbi, come Vogosca vicino a Sarajevo. Entrambe le parti si aspettavano che Srebrenica andasse a far parte del territorio serbo in un accordo e per questo motivo i serbi avevano mostrato poco interesse ad assottigliare i loro limitati effettii per catturare l’enclave quando il loro fronte occidentale era sotto pressione da grandi attacchi militari da parte delle forze croato-musulmane in Bosnia occidentale .

Il governo bosniaco ha messo in moto eventi che hanno portato alla cattura di Srebrenica, quando Orić e altri 17 alti comandanti della 28° divisione sono andati via per partecipare a una conferenza bosniaca a Zenica, appena prima di ordinare al gruppo ora senza leader a Srebrenica di impegnarsi in attacchi contro i villaggi serbi nelle vicinanze, attacchi che erano sicuri di provocare una risposta da parte dell’esercito bosniaco-serbo. I funzionari delle Nazioni Unite coinvolti negli eventi condividono la convinzione dei leader musulmani locali, come Mustafić e Meholjić, che il governo di Sarajevo abbia deliberatamente sacrificato Srebrenica per provocare l’intervento militare della NATO contro i serbi. Carlos Martins Branco, vice-capo delle operazioni nelle forze di pace delle Nazioni Unite in Bosnia, scrive: “Le forze assediate [musulmani della 28° divisione] avrebbero potuto facilmente difendere l’enclave.” Dal momento che stavano per essere traditi “era preferibile lasciare che questo accadesse nel modo più vantaggioso possibile”[31].

Michael Evans del London Times ha detto che il fatto che i comandanti dell’esercito bosniaco e una grande divisione “avevano abbandonato la città prima che i serbi ne violassero il perimetro, [era] un segno che era stata presa una decisione di sacrificare Srebrenica per il bene di una strategia politica.”[32]

Prima della sua morte nel 2003, Izetbegović ha liberamente ammesso di aver fatto false accuse nel corso della guerra, nel tentativo di incoraggiare la NATO a bombardare i serbi. Durante una visita nel 1992 al presidente francese Mitterand in Francia, Izetbegović ha accusato i serbi di Bosnia di gestire “campi di sterminio”, accusa che è finita sui titoli dei media in tutto il mondo e ha portato ad audizioni del Congresso degli Stati Uniti. Ma, Bernard Kouchner, attuale ministro degli esteri francese, accompagnato da Richard Holbrooke, ha visitato Izetbegović sul letto di morte, dove il presidente bosniaco ha rinnegato le sue sensazionali accuse contro i serbi.

“Sì”, ha detto Kouchner, “Pensavo che le mie rivelazioni avrebbero potuto precipitare bombardamenti [della NATO]. Sì, ci ho provato, ma l’affermazione era falsa. Non ci sono stati campi di sterminio, qualunque sia stato l’orrore di quei luoghi “[33]. Nel momento stesso in cui Izetbegović stava facendo nel 1992 le sue accuse di “campi di sterminio”, il Comitato Internazionale della Croce Rossa, che aveva visitato i campi di prigionia gestiti dalle tre fazioni nella guerra civile bosniaca, ha dichiarato ufficialmente: “serbi, croati e musulmano hanno avuto tutti campi di detenzione e devono condividere uguale colpa”.

Il governo di Izetbegović ha provocato titoli simili nel dicembre del 1992 quando il suo ministro degli esteri Haris Silajdzić (l’attuale Presidente della Bosnia) ha detto allo show “Today” della NBC che “40-50.000 donne sono state violentate e vengono violentate anche ora, mentre parliamo” dai bosniaco-serbi. Due anni più tardi, dopo approfondite indagini, un rapporto del relatore speciale delle Nazioni Unite Tadeusz Maziowiecki[34] ha stabilito il numero di stupri confermati a 337 da tutte le parti, una scoperta che ha ricevuto poca attenzione da parte delle organizzazioni di notizie che hanno strombazzato le accuse originali del governo bosniaco.

Né Izetbegović è stato titubante a usare la parola “genocidio” senza fondamento quando si adattava ai suoi scopi. Dopo appena una settimana di guerra, il 6 aprile del 1992, Izetbegović stava già usando con i reporter la parola “genocidio”[35]per caratterizzare una breve battaglia tra serbi e musulmani nella città bosniaca orientale di Bijeljina. Questo modello ha continuato ogni volta che il leader bosniaco ha chiesto pubblicamente l’intervento militare della NATO.

Il 9 luglio 1995, due giorni prima che i soldati serbi entrassero nella città vuota di Srebrenica, Izetbegović era già al telefono con i leader mondiali, tra cui il presidente americano Bill Clinton, denunciando “il terrorismo e il genocidio contro i civili di Srebrenica”[36]. A quel tempo, la piccola unità serba, che era entrata nell’enclave da sud, doveva ancora incontrare una seria resistenza da forze musulmane, che erano già in movimento a nord da Srebrenica per riposizionarsi a Susnjari.

Per giustificare le incriminazioni di Karadžić e Mladić, il TPIJ si è dato da fare in modo singolare a supportare e sostenere la stima iniziale di 7.000-8.000 vittime, nonostante la mancanza di prove concrete e alcune incredibili incongruenze nei documenti e negli atti d’accusa ufficiali. Ci sono prove inequivocabili che il governo bosniaco e il TPIJ abbiano assommato le vittime di tutta la Bosnia con quelle di Srebrenica per arrivare alla cifra ufficiale gonfiata. Per esempio, una nota interna scritta dal demografo del TPIJ Ewa Tabeau nel 2008[37] afferma che su un totale di 7.661 uomini musulmani presumibilmente mancante da Srebrenica, 5.371 erano soldati dell’esercito bosniaco e che 3.481 di questi erano stati identificati dai resti scavati alla data del suo memo. Ma le statistiche di Tabeau provengono dalle stesse fonti ufficiali dell’esercito bosniaco, tra cui la “Commissione internazionale per i dispersi” (ICMP), sponsorizzata dal governo, fonti che hanno ripetutamente invocato il numero gonfiato dei morti di Srebrenica.

Il problema del TPIJ è che gli alti comandanti dell’esercito bosniaco – i generali Halilović e Hadzihasanović – avevano già testimoniato sotto giuramento nel 2001, che il numero totale dei membri bosniaci dell’esercito a Srebrenica era di circa 5.500, e che 3.175 soldati musulmani della 28° divisione erano sopravvissuti alla fuga sanguinosa attraverso il territorio bosniaco-serbo.

Il presidente bosniaco Alija Izetbegović, in un momento di distrazione alla televisione di Sarajevo un mese dopo la presa di Srebrenica, ha riconosciuto che “3.400 soldati”[38] erano riusciti a raggiungere il territorio “libero”, cioè tenuto da musulmanoi, vicino a Tuzla, una cifra leggermente più alta e arrotondata di quella che i suoi generali avrebbero usato nella loro testimonianza. In un’altra occasione ha detto alla radio di Sarajevo che le truppe superstiti sono stati inviate per unirsi ai combattenti intorno a Bihac nel nord-ovest della Bosnia.

Dato che almeno 3.000 soldati di una unità di 5.500 sono sopravvissuti, come potrebbero 5.371 soldati essere ritenuti dispersi dal TPIJ? Se i “dispersi” erano in realtà soldati bosniaci, ovviamente, non avrebbero potuto essere quelli di Srebrenica.

Un’autorevole fonte ONU contemporanea offre ulteriore conferma che ci sono stati molti sopravvissuti della colonna militare musulmana e che la maggior parte delle persone uccise lungo la strada sono state vittime di mine e di battaglie con i soldati bosniaco-serbi. Un rapporto del 17 luglio 1995 all’ufficio dell’UNPROFOR a Tuzla, Edward Joseph, riferisce l’arrivo di “uomini di Srebrenica” nella zona di Tuzla e commenta che “5-6.000 hanno attraversato territorio controllato dal Corpo BiH 2 nella zona a sud di Sapna la scorsa notte (16 luglio)… fino a tremila sono stati uccisi lungo la strada, per lo più da mine e da scontri con il BSA [esercito bosniaco-serbo]. Un numero sconosciuto di altri è stato catturato. Alcuni si sono suicidati. Un numero sconosciuto di altri è andato a Zepa”[39].

Il 4 agosto, un gran numero di civili di Srebrenica si è registrato come sfollati presso le Nazioni Unite all’aeroporto di Tuzla. Il rapporto di Amnesty International 1996 precisa che “almeno 13.000 uomini ce l’ha fatta ad attraversare la foresta.”[40]

Nella sua relazione del 1 novembre 2002 al TPIJ, Richard Butler, l’esperto militare americano per l’accusa ha affermato che “a seconda della fonte, da 10.000 a 15.000 persone hanno formato una colonna mista [militari e civili]…”[41], che ha cercato la fuga seguendo il percorso Srebrenica-Tuzla. Dato che 13.000 uomini sono sopravvissuti di Srebrenica, questo esclude ancora una volta il numero gonfiato di 8.000 uccisi. Il riferimento di Butler alla natura mista militare e civile della colonna conferma che si trattava di un obiettivo militare legittimo.

Dei 2.000 e più uomini di Srebrenica che sono morti come parte della colonna mista di soldati e civili, quanti sono stati uccisi in scontri militari con i bosniaco-serbi, dalle mine o per esecuzioni? L’investigatore capo del TPIJ, Jean-Rene Ruez, ha dichiarato: “Un numero significativo [di musulmani] è stato ucciso in combattimento… Molti sono stati uccisi durante il tentativo di passare attraverso i campi minati… Quanto a coloro che sono morti nei boschi, siamo costretti a immaginare che siano stati uccisi in battaglia”[42]. Ruez rileva che anche i bosniaco-serbi hanno subito perdite significative in battaglia, in particolare la brigata Zvornik, che ha avuto il maggior numero di vittime di tutta la guerra, durante quattro giorni di scontri con le truppe bosniaco-musulmane nell’irruzione della colonna fuori dall’enclave di Srebrenica. Richard Butler ha testimoniato di non aver fatto un’analisi punto per punto delle perdite dell’esercito bosniaco nelle battaglie con i bosniaco-serbi, ma ha detto che la cifra di “1.000-2.000 sembra ragionevole.” In un’intervista alla rivista Dani di Sarajevo, il comandante musulmano Nesib Burić ha sottolineato che i suoi soldati avevano combattuto duramente e sostenuto numerose vittime: “Nel mio battaglione, su 320, 280 sono morti… Nessuno può negare che nel comune di Srebrenica vi siano 2.000 combattenti sepolti”[43].

Il resoconto ben documentato degli scontri militari lungo tutto il viaggio da Srebrenica a Sapna di 37 soldati musulmani superstiti intervistati dal TPIJ suggerisce che il numero di esecuzioni tra queste 2.000 vittime dovrebbe essere nell’ordine delle centinaia. Circa 442 legature e bende sono state trovate in diverse località, tra cui le fattorie di Branjevo, dove Erdemović sosteneva di aver eseguito condanne a morte. È anche possibile, anche se non dimostrato fino a oggi, che alcuni soldati bosniaco-serbi locali possano aver disobbedito agli ordini ed essersi vendicati giustiziando i soldati della 28° divisione, che avevano massacrato le loro famiglie durante il regno di terrore di Naser Orić nel 1992-93.

Lo sforzo più completo per analizzare e classificare il metodo di morte di coloro riesumato è stata eseguita dal medico legale Ljubiša Simić del Progetto storico Srebrenica con sede in Olanda, che ha prodotto grafici e tabelle di categoria delle ferite riportate nei 13 luoghi di sepoltura primari scavati nel 1996-2002, tratti da 3.600 rapporti sui resti di circa 2.000 corpi. Mentre alcuni ricercatori hanno obiettato che le bende sugli occhi e i legacci potevano essere stati aggiunti intenzionalmente, Simić ritiene che queste siano state vittime di esecuzioni. Almeno 600 corpi hanno mostrato prove di lesioni[44] da proiettili, la maggior parte nei piedi, cosa coerente con le morti da mine. Significativamente, Simić rileva che le stesse tombe che sono state scavate nel 1996-97 contenevano anche corpi in avanzata decomposizione, in contrasto con sepolture di due anni o meno in seguito alla presa di Srebrenica. Questi resti potevano essere stati sepolti durante gli attacchi di terra bruciata ai villaggi serbi nel 1992-1993 per opera della 28° divisione di Naser Orić. (Orić è stato incriminato alla fine nel 1998 e condannato solo per accuse banali nonostante la massa di prove delle sue attività criminali, tra cui le sue videocassette. In seguito è stato trovato innocente dai giudici del TPIJ dopo aver scontato solo due anni, ed è stato rilasciato per trovare un benvenuto da eroe).

Il gioco delle cifre

Che cosa dobbiamo pensare della pretesa da parte della Commissione internazionale per le persone scomparse (ICMP), che sostiene che ora vi siano riscontri del DNA per i resti di 6.200 persone di Srebrenica? In primo luogo, abbiamo bisogno di capire che, nonostante il suo nome, l’ICMP non è un gruppo indipendente, ma piuttosto una organizzazione nata dal gruppo dominato da musulmani che mantiene il controllo sul lavoro investigativo e forense. L’ICMP è alleato con persone del governo bosniaco come Haris Silajdzić, l’attuale presidente della Bosnia, che, come ministro degli esteri nel 1992, ha occupato i titoli con l’accusa di stupro di massa. È stato pure Silajdzić a dire in una conferenza stampa nel 1994 che “70.000 persone” erano state uccise in combattimenti intorno a Bihac, anche se gli osservatori delle Nazioni Unite hanno informato il reporter della BBC John Simpson che meno di un migliaio di persone erano state uccise nei combattimenti a Bihac, provocati dal governo bosniaco[45].

Per quanto riguarda i riscontri del DNA, non esiste una base affidabile per la cifra dell’ICMP. Sappiamo già che l’ICMP utilizza un numero gonfiato (5.300) per i soldati dispersi di Srebrenica, perché la 28° divisione aveva solo 5.500 membri e sia secondo l’alto comando sia secondo il presidente bosniaco Alija Izetbegović, più di 3.000 sono sopravvissuti. I resoconti del processo di identificazione ICMP hanno sollevato obiezioni circa la loro metodologia (in particolare la contaminazione) e scetticismo sulle rivendicazioni di innovazioni nella tecnologia del DNA.

Otto anni dopo la fine della guerra, l’ICMP ha cominciato ad ampliare notevolmente la ricerca di corpi al di là della zona di Srebrenica in regioni lontane della Bosnia. Lo hanno fatto sulla base di una teoria che i bosniaco-serbi avevano intrapreso un vasto esercizio di copertura per nascondere massacri, seppellendo nuovamente i corpi in tombe secondarie e terziarie. Nessuna prova convincente a sostegno di questa teoria è stata mai resa pubblica – anzi, non se ne è fatta alcuna menzione fino a diversi anni dopo la fine delle guerre. Nessun suggerimento che le tombe siano state violate è stato fatto quando il gruppo Physicians for Human Rights ha svolto le proprie indagini nell’estate del 1996.

Questa drastica riscrittura della cronologia ufficiale ha avuto presa crescente tra i funzionari del TPIJ, nonostante la sua inverosimiglianza. Sarebbe stato difficile, se non impossibile, che i serbi effettuassero una grande operazione del genere senza essere notati al momento (autunno 1995, quando la Bosnia era sotto sorveglianza di satelliti e droni, brulicante di personale ONU, OSCE, CIA, MI6). E se i serbi erano così disperati di coprire crimini prendendosi la briga di scavare, spostare e ri-seppellire circa 500 tonnellate di resti umani, perché non hanno tolto loro le bende e i legacci?

Ancora più importante, nonostante le proprie affermazioni, l’ICMP non ha condiviso la prova del DNA con il TPIJ, tanto meno con la difesa di Karadžić. Questi risultati non sono mai stati oggetto di revisione. Tuttavia, il Tribunale prevede di citare queste affermazioni nei prossimi procedimenti come giustificazione per il numero gonfiato di vittime utilizzato nell’atto di accusa contro Karadžić, il cui processo si svolgerà in autunno. Mentre ci sono prove sostanziali che Erdemović abbia ripetutamente commesso spergiuro nella sua testimonianza che ha cercato di collegare il suo piccolo gruppo di mercenari in congedo con il comando bosniaco-serbo, c’è poca prospettiva che Karadžić sia trovato non colpevole delle accuse, tra cui il genocidio, nelle incriminazioni del TPIJ. Gli stessi giudici che hanno ammesso l’incredibile testimonianza di Erdemović per condannare il generale Krstić a una pena di 45 anni, difficilmente invertiranno ora la loro rotta.

Non volendo correre rischi, il TPIJ ha trasferito uno dei suoi più abili procuratori capo, Alan Tieger, dal perseguire i generali croati che hanno eseguito la “Operation Storm”, a perseguire il caso di Srebrenica contro Radovan Karadžić. Questa mossa la dice lunga sulle priorità politiche del tribunale, perché “Operazion Storm” è stato un attacco molto più grande che ha ripulito 200.000 serbi in due grandi aree protette delle Nazioni Unite. I comandanti canadesi delle Nazioni Unite hanno testimoniato che l’esercito croato, addestrato e sostenuto dall’appaltatore militare privato statunitense MPRI, ha preso direttamente i civili di mira.

Il Tribunale e il suo sponsor più importante, il governo degli Stati Uniti, sono pesantemente coinvolti nel risultato del processo. I numeri gonfiati a Srebrenica, come le storie false delle armi di distruzione di massa in Iraq, hanno permesso agli Stati Uniti e alla NATO di espandere per la prima volta le loro operazioni militari al di fuori del mandato originale della NATO. Nei primi anni ’90, c’era una preoccupazione palpabile tra i responsabili politici degli Stati Uniti che, con il crollo dell’Unione Sovietica, la NATO non avesse più una missione come alleanza difensiva. Il senatore Richard Lugar (R-In) usava lo slogan “Fuori dall’area o fuori dal mercato”[46] per strombazzare la sua convinzione che si doveva trovare presto una causa adatta per un intervento della NATO per convalidare una nuova missione per l’alleanza militare. Srebrenica ha fornito un pretesto per un nuovo ruolo – un intervento fuori area, che ha aiutato gli Stati Uniti a mantenere un ruolo dominante in Europa e a proiettare la sua potenza militare verso est.

Non vi è alcun motivo di contestare la descrizione di Richard Holbrooke del Tribunale penale come “strumento prezioso” della politica delle grandi potenze. Tuttavia, nessun attento osservatore del Tribunale lo chiamerà “indipendente” o “imparziale.” Invece di operare per promuovere la verità e la riconciliazione, la politica palese e i pregiudizi istituzionali del TPIJ hanno accresciuto e prolungato le tensioni tra serbi, musulmani, croati e albanesi in quella che lo studioso dei Balcani Robert Hayden chiama “guerra con altri mezzi.” Coloro che cercano la verità sugli eventi a Srebrenica, dovranno guardare altrove.

George Bogdanich: produttore americano di documentari, giornalista freelance indipendente e redattore, membro dello Srebrenica Research Group.

Jonathan Rooper: redattore politico precedentemente per la BBC; ora giornalista e video produttore indipendente.

Note

[1] ANP English News Bulletin, 27 luglio 1995

[2] Richard Holbrooke, “United Nations or Not?” BBC Radio 4, 9 settembre 2003, http://www.bbc.co.uk/radio4/news/un/transcripts/richard_holbrooke.shtml

[3] Madame Prosecutor: Confrontations With Humanity’s Worst Criminals and the Culture of Impunity, di Carla Del Ponte con Chuck Sudetić, Random House

[4] Martin Bell, “Karadžić Isn’t the Only One on Trial”, The Guardian, 26 ottobre 2009

[5] Halilović, Prosecutor v. Radislav Krstić, 5 aprile 2001, p. 9471, http://www.un.ogr/icty/transe33/010405it.htm

[6] Bill Schiller, “Muslims’ hero vows he’ll fight to the last man”, Toronto Star, January 31, 1994.

[7] ibid.

[8] Testimonianza di Philippe Morillon dalla trascrizione del TPIJ al processo Milošević,12 Febbraio 2004

[9] Milivoje Ivanisević. “La carta d’identità di Srebrenica” è stato pubblicato in due parti, il 12 e il 20 marzo 2007 in Glas Javnosti.

[10] Testimonianza di Morillon dalla trascrizione del TPIJ al processo Milošević,12 Febbraio 2004

[11] Memorandum sui crimini di guerra e sui crimini e genocidio in Bosnia orientale (comuni di Bratunac, Skelani e Srebrenica) commessi contro la popolazione serba dall’aprile 1992 all’aprile 1993 (A/48/177 – S/25835), presentato il 24 maggio 1993 dall’incaricato d’affari della Repubblica federale Jugoslavia alle Nazioni Unite

[12] James Risen e Doyle McManus, “Clinton Secretly OKed Iran’s Arms Shipments to Bosnia”, Los Angeles Times, 5 aprile 1996, Cees Wiebes, Intelligence and the War in Bosnia, 1992-1995 (London: Lit Verlag, 2003), capitolo 4, sezione 2, “Arms supplies to the ABiH: the Croatian Pipeline”, pp. 158-177

[13] Halilović, Prosecutor v. Radislav Krstić, 5 aprile 2001, pag. 9487, http://www.un.ogr/icty/transe33/010405it.htm

[14] Ripley, Operation Deliberate Force, pag. 145.

[15] Rapporto del governo olandese “La caduta di Srebrenica”, parte III, capitolo 6 (2002) http://srebrenica.brightside.nl/srebrenica/

[16] Rapporto di Amnesty International su Srebrenica del luglio 1996, “To Bury My Brother’s Bones”

[17] Germinal Civikov, Srebrenica: The Star Witness, pag 40 della traduzione dal tedesco di John Laughland, disponibile dallo Srebrenica Historical Project basato in Olanda

[18] Dichiarazione del TPIJ disponibile dallo Srebrenica Historical Project basato in Olanda; dichiazione dell’investigatore dell’ICTY Jean Rene Ruez, udienza del 19 novembre 1996, traduzione inglese provvisoria, pagina 15

[19] Germinal Civikov, Srebrenica: The Star Witness, pag 9 della traduzione dal tedesco di John Laughland, disponibile dallo Srebrenica Historical Project basato in Olanda

[20] Germinal Civikov, Srebrenica: The Star Witness, pag 63 della traduzione dal tedesco di John Laughland, disponibile dallo Srebrenica Historical Project basato in Olanda

[21] Ibid. p 67

[22] Ibid. p.73

[23] Rapporto di Amnesty International su Srebrenica del luglio 1996, “To Bury My Brother’s Bones”

[24] Hadzihasanović, Prosecutor v. Krstić, 6 aprile, p. 9532

[25] Charles G. Boyd, “Making Peace with the Guilty”, Foreign Affairs, vol. 74, No. 50, settembre / ottobre 1995, pp. 22-23.

[26] William Perry, che è stato citato sul New York Times del 27 febbraio 2008, si riferiva espressamente alla Corea del Nord, anche se la demonizzazione dei potenziali avversari militari è abitualmente utilizzato per ottenere il sostegno pubblico per l’intervento militare, come lo è stato per i bosniaco-serbi

[27] Jonathan Rooper, Capitolo 4 “The Numbers Game” http://www.srebrenica-report.com/numbers.htm

[28] Slobodna Bosna (Sarajevo), 14 luglio 1996, come pubblicato sul sito Srpska Mreza, http://www.srpska-mreza.com/Bosnia/Srebrenica/lamb.html

[29] Hajika Mehojlić, Intervista, in Hasan Hadzić, “5.000 vite musulmane per un intervento militare”, Dani

[30] Hakija Meholjić, Prosecutor v. Radislav Krstić, 5 aprile 2001, pag. 9480. Le parole di Meholjić, come registrate dal regista olandese, sono state tradotte davanti al tribunale mentre si proiettava la videocassetta.

[31] Carlos Martins Branco, “Was Srebrenica a Hoax? Eye-Witness Account of a Former United Nations Military Observer in Bosnia”, 1998

[32 Michael Evans, London Times, 1 agosto 1995

[33] Bernard Kouchner nel suo Les Guerriers de la Paix, Paris, Grasset, 2004 pp. 373-374

[34] Tadeusz Mazowiecki, Annex II 1993 Report of Special Rapporteur of the Commission on Human Rights on the situation of human rights in the territory of the former Yugoslavia

[35] BBC Summary of World Broadcasts, 6 aprile 1992

[36] Ibid, 9 luglio 1995

[37] Ewa Tabeau, demografo del TPIJ, 24 Luglio 2008, appunto a Peter McCloskey, avvocato processuale senior

[38] BBC Summary of World Broadcasts, 16 agosto 1995 Izetbegović says “Some 3,400 soldiers from the 28th Division which was stationed in Srebrenica managed to come out”.

[39]. Rapporto dell’ufficiale dell’ONU Edward Joseph all’ufficio dell’UNPROFOR a Tuzla, 17 luglio 1995

[40] Rapporto di Amnesty International su Srebrenica del luglio 1996, “To Bury My Brother’s Bones”

[41] Richard Butler, par. 3.21 del suo rapporto al TPIJ del 1 novembre 2002, numero ERN 03072366

[42] Monitor, 19 aprile 2001; Numero ERN 06038344

[43] Nesib Burić, dichiarazione al quotidiano di Sarajevo Dani, 18 gennaio 1999

[44] Ljubiša Simić, “analisi forense dei rapporti delle autopsie di Srebrenica” pubblicato dallo Srebrenica Historical Project basato in Olanda

[45] John Simpson, “Rose’s War”, Panorama, BBC1, 23 gennaio 1995

[46] 10 Richard G. Lugar, “NATO: Out of Area or Out of Business: A Call for U.S. Leadership to Revive and Redefine the Alliance”, osservazioni consegnate all’Open Forum del Dipartimento di Stato americano, 2 agosto 1993.

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Ho suddiviso (per una migliore leggibilità)  l’articolo originale riportato da  SAKER in 4 parti (compresa questa pagina) di autori diversi:

Rapporto speciale: La verità su Srebrenica 20 anni dopo

SREBRENICA 1995-2015: Solo i fatti, senza propaganda o abbellimenti  

Srebrenica quindici anni dopo – la questione delle prove (questa pagina)

Una sfida responsabile alla narrativa di Srebrenica

Patrizio Ricci

Con esperienza in testate come il Sussidiario, Cultura Cattolica, la Croce, LPLNews e con un passato da militare di carriera, mi dedico alla politica internazionale, concentrandomi sui conflitti globali. Ho contribuito significativamente all'associazione di blogger cristiani Samizdatonline e sono socio fondatore del "Coordinamento per la pace in Siria", un'entità che promuove la pace nella regione attraverso azioni di sensibilizzazione e giudizio ed anche iniziative politiche e aiuti diretti.

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