La dott.ssa Capua che oggi dirige il One Health Center alla University of Florida, per inciso, già una volta ha detto che non esercita la professione virologa “Riflettendo in questi giorni e trovandomi in una situazione un po’ diversa, non sono più una virologa…“. (qui video dalla settimana su Raitre):
[su_quote]Non ho più un laboratorio dal 2012, l’ho lasciato per seguire Mario Monti in politica. Sono stata parlamentare per 3 anni e mezzo, mi sono trasferita negli Stati Uniti e ora dirigo un centro multidisciplinare. Per questo posso dire che non sono più una virologa[/su_quote]
Nel video vediamo che l’intervistatore prende la cosa con ironia e quasi la supplica a ritrattare. Infatti da giugno non si parlerà più di questa sua affermazione che suona un po’ come una ammissione di stanchezza, una richiesta implicita di essere lasciata in pace. E’ la misura di quanto così spesso, le domande a lei rivolte, sono ‘leggere’.
Ma non solo le domande sono spesso leggere ma in un certo senso sono cariche di una sola aspettativa: quello di sentirsi rispondere ciò che ci si aspetta.
Se fosse altrimenti – senza nulla togliere alla dott.ssa Capua – è evidente che i nostri media si accorgerebbero che nel campo della della virologia, abbiamo in Italia altrettanti autorevoli scienziati che – nel periodo di massima espansione dell’epidemia – i malati li hanno curati davvero (come Zangrillo, Bassetti, etc). Perché non rivolgersi allora anche a questi!? Forse il loro punto di vista non soddisfa la linea editoriale?
Possiamo dire che, si tratta di scelte poco accurate , basate semplicemente sull’accondiscendenza ad una certa linea editoriale, per cui la scelta degli esperti reperiti nella vasta comunità scientifica ha come criterio quello di avvalorarle solo taluni assunti.
Sembra però che questa volta la Capua – la cui intervista è stata messa sulle prime pagine del Corriere di oggi – contraddica la narrativa generale (“… le reinfezioni succedono anche per altre malattie e questo che avviene mette un’ombra sull’efficacia dei vaccini”) secondo la quale il vaccino può essere considerato come la soluzione da considerare come la sola via d’ uscita all’emergenza covid.
In definitiva, l’impressione è che i media mainstream non si curino di esplorare le varie risposte, ma corroborino solo una delle possibili risposte.
Di che tipo di risposte sto parlando? Di ciò che è indicato ai massimi vertici dello stato. In altri termini, il criterio del sì al vaccino, sembra sia stato deciso prima che il vaccino stesso sia stato messo a punto e testato (ce ne sono più di 160 allo studio ed una cinquantina in fase più avanzata).
E’ interessante che il Corriere, come a smentire la propria scienziata esperta in Covid di riferimento sull’argomento vaccini – quasi per ribilanciare la risposta inaspettata all’intervista – ha pubblicato ben due articoli di segno opposto che corrisponde alla propria linea editoriale di fede ‘si vax’.
Tra i due, senz’altro il più categorico ed imperatorio è quello del dott. Giuseppe Moretti che propone di renderlo obbligatorio, mentre il giornalista Aldo Cazzullo gli fa da controcoro “molti dicono che il vaccino è fatto in fretta in furia”, ma per uscire da questo incubo – dice Cazzullo – vaccinarsi è “un dovere civile morale”.
A proposito, una delle soluzioni sposate per convincere a vaccinarsi è quella di interrompere la pensione di invalidità ed anzianità ai più recalcitranti.
Ora, dato che non esiste unanimità di vedute nella comunità scientifica, come chiamare chi si sbraccia per far apparire il contrario, riportando una visione della realtà solo parziale?
@vietatoparlare
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