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Ad appena due settimane dalla sfida lanciata dal Vicepresidente Pence in merito al ritorno di astronauti sulla superficie lunare entro cinque anni, Lockheed Martin ha già messo a punto un suo iniziale progetto per portarla a compimento.
Lo ha presentato lo scorso 10 aprile, a Colorado Springs, in un briefing tenutosi durante il trentacinquesimo Space Symposium. Lockheed Martin, come ha subito precisato Rob Chambers, Director of Human spaceflight Strategy and Business development, non ha la pretesa di aver individuato l’unica strada praticabile, ma è convinta di poter dimostrare che la meta, purché si realizzino subito certe condizioni, è raggiungibile:
Il nostro obiettivo è quello di delineare un piano che permetta di spostare il focus da ‘È possibile?’ a ‘Ok, qual è il modo migliore per realizzarlo?’
Ridisegnare EM-2
La via indicata dalla società di Bethesda si discosta, in parte, dalla prospettiva che l’amministratore NASA aveva declinato solo il giorno prima, parlando allo stesso convegno. Jim Bridenstine, aveva messo infatti l’accento su una accelerazione del programma di realizzazione del Lunar Gateway, dando la precedenza agli elementi necessari in vista di uno sbarco; per Lookheed Martin si tratta anche di rivedere gli obiettivi delle prossime missioni, dopo EM-1, il primo volo di una capsula Orion senza equipaggio sullo Space Launch System.
Secondo quanto affermato da Chambers, il Gateway minimale, composto dal modulo propulsivo, con i pannelli solari (Power and Propulsion Element, o PPE) e da una piccola unità abitabile fornita di porte per il docking, dovrà essere lanciato il più presto possibile, in modo da trovarsi in orbita lunare già nel 2022, ossia prima della partenza di EM-2, la prima missione con equipaggio di Orion, prevista per lo stesso anno. In base ai piani precedenti questo volo dello Space Launch System – Block 1B, avrebbe portato a bordo il PPE.
Invece che essere lanciato su una traiettoria di “libero ritorno” intorno alla Luna, l’equipaggio di EM-2 dovrà raggiungere il Gateway, effettuare il docking e testarne i sistemi. La capsula Orion per questa missione, che è in corso di costruzione nei laboratori di Lockeed Martin, non è dotata di dispositivi di attracco, ma è ancora possibile modificare i programmi per integrarli.
Le altre parti del Gateway non esistono ancora, ma possono essere realizzate in tempo, con la collaborazione delle aziende private. Il bando per il design del PPE è previsto per il mese prossimo, mentre il modulo abitabile potrebbe essere derivato da uno degli studi promossi dalla NASA nell’ambito del programma NextSTEP (Next Space Technologies for Exploration Partnerships). La stessa Lockheed Martin ha già realizzato un suo prototipo, basato sul modulo Multi-Purpose Logistics Module Donatello.
Il lander
Elemento chiave del concept lunare è ovviamente il lander. Su questo punto la nuova proposta si distanzia dalla via già intrapresa dalla NASA per la realizzazione di un veicolo di atterraggio commerciale, ma anche da quanto messo a punto da Lockheed Martin negli studi precedenti.
Nell’ottobre scorso, al 69º International Astronautical Congress di Brema, Lockheed Martin aveva presentato il progetto di un monostadio da 62 tonnellate, totalmente riutilizzabile e rifornibile in orbita, basato sul design del lander marziano del progetto Mars Base Camp.
Dal canto suo, l’Agenzia spaziale USA, nell’avviare gli studi per la realizzazione del veicolo di atterraggio lunare in collaborazione con le industrie private (anche in questo caso nell’ambito del programma NextSTEP), si era indirizzata su una soluzione in tre moduli, aggiungendo ai classici moduli di discesa e di ascesa un transfer stage, un “tug” destinato a fare da spola tra il Gateway e l’orbita più bassa da cui raggiungere la superficie, onde ridurre la quantità di combustibile necessaria agli altri stadi. Mentre un monostadio di massa superiore alle 50 tonnellate sarebbe incompatibile con la portata dell’SLS Block-1B, i moduli di un lander tristadio, non più pesanti di 15 tonnellate, potrebbero essere separatamente trasportati da un buon numero di lanciatori commerciali.
La nuova proposta di Lockheed Martin ritorna invece all’architettura a due stadi. Quello di discesa andrebbe sviluppato a partire dai concept richiesti da NASA attraverso il programma NextSTEP, mentre per il modulo di ascesa si potranno utilizzare componenti già sviluppati per Orion; in pratica, l’intero modulo pressurizzato con i suoi sistemi di supporto alla vita e una versione opportunamente modificata dei mezzi propulsivi del modulo di servizio.
Con l’obiettivo di uno sbarco sulla Luna tra cinque anni, all’inizio del 2024 i due moduli dovranno essere lanciati separatamente su vettori commerciali (oppure anche insieme mediante un SLS) e poi connessi presso il Gateway. In seguito, nel corso dell’anno, arriveranno gli astronauti a bordo della Orion della missione EM-3. Lo sbarco sulla Luna avverrebbe quindi già alla seconda missione con equipaggio della nuova navicella: a questo punto della progettazione non è ancora chiaro se tutti e quattro gli astronauti o solo una parte potranno raggiungere la superficie.
Non sarà un programma Apollo 2.0
A prima vista tutto ciò ha un “sapore” molto Apollo ma, nelle intenzioni di NASA, lo sbarco sulla Luna del XXI secolo dovrebbe essere un po’ diverso da quello di cinquant’anni fa. Nel suo intervento a Colorado Spring, Jim Bridenstine ha tenuto a precisarlo, sottolineando anzitutto la presenza del Gateway, che deve essere pensato come una sorta di “modulo di comando” riutilizzabile in orbita lunare. Grazie a questo veicolo sarà possibile atterrare su regioni della Luna altrimenti irraggiungibili. E infatti già per il primo sbarco, secondo quanto già indicato dal Vicepresidente Pence, si pensa ad una zona prossima al Polo Sud.
E poi, se la prima fase del ritorno alla Luna sarà all’insegna della velocità, ci sarà una seconda fase, per la quale la parola d’ordine sarà “sostenibilità”. Dopo il 2024, la presenza sostenibile dell’uomo sulla Luna sarà perseguita attraverso l’ampliamento del Gateway con gli elementi già prefigurati, l’inizio dei rifornimenti mediante i cargo commerciali e i primi passi per utilizzare le risorse della Luna per produrre ossigeno e idrogeno. È probabile che in questa seconda fase si concentrerà l’intervento dei partner internazionali che stavano iniziando ad aderire al progetto del Gateway e che sono certamente rimasti un po’ spiazzati dall’improvvisa accelerazione e dall’impronta fortemente nazionale data dagli USA al nuovo sbarco sulla Luna.
I costi della sfida
Secondo Lockheed Martin rispettare i tempi proposti dall’amministrazione è fattibile, ma anche piuttosto sfidante e richiederà una tempistica molto serrata. Chamber ha puntualizzato che i lavori sull’hardware del lander dovranno iniziare necessariamente nelle prime settimane dell’anno prossimo. «Speriamo che qualcuno abbia già ordinato un bel po’ di alluminio», ha aggiunto con ironia.
Ovviamente saranno necessarie anche risorse finanziarie aggiuntive. Quante non è ancora ben chiaro, giacché su questo punto sia Lockheed Martin, sia NASA non hanno offerto alla stampa alcuna indicazione. Secondo fonti dell’industria spaziale consultate da Space News si tratterebbe di una somma stimabile tra i 3 e i 5 miliardi di dollari all’anno.
Bridenstine ha promesso che tra breve ci sarà una proposta di emendamento al budget NASA per l’anno fiscale 2020. L’entità di questa richiesta e, soprattutto, la risposta del Congresso sarà essenziale per comprendere se l’annuncio del 26 marzo scorso, quello che con molto coraggio l’amministratore NASA ha definito «uno dei più importanti discorsi nella storia dello spazio», sia destinato ad avere un seguito o dovrà essere archiviato come l’ennesimo esercizio di enfasi retorica.
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