Un breve articolo di Riccardo Paccosi, dedicato alla classica distinzione tra destra e sinistra, ci invita a riflettere sulla sua superfluità nel contesto attuale. Mentre molti continuano a difendere la divisione tra chi promuove i diritti sociali (la sinistra) e chi li osteggia (la destra), Paccosi sottolinea, giustamente, come questa contrapposizione appartenga al passato, quando la sinistra combatteva per i diritti dei lavoratori e la destra non era vincolata alle influenze di poteri sovranazionali.
Secondo l’autore, oggi la sinistra è tornata alle sue radici illuministiche, perseguendo una visione che mira a cancellare il passato e ripartire da zero. Questo si riflette nelle politiche moderne che relegano materie tradizionali come la filosofia a un ruolo secondario, preferendo concentrarsi su temi come i diritti LGBT o l’ecofemminismo. Paccosi osserva che questa non è una questione di destra o sinistra, ma piuttosto una forma di vitalismo, un impulso cieco che ignora la protezione sociale e la fragilità umana.
Concordo pienamente con questa valutazione: una società che desidera proteggere davvero i suoi membri deve riconcentrarsi sulla condizione mortale e vulnerabile dell’essere umano. Questo però va in netta opposizione rispetto alle attuali tendenze politiche, sia di destra che di sinistra, entrambe troppo ossessionate da una visione ottimistica e superficiale del progresso o della libertà.
L’eccessiva enfasi sui diritti individuali e su un’idea di progresso che cancella il passato porta inevitabilmente a una società di individui isolati, privi di legami profondi e significativi, più vulnerabili alla manipolazione e incapaci di allontanarsi dall’immagine di società che ci viene imposta. La Chiesa, a ragione, continua a sottolineare l’importanza della famiglia, della comunità e della tradizione come fondamenta per una vita piena e significativa. Ignorare o minimizzare questi aspetti, in nome di un progresso indefinito, ci lascia privi di radici e di riferimenti morali.
Se ci rifacciamo alla filosofia umanistica, pensatori come Emmanuel Mounier hanno messo in luce l’importanza della persona e della sua dignità in tutte le sue dimensioni, comprese la fragilità e la finitezza. Mentre il senso della caducità e del limite umano, sembra essere sparito dell’orizzonte della vita politica, come dimostra anche la postura in politica internazionale.
Destra e sinistra? La vera distinzione politica del nostro tempo è quella tra nichilismo vitalista e senso della finitezza umana
Fonte: Riccardo Paccosi
Nei giorni scorsi, ho partecipato ad alcune discussioni online con alcuni amici e contatti d’un certo spessore culturale che rivolgevano una critica alla diffusa volontà di superare la diade categoriale destra-sinistra.
Le argomentazioni erano diverse, ma quella ricorrente enunciava grosso modo che, fintanto che esisterà un punto di vista orientato all’universalità dei diritti sociali contrapposto a un punto di vista negante la necessità di protezione sociale, la distinzione fra destra e sinistra sarà destinata a persistere.
Come già ho avuto modo di argomentare in varie occasioni, la contrapposizione di cui sopra riguarda però la sinistra del XIX e XX secolo, ovvero quella che si rifaceva alla lotta di classe o perlomeno al retaggio di quest’ultima.
L’emancipazione operaia e proletaria, però, non è l’obiettivo intorno a cui la sinistra storicamente nasce. L’avvento della parola “sinistra”, infatti, coincide con un processo rivoluzionario avente come principio costitutivo l’idea che “a tutti i cittadini vanno garantiti i diritti di libertà, proprietà, sicurezza e resistenza all’oppressione” (Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, Francia, 1789). In questo contesto, il concetto di eguaglianza sussiste, certo, ma riguarda la figura giuridica e la cittadinanza, non l’economia politica.
Inoltre, suddetto processo rivoluzionario sorge da una base filosofica illuministica alquanto ostile nei confronti del passato ed esprimente ciò tramite una volontà di tabula rasa, di palingenetica ripartenza da zero del tempo storico.
Passate le contingenze dell’alleanza tra borghesia progressista e classe proletaria, trascorsa la fase d’industrializzazione e di compromesso fordista fra le classi sociali – secondo diversi pensatori odierni tra cui Jean-Claude Michea – la sinistra in questo nuovo secolo non si è dunque “tramutata in destra” bensì è ritornata alle proprie orgini illuministiche.
A sostegno di tale tesi che condivido, porgo ai critici del concetto di superamento di destra-sinistra la seguente domanda:
due anni fa, il governo spagnolo ha fatto passare la filosofia da materia obbligatoria a facoltativa nelle scuole superiori affermando, altresì, di voler superare l’accademismo e dare maggiore spazio a ecofemminismo, diritti LGBT e così via; orbene, quest’atto si può considerare di destra o di sinistra?
Onestamente, io non riesco a vederci nulla che possa essere qualificabile specificamente come “destra”. Mi pare ravvisabile, anzi, quel disprezzo per il passato e quella volontà di tabula rasa ch’erano proprie della sinistra alle origini, quelle stesse “magnifiche sorti e progressive” che Giacomo Leopardi già prendeva per il culo duecento anni fa.
Va anche considerato un altro aspetto: la visione progressiva del tempo storico è di per sé vitalistica. Essa è – per dirla stavolta da destra con Marinetti – una locomotiva lanciata a folle corsa verso lo schianto. Insomma, qualcosa che non ha alcuna necessità di protezione sociale.
Oggi, immersosi l’uomo nella digitalizzazione, il senso della caducità, della fragilità, della finitezza della vita umana, viene soffocato dal ronzio perpetuo e immortale delle macchine.
E la politica si adegua: che si tratti del neo-modernismo volto alla cancellazione del passato promosso dalla sinistra, oppure della prospettiva neo-barbarica della destra secondo cui libertà è che ciascuno abbia l’opportunità di comprare un fucile automatico all’emporio sotto casa e andare sparare dentro qualche scuola, tutto è impulso vitalistico cieco e forsennato, tutto è rimozione della fragilità.
E qui veniamo al tema citato all’inizio, quello dei diritti sociali e della protezione sociale.
Perché possano essere considerate legittime normative quali il sostegno reddituale a disoccupati e semi-occupati, le pensioni, l’assistenza sanitaria gratuita, deve essere diffusa una visione dell’esistenza volta all’imperativo di curare, proteggere e conservare.
(E a questo punto potrebbe essere congruente una seconda domanda: curare, proteggere e conservare sono principi di destra o di sinistra?)
Occorre, insomma, un’idea dell’uomo che torni a mettere al centro la sua realtà mortale, un’idea che sappia ricavare proprio da questo aspetto caduco e sventurato, come dice Simone Weil, il senso di fratellanza e comunanza.
Tutto questo, però, significa che i due paradigmi ottusamente vitalisti e fieramente nichilisti di destra e di sinistra devono essere combattuti in quanto nemici della vita e dell’amore fra gli esseri umani.