Breve aggiornamento sulla Siria – 03.11.2019

1. Nonostante le continue battaglie locali tra SAA, SNA e SDF, la linea di demarcazione delineata nei colloqui tra Putin ed Erdogan sta gradualmente prendendo forma. Data l’inadeguatezza dei tirapiedi “verdi” di Erdogan, il processo non sta francamente procedendo senza intoppi – dopo il cessate il fuoco, i miliziani filo-turchi sono riusciti a mettere insieme …

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Gli USA ci ripensano e mandano indietro alcune unità aggiuntive per ‘proteggere’ i pozzi petroliferi

Gli USA sono tornati nel nord-est della Siria Siria in forze per proteggere i pozzi petroliferi di Omar dal governo siriano che ne è il legittimo proprietario. L’agenzia SANA riferisce che una colonna di mezzi militare dell’esercito USA è passata oggi attraverso il valico iracheno di al-Walid per far ingresso in Siria. Questa la motivazione …

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Siria – Mons Tobji: ”dove non arrivano le bombe arrivano le sanzioni. Uccidono anche quelle, sapete?…”

Siria, cristiani nel limbo

di Gian Micalessin – Insideover – fonte Ora Pro Siria

Monsignor Joseph Tobji ci riconosce, ci sorride da lontano, alza il bastone pastorale, indica la facciata della cattedrale. “Guardate com’è cambiata”. Alziamo lo sguardo. Per anni la cattedrale maronita di Sant’Elia è stata un simbolo della guerra di Aleppo. Le granate l’avevano colpita, trafitta, martoriata. Nel 2012, quando ci venimmo per la prima volta, i ribelli erano un centinaio di metri poco più indietro. Per avvicinarsi, bussare e riuscire ad entrare bisognava sfidare i loro colpi di mortaio.

Per sei lunghi anni nulla era cambiato. Ora invece la vecchia cattedrale annerita dal fumo degli incendi, morsicata dalle granate è nascosta da un intrico di ponteggi e impalcature. Da qualche settimana si è trasformata in un enorme cantiere a cielo aperto. Lì tra cavi e tramezzi si arrampicano come formiche operose restauratori e muratori. Il vescovo maronita ride felice. Rievoca i brutti tempi andati. “Questa cattedrale un tempo era sulla linea del fuoco. Una volta i ribelli sono arrivati fino al portone d’ingresso, un’altra un obice ha sfondato la camera da letto di un nostro vicino e l’ha fatto a pezzi nel suo letto… dopo sette anni è ancora così non l’hanno neppure rimessa a posto” – ricorda il vescovo indicando la voragine al secondo piano del palazzo alla destra della cattedrale.

“Nel 2012 le prime granate avevano colpito la cupola lassù, poi un paio di missili erano caduti sul tetto. Un giorno mentre stavo lavorando nel mio ufficio nella torre una gragnuola di colpi ha fatto tremare tutto l’edificio. Quel giorno ho detto basta… io chiudo. Ora la stiamo ricostruendo, fra un po’ la riapriremo ai fedeli. Un po’ di soldi li abbiamo raccolti qui, un po’ sono arrivati dall’estero e questo ci ha consentito di dare il via ai lavori. Ma fondamentale è anche il lavoro di un gruppo architetti italiani che ci aiutano a rimettere insieme i pezzi”.

Monsignor Tobji si blocca. Alza la mano.

“Ma attenzione ricostruire la chiesa non basta. Qui ad Aleppo Ovest non c’è un metro quadrato che sia rimasto sano, se non s’incomincia a rimettere in piedi anche il resto la gente non torna”.

Dice gente, ma pensa soprattutto ai cristiani, alla tribù perduta di questa città. Aleppo un tempo era il terzo centro cristiano del Medioriente, ospitava tra le sue mura oltre 200mila fedeli. Oggi oltre la metà ha abbandonato le proprie case, vive all’estero e si guarda bene dal tornare.

“Perché mai dovrebbero tornare? Come possiamo chiedergli di farlo se non possiamo offrirgli un lavoro, se non siamo in grado di garantirgli il sostentamento delle loro famiglie” – sospira rassegnato il monsignore. “Molti dicono che la guerra è finita, ma non è vero. Qui nel centro di Aleppo la situazione è tranquilla, ma ai confini sud occidentali della città le bombe e i missili dei ribelli jihadisti di Idlib continuano ad uccidere. Perché la comunità internazionale non dice niente? Perché l’Europa non fa nulla?”.

Ad ogni parola, ad ogni frase la preoccupazione per il presente sembra scacciare la felicità per l’imminente rinascita della cattedrale.

“Voi in Europa forse ve lo siete dimenticati, ma dove non arrivano le bombe arrivano le sanzioni. Uccidono anche quelle, sapete? Pensate ai bambini, ai malati, agli anziani che non trovano cibo e medicine. Oggi da questo punto di vista è anche peggio di prima. Quando si sparava t’accontentavi di sopravvivere, di tutto il resto non t’importava. Oggi invece i cristiani tornano qui, cercano di capire se è possibile tornare a casa, ma scoprono che non si trova la benzina, che spesso non c’è il gas per il riscaldamento e che nelle farmacie mancano delle medicine indispensabili. E allora dopo aver dato un occhiata rimettono i lucchetti alle case e se ne tornano all’estero. Alcuni fedeli rassegnati se ne sono andati negli ultimi mesi dopo aver resistito per tutti gli anni dell’assedio. Insomma la guerra forse è finita, ma la situazione per noi cristiani non è migliorata. Sotto le bombe avevamo paura ma conservavamo la speranza. Oggi molti di noi hanno perso anche quella”.

Reportage di Gian Micalessin
Riprese e montaggio Roberto Di Matteo
Insideover – fonte Ora Pro Siria

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