Haaj! Basta! Il viaggio di un salesiano tra i cristiani di Damasco, Kafroun e Aleppo

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Il racconto di don Munir El Rai, ispettore dei salesiani del Medio Oriente, siriano che vive a Gerusalemme ed ha visitato nelle ultime settimane le comunità salesiane della Siria

… A Beirut ho potuto trattare a lungo con i Salesiani la questione delle famiglie cristiane di Aleppo che chiedono di essere accolte in Libano. Molte famiglie di cristiani siriani vorrebbero trovare rifugio dalla guerra emigrando in Libano, paese molto ambito a causa della forte presenza cristiana e della possibilità di trovare lavoro, e quindi di emigrare in altri paesi, grazie alle numerose ambasciate straniere. L’alto costo della vita in Libano è però un ostacolo per queste famiglie che si rivolgono alle comunità salesiane siriane, chiedendo di essere accolti presso i Salesiani del Libano. Ho quindi chiesto ai Salesiani del Libano di preparare un progetto di emergenza per l’accoglienza dei profughi siriani, come si era fatto con i libanesi durante la guerra libanese.

La mattina di mercoledì 26 settembre ho intrapreso il viaggio via terra per Damasco con un’auto di servizio pubblico. Durante il viaggio ho potuto dialogare con le persone che condividevano l’auto con me, ed abbiamo parlato a lungo della condizione dei profughi siriani il Libano, della sofferenza in cui ora vive la popolazione.
Il mio arrivo a Damasco, alle ore 12.30, è coinciso con la fase finale dell’attacco al Ministero della Difesa: l’intera città era in allerta e piena di posti di blocco dell’esercito. Questo mi ha dato un assaggio del clima di paura, tristezza e insicurezza che si respira nella capitale siriana. A causa dell’attacco, solo con grande difficoltà sono riuscito a raggiungere il Centro Salesiano. A Damasco ho incontrato i confratelli della comunità e ho potuto dialogare a lungo con loro. La comunità è composta di quattro confratelli: il direttore egiziano, due italiani, e un giovane sacerdote venezuelano. Abbiamo parlato a lungo della vita comunitaria a Damasco in questi momenti, delle loro attività con i giovani, e delle attività con gli sfollati, ospitati in varie scuole governative.

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La pace in Siria potrebbe essere salvata se tutti dicessero la verità

Damasco (Agenzia Fides) – “La pace in Siria potrebbe essere salvata se tutti dicessero la verità. Dopo un anno di conflitto, la realtà sul terreno è lontana dal quadro che impone la disinformazione nei mass media occidentali”: lo dice una testimonianza inviata a Fides dal Vescovo francese Philip Tournyol Clos, Archimandrita greco-cattolico melchita, che ha …

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Le milizie anti-Assad usano ad Homs i quarteri cristiani come campi di battaglia.

Titolo originale: “Christianity Under Assault in Syria: Saint Mary Church of the Holy Belt Damaged” Homs, Siria (MECN) – La Siria è la patria di antiche civiltà, contenente reliquie antiche e rovine risalenti alle prime civiltà umane conosciute. Insieme ad avere queste  caratteristiche, la Siria è anche parte della Terra Santa, o come direbbe qualcuno, …

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Quando l’arte si pone offensiva e saccente non basta un "contro", occorre un giudizio.

di VietatoParlare.it Sta per arrivare anche in Italia la rappresentazione teatrale, del regista romagnolo Romeo Castellucci, che ha determinato fortissime proteste in Francia nei mesi scorsi. Si tratta dello spettacolo, oggettivamente di cattivo gusto, intitolato “Sul concetto di volto nel figlio di Dio” durante il quale appare in scena un lancio di pietre ed escrementi …

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Roberto De Mattei. Le origini della crisi europea.

fonte: Fondazione Lepanto prof Roberto De Mattei

La crisi economica, sociale e politica che l’Unione Europea oggi vive è sotto gli occhi di tutti. Tra pochi giorni ricorrerà il ventesimo anniversario della firma del Trattato di Maastricht (firmato l’ 11 dicembre 1991) da cui l’Unione Europea ebbe origine. Il prof. Roberto de Mattei, allora presidente del Centro Culturale Lepanto, e oggi della Fondazione Lepanto, esprimeva, tra i primi in Europa, le sue critiche al Trattato di Maastricht in una lettera consegnata a Strasburgo, a tutti i parlamentari europei, l’11 maggio del 1992, alla vigilia del discorso della regina Elisabetta di Inghilterra al Parlamento Europeo. Lo stesso testo veniva fatto pervenire, ai parlamentari italiani riuniti in seduta congiunta in elezione del Presidente della Repubblica (il documento fu pubblicato integralmente in « Lepanto », nn. 122-123 (maggio-giugno 1992), pp. 3-11).

La lettura di questa analisi, che precedette di quasi 10 anni l’entrata in vigore dell’Euro, invita a riflettere sul nostro futuro.

Lettera ai Parlamentari europei del prof. Roberto de Mattei

Roma, 11 maggio 1992

Egregio onorevole,

a nome del Centro Culturale Lepanto, che ho l’onore di presiedere, vorrei sottoporre alla Sua attenzione alcune riflessioni a proposito di un importante dibattito che Ella e i suoi colleghi avete affrontato e dovrete ancora affrontare (l).

Mi riferisco al Trattato di Maastricht, stipulato l’11 dicembre 1991 nella cittadina olandese dai Capi di Stato e di Governo dei dodici Paesi della Comunità europea per avviare la nuova organizzazione internazionale denominata “Unione europea”.

Questo Trattato, che è stato formalmente sottoscritto il 7 febbraio 1992 e che, per entrare in vigore, dovrebbe essere ratificato dai rispettivi Parlamenti nazionali entro il 31 dicembre di quest’anno, sta suscitando un po’ ovunque crescenti dubbi e perplessità: unirà e rafforzerà veramente l’Europa, o la disgregherà, precipitandola nel caos? Lo scopo di questa lettera, è di contribuire ad una discussione su questo punto capitale.

Il sogno nichilista di distruzione dell’Europa

In questo 1992 che segna il 500° anniversario della scoperta e della civilizzazione dell’America da parte degli europei, la Civiltà europea e cristiana è sottoposta a un processo senza precedenti. L’Europa è accusata di aver imposto al mondo il suo modello di civiltà, in luogo di “aprirsi all’Altro”, “a ciò che non è, non è mai stato e non sarà mai l’Europa”(2); essa dovrebbe dunque rinnegare sé stessa per recuperare la “Alterità” che ha negato: i barbari, gli indios, i musulmani, sarebbero portatori di un “messaggio culturale” incompreso. L’Europa dovrebbe perciò rinunciare alla “ambizione secolare di centralità storica di cui Colombo è il simbolo”(3) per “decivilizzarsi” e sprofondare nel tribalismo.

Nella visione della storia, elaborata da questi “teorici del caos”, il fondamento dell’Europa sarebbe “la perdita dei fondamenti” (4), la sua caratteristica quella “di non essere identica a sé stessa” (5). Nessuna identità storica e culturale meriterebbe di sopravvivere perché nel mondo nulla esiste di stabile e di permanente e tutto è privo di ordine e di significato: il Nulla è l’unica realtà che si deve affermare nella storia e nella società: “Dobbiamo riconoscere il ruolo storicamente positivo del Nulla /…/ Siamo incitati a fondare la nostra cittadinanza europea in rapporto al nulla” (6).

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Sbai: la primavera araba "aiuta" il potere dell’Islam radicale

monastero di Sant'Antonio - Egitto
monastero di Sant'Antonio - Egitto - Wikipedia Common

da sussidiarionet:
È una linea sottile quella che attraversa la storia del mondo arabo, dagli anni Settanta ad oggi. Una linea che si insinua nelle pieghe del pensiero che si fa azione e le cui conseguenze oggi vediamo manifestarsi appieno. I Copti sono solo la faccia più vicina della medaglia, quella a brevissimo termine. Non dobbiamo dimenticare che alle loro spalle in Egitto, c’è l’Ambasciata israeliana, presa d’assalto poco tempo fa; domani toccherà agli intellettuali e ancora dopo alle donne.  È il disegno dell’estremismo che si prende il potere, il pensiero e la società. Che scava nelle viscere sociali per instillare nella mente del popolo il desiderio di rivalsa e di sopraffazione. È un disegno che, si badi bene, non nasce oggi, ma è ben radicato e costruito nel tempo.
Ricordo distintamente che Sadat liberò, negli anni Settanta, tanti radicalisti islamici, dando così vita inconsciamente a ciò che oggi vediamo; un percorso lungo e lineare, passato sia per la repressione di Mubarak e la clandestinità, ma pur sempre vivo come una fiammella accesa in una grotta, capace di illuminare poco ma costantemente. E soprattutto al riparo da occhi indiscreti.
Oggi la strada è spianata, inutile girarci attorno senza arrivare a darsi questa triste certezza; l’estremismo ha in mano, praticamente, gran parte del Nordafrica e del cuore del medi oriente.
Ma ciò che stupisce è la cecità, il non saper guardare all’indietro nella storia e il non voler imparare dal passato: l’Algeria, che dovrebbe essere un rimpianto storico per la comunità internazionale, ha vissuto la sua “primavera araba” negli anni Novanta. Gli estremisti arrivarono, uccisero, sgozzarono e presero il potere: senza che qualcuno, vedendo scorrere il sangue di centinaia di migliaia di persone, battesse ciglio. Un paese che oggi è il ritratto muto e sofferente, ma purtroppo estremamente fedele, di come saranno i paesi colpiti dalla primavera araba fra dieci anni. O forse meno. Col capo chino di fronte allo strapotere della Fratellanza, i popoli che finora avevano tenuto lontano l’estremismo, domani ne saranno totalmente ed inesorabilmente schiavi.
Penso con grande tristezza alla Tunisia, in cui Bourghiba ha impegnato gran parte del suo mandato a bloccare l’avanzata del radicalismo; quella Tunisia che oggi si vede soffocata dalla spinta estremista di chi assalta tv, università e scuole per dimostrare la sua forza e instillare terrore repressivo. L’abbandono della Tunisia è una colpa che la comunità internazionale non potrà mai espiare.

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